Cronachesorprese

7 Marzo 2009

Grillo e le grandi opere

Filed under: cronache — alessandro @

Le agenzie di stampa dovrebbero cominciare a pensare che non è necessario riprendere ogni cosa che dice Grillo. Se cercano qualcuno con opinioni critiche interessanti sulla politica sono sicuro che possono trovare di meglio.

Ora sulle grandi opere Grillo dice che:
– “non ci sono i soldi”, ma non è vero perché il Cipe non può stanziare soldi virtuali; si tratta di programmazione economica per più anni e quindi è logico che i soldi non siano tutti e subito nella disponibilità dello Stato, ma la delibera del Cipe significa che, se lo Stato non fa bancarotta (e nonostante la crisi si faccia sentire questo pericolo non c’è, con buona pace di Di Pietro), quei soldi nei prossimi anni verranno impiegati per quelle opere
– “non le faranno mai”, ed e è scetticismo gratuito da bar: è legittimo nutrire qualche dubbio per il ponte sullo stretto, ma le altre sono opere, come dicono, “immediatamente cantierabili”
– “la mobilita’ del futuro sara’ quella di essere piu’ fermi possibile”, e questa è demagogia pura se si parla di opere, come il Terzo Valico dei Giovi, che sono pensate soprattutto per le merci e non per le persone. Perché le merci non sono solo le acque minerali, qualcuno lo spieghi a Grillo. Ma anche senza fermarsi alle merci, lo sa Grillo che il turismo è necessario per la nostra economia? Vogliamo continuare a far viaggiare milioni di turisti ogni anno su autostrade che sono poco più che mulattiere, come la Salerno – Reggio Calabria? Potremmo mandare a tedeschi e americani un bel DVD a casa, così sperimentano il turismo immobile del futuro…

Quindi l’unica notizia è che Grillo ha detto fregnacce. O è notizia soltanto il fatto che Grillo parli?

6 Marzo 2009

The reader

Filed under: lo spettatore indigente — alessandro @

the reader
Come sta cambiando il modo di raccontare il trauma della seconda guerra mondiale. Sarà perché si allontana nel tempo, ma in tre film che ho visto nell’ultimo mese il fuoco è su come i tedeschi hanno vissuto quel trauma; non si parla dell’ormai svisceratissimo “senso di colpa” di un popolo, ma di come il nazismo ha travolto vite di vittime tedesche e carnefici tedeschi. Operazione Valchiria, L’onda, The reader. Tre bei film (in ordine crescente di bellezza, ma li consiglio tutti e tre) che indagano il rapporto tra nazismo (o ipotesi autocratica, nel caso dell’Onda) e tedeschi da tre prospettive molto diverse ma tutte molto interessanti e, mi pare, abbastanza inedite.

The Reader nei suoi sviluppi mi ha sorpreso, in alcuni punti, fino alla commozione. Il segreto della protagonista è talmente compresso dentro di lei da portarla a vette di amore e di malvagità, di aridità e di sacrificio. L’assioma della banalità del male è indiscutibile e aiuta a sgrossare il problema ma si ferma sul limitare della singola vita, della singola coscienza. The reader va dentro e scopre una punizione più grande della morte: perché chi ha commesso certe nefandezze ed è morto a se stesso commettendole, non potrà più soffrire davvero. Chi invece dopo averle commesse come in trance si è svegliato da un incubo che ha fatto vivere solo agli altri, può aver amato ancora. E pienamente, non per disperazione. Ma allora ha riacquistato la coscienza e la sensibilità per capire. E ha cominciato a pagare davvero.

Si diceva della grande prova di Kate Winslet in Revolutionary Road, ma in The Reader è ancora meglio, è perfetta. Davvero memorabile il 2008 per l’attrice, che ha portato a maturazione in pochi anni un talento drammatico di altissimo livello.

4 Marzo 2009

La privacy e altri bisogni

Filed under: il consumatore non consumato — alessandro @

C’è una cosa che sopporto sempre di meno e che sarò sempre meno disposto a sopportare in futuro: dover sempre dimostrare la mia identità e dettare i miei dati a chi li conosce benissimo e avrebbe modo di controllarli meglio di quanto possa fare io in molti casi.

Sono un cliente Vodafone e se entro in un negozio Vodafone voglio essere riconosciuto. Voglio che qualsiasi commesso tiri giù da un terminale tutto quello che sanno di me e che è utile a concludere il più presto possibile il nuovo acquisto. E invece no. Mi hanno spiegato che non è possibile. Ogni mese verso con la mia carta di credito il corrispettivo di un abbonamento a Vodafone, ma se entro in un negozio Vodafone per acquistare un cellulare devo dare nuovamente carta di identità, codice fiscale e… numeri di telefono.
“Ce li avete già questi dati”, ho detto alla commessa.
“Non posso vederli per la privacy: è come se facessimo un contratto con un nuovo cliente”.
“Ma se avete il permesso del cliente?”
“Non possiamo ugualmente”.

Ora, questo è assurdo e ipocrita. So benissimo che le aziende interessate si scambiano più o meno sottobanco le informazioni su di me che ritengono utile scambiarsi. Ma se queste stesse informazioni servono a rendermi la vita un po’ più facile, non contano. E provo davvero un senso di estraneità e di frustrazione a dover sempre dimostrare a un’entità impersonale, sia lo Stato o un’azienda qualsiasi, che io sono proprio io.

Ma la questione non è soltanto la comodità. Penso a tutte le cose utili che vengono bloccate da questa logica. Penso che le pubbliche amministrazioni non si scambiano i dati che mi riguardano per la stessa ragione, e questo spesso comporta disagi, perdite di tempo e di denaro non solo per me, ma per la collettività. Penso che se dimentico una scadenza per l’Ici o per un tributo non c’è nessuno che si premura di avvertirmi in tempo per non farmi pagare penali, quando sarebbe così semplice: ho un numero di cellulare e un indirizzo mail che può ricevere tutte le notifiche che sono necessarie.

Tutti questi disagi e soprattutto tutta questa mancata evoluzione perché devo essere difeso da qualcosa da cui non voglio essere difeso. Non mi importa dei miei dati, prendeteli, vendeteli a terzi, fateci la cresta, condividete con chiunque le informazioni che riguardano le mie abitudini di consumatore, il mio far parte di una comunità come cittadino, e se volete anche le mie idee, le mie opinionii. Ma non mi negate più i servizi che potreste darmi con il minimo sforzo e con vantaggio anche per voi. E soprattutto non fate gli gnorri: non fate finta di non conoscermi. Con quell’aria di “risposta esatta!” quando declino le mie generalità. Come se fossi bravo io a ricordarmele.

3 Marzo 2009

Slumdog Millionaire

Filed under: cronache,lo spettatore indigente — alessandro @

Per il secondo anno consecutivo l’Oscar per il miglior film mi sembra più che meritato.
Non si sa da dove cominciare a raccontarlo questo Millionaire. Potrei cominciare dal fondo e dire che c’è uno dei baci più commoventi (ancorché uno dei più casti) mai visti al cinema. Ed è un tocco da maestro su una storia che coinvolge fin dall’inizio.

Dal punto di vista narrativo trovo riuscite soprattutto due cose.
La prima è l’uso di uno dei giochi televisivi più popolari del mondo per raccontare qualcosa di così lontano da uno studio televisivo. Un format che sta facendo storia e che rappresenta la voglia di riscatto della gente comune. Se già per noi è così, possiamo immaginare quanto sia dirompente in una società come quella indiana, in cui sembra naturale che chi nasce povero rimanga povero e i cambiamenti di condizione sociale ed economica sono visti quasi come sacrilegi.
La seconda è il rapporto strano di amore odio, o meglio di complicità e rivalità tra i due fratelli, orfani indiani nel cuore dell’India più povera e spietata: pur muovendosi in mezzo a fatti tragici davvero grossi per dei bambini e degli adolescenti, il rapporto ambivalente tra i due si ritrova a ogni snodo della storia e muove sempre qualcosa.

L’interpretazione del giovane Dev Patel aggiunge qualcosa di più sottile che non si può dire né estraneo alla storia, né superfluo. È lo sguardo, la studiata calma di chi non può più avere paura perché a dispetto della giovane età ne ha già viste e passate troppe, ma nel contempo sta inseguendo un bene troppo grande per farsi deviare dalla disillusione e dal cinismo. Il risultato è una curiosa e avvincente espressione da giocatore determinato ma non consumato; uno che sa che deve chiedere anche alla fortuna oltre che alla sua indefettibile tenacia. E sembra che a ogni momento la guardi in faccia la fortuna, la sfidi a rivelarsi: se sei una persona, o almeno la dea che dicono, per quanto bendata non puoi rimanere sempre indifferente. E la fortuna si scioglie nel momento culminante del gioco, della storia, della sfida, quello in cui il postulante capisce che la felicità è già raggiunta. L’azzardo finale assomiglia a quello del Principe Ignoto nella Turandot: nel momento in cui vince gioca ancora tutto perché la vittoria sia davvero piena, perché non ci siano dubbi che sia stata meritata e non in qualche modo estorta.

Mia cara Miss nell’interpretazione degli Avion Travel la vedrei come ideale colonna sonora. Ma purtroppo non la trovo né su Youtube né da altre parti. Non trovo neanche il testo. Il refrain fa più o meno così:

mi baciò mi baciò mi baciò
la mia fronte baciò
recitando un destino felice le sue bende sfilò
e guardandomi prese le mie nelle sue
mani agitate
e mi disse la fretta è invidiosa
oggi la sorte migliore ti sposa…

1 Marzo 2009

La mia bacheca a scacchi bianchi e rossi

Filed under: Weekly Facebook — alessandro @

Incontro per strada Tizio. È fermo a parlare con Caio, che non conosco. Saluto Tizio e gli dico di sfuggita una cosa qualsiasi. Che so: come sta la tua fidanzata? Hai comprato quel cellulare che ti piaceva? Com’è andata la vacanza in Normandia?
Qualsiasi cosa dica, o anche il solo fatto di salutare Tizio, interviene nella sua interazione con Caio senza che io possa immaginare se ci saranno conseguenze. Caio potrebbe sapere che Tizio è fidanzato, che desidera un modello di cellulare, che è stato in vacanza in Normandia. Ma anche no.

Però è naturale che io saluti Tizio e gli dica qualcosa. Sarà capitato a tutti migliaia di volte. È naturale che accada ed è naturale che parlando con Tizio non mi preoccupi più di tanto di quello che può pensare Caio: dipende dalla mia discrezione evitare argomenti che possano imbarazzarlo.

Bene, è la stessa cosa che capita su FB quando leggo sulla bacheca di un amico il messaggio lasciato da un suo amico. Parlo solo dei messaggi in bacheca e non dei commenti ad altri elementi o delle foto perchè sono casi a parte. Schematizzando. È un fatto pubblico che io e Tizio ci conosciamo: è come se Caio scorresse la lista degli amici di Tizio e mi trovasse. È naturale che io e Tizio parliamo di qualcosa senza preoccuparci che Caio senta: è come se Caio leggesse un botta e risposta tra me e Tizio sulla bacheca di Tizio.

Penso che la bacheca vada usata poco, perché quasi tutto quello che possiamo dire o fare su FB è più propriamente detto o fatto attraverso altre funzioni. Ho visto sulle bacheche dei “botta e risposta” che avrebbero dovuto essere commenti a una foto, a un messaggio di stato o a qualche altro elemento. Non ho mai visto cose imbarazzanti per il “titolare” della bacheca, ma nulla esclude che possa capitare, come non si può escludere che io parlando con Tizio sia indiscreto o indelicato.

La bacheca va usata poco, ma può essere utile e divertente far vedere un botta e risposta agli altri. E quel genere di “e chi se ne frega” che nella comunicazione tra persone può avere un senso e far scattare qualcosa.

Colgo pertanto l’occasione per dire anche qui a Estrellita (come ho fatto in bacheca) che ieri a Chiavari ho trovato la stoffa a scacchi bianchi e rossi che cercavo per le tovaglie in stile Maria. Perché sto pensando di fare una cena in stile Maria per gli amici. Ho i bicchieri giusti e la stoffa per la tovaglia (ora spero di trovare qualcuna che la sappia fare…), resta solo da decidere il menu che si dovrà poi scrivere al modo tradizionale, su due tocchi di bristol tagliati grossolanamente e incollati, cercando di avvicinarsi a quell’inimitabile fronte retro.

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