Luca e Paolo a Sanremo hanno svolto la loro parte dignitosamente. Con esiti alterni, a volte un po’ mosci, ma mai disprezzabili. Ho letto però molte critiche. Dicono che hanno fatto finta di fare satira, di dare addosso al loro “padrone” ma in realtà hanno fatto clownerie e non satira. Anche quando hanno cantato Ti sputtanerò con quella battuta molto sferzante (e molto sul pezzo, molto di cronaca) alla fine.
Un pregiudizio grosso come una casa, insomma. Trovo sempre preoccupante che, nella testa di qualcuno, dei comici si debbano sentire moralmente obbligati a fare satira in un modo e non in un altro. Mi preoccupa nel caso di Luttazzi, ma mi preoccupa anche nel caso di Luca e Paolo. Per qualcuno è ovvio che anche i comici debbano adeguarsi al clima da “emergenza democratica” che monta nel paese, e se non lo fanno non possono essere altro che dei servi.
Forse invece Luca e Paolo hanno colto nel segno, in particolare con lo sketch che ho riportato in questo post. Uno sketch alla Gaber. Anche Gaber sarebbe stato accusato di scarso “impegno” in una situazione del genere, non ho dubbi: del resto gli è capitato tante volte. Sono troppo veri questi due amici che conversano sul fatto del giorno, del mese e per ora dell’anno, che ragionano sull’argomento unico di questo scorcio di storia italiana; questi due che giocando a scacchi sovrappensiero ripercorrono tutti i gradi dall’indignazione intransigente alla complice acquiescenza. Troppo sulla pelle di tutti. Con pause e tempi comici perfetti.
Ma soprattutto Luca e Paolo si sono permessi di fare satira sociale e non satira politica. C’è qualcuno che li giudica imperdonabili per questo. Io li ringrazio.