L’impaccio di oggi mi è caro, non lo baratterei con nessuna certezza politica. Ma non era un impaccio isolato. Forse la piazza di oggi era una confluenza e una sincronizzazione di tanti andamenti diversi: cammini di anni e di decenni o soste pensose e malinconiche di fronte allo squallore del clima da basso impero in cui siamo immersi da almeno due anni. Non so se da oggi possa cominciare qualcosa di simile a un “riscatto”.
Posso dire solo quello che ho visto e pensato. Ho visto tanta gente diversa, una piazza davvero plurale e senza bandiere. Ho sentito in me e ho colto in molti altri tristezza, grattando appena sotto la facile e “doverosa” ironia degli slogan, perché a pensarci è veramente triste che dobbiamo sentirci uniti e concordi a ribadire cose tanto ovvie, arrendendoci di fronte all’evidenza che ovvie non sono più. Ma ho provato anche una strana dolcezza, perché questo convergere abbastanza spontaneo (così l’ho percepito) di tante persone e di tante storie diverse non è male e non può essere derubricato alla voce “moralismo”.
Mi piace pensare che se questa manifestazione è stata nuova, diversa, lo è stata anche perché c’erano tanti come me. Che non sanno come maneggiare questa roba che è una manifestazione. Che non verrebbero mai per pochi argomenti di assenso più o meno parziale con le ragioni di una protesta. Che sono rimasti scottati troppe volte dalle strumentalizzazioni politiche. Ma erano in piazza perché in quella piazza c’era almeno un volto di donna guardando il quale “dignità” e “rispetto” non sono parole. Se quel volto era in quella piazza non potevamo essere in un luogo diverso. Non potevamo dire “vai tu, sono solidale”. E insomma, c’è un modo diverso, più efficace e più intelligente per aderire al “se non ora quando”? Può darsi, ma io non ne conosco altri. Sono un povero diavolo, con i miei limiti e le mie contraddizioni. E posso anche essere triste perché so benissimo che questa piazza non sta dando la caccia a un capro espiatorio per riscattare se stessa, posso sentirmi (come dovrebbero sentirsi tutti, uomini e donne, manifestanti e non manifestanti) in causa per avere permesso che il deserto avanzasse fino a questo punto.
Siamo immersi da mesi in un racconto squallido. Sentiamo il bisogno di cercare un volto di donna e dire, e dirle: eccoti, sei tu la realtà, e sei un punto, un nucleo al di fuori di questa gigantesca e degradante narrazione.
Non per “la” donna, ma per “una” donna. Eravamo in tanti.