Pochi chilometri quadrati di sutura tra storia umana e storia naturale. Un posto che sarebbe piaciuto all’ultimo Leopardi e che non lascia indifferente nessuno. Come si dice: commuoverebbe anche i sassi. Del resto, a Santorini i sassi si muovono.
L’ultima volta che l’hanno fatto con un certo fragore, nel 1956, è stata tragedia; ma pur sempre poca roba rispetto a tutto ciò che questa parte di Egeo ha visto nel corso dei millenni.
Isola in continua ridefinizione, prima tondeggiante e poi (dopo il grande cataclisma del 1700 circa avanti Cristo) a chela di granchio, Santorini è una vertigine che in un attimo mette a dura prova quell’istiintiva difesa che è la voglia di pensare al tempo costruendo cronologie che, come nelle antiche teogonie, separino nettamente il caos dal cosmos. Quante volte è cambiata qui la forma della terra emersa, anche in epoca storica? L’eruzione che ha fatto sprofondare la caldera ha sepolto Akrotiri, una città antichissima (e probabilmente splendida) che era già abbandonata.
Thyrasia si è staccata; poi il vulcano che si era inghiottito tutta quella roba ha risputato fuori Palia Kameni e Nia Kameni a riempire una piccola parte del vuoto; poi un altro bello scossone ha smozzicato ampie porzioni della costa meridionale. Per citare solo gli eventi più notevoli.
Il rosso e il nero sono niente di metaforico, sono i colori maggioritari di queste pietre così inquiete: un contrasto che dipinge la tensione reale su cui tutto qui vive e vegeta, su cui ogni epoca umana dal neolitico in poi ha cercato di dare stabilità e direzione alle singole costruzioni ed esistenze. Ci sono queste scogliere tagliate come torte millefoglie, scorci stratigrafici a picco sul mare, teche di fossili di commovente bellezza. Da sempre fanno da pantoni alle case, oltre a fornire loro una parte del materiale da costruzione. Come per le abitazioni più antiche di Oia, il bellissimo centro sul bordo nord della caldera in faccia a Thyrasia, distrutto quasi completamente nel 1956. La ricostruzione ha privilegiato il bianco cicladico, ma guardando i vecchi muri si capisce che la Oia di un tempo (così come Fira, Imerovigli e gli altri villaggi affacciati sulla caldera) non staccava così nettamente dalla scogliera, non ambiva ad altro che a riprodurne i colori e le disposizioni, forse in un tentativo inconscio di ingraziarsi le forze titaniche di cui il rosso e il nero sono gli affioramenti. Le striature delle spalle dei Giganti.
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