Non basta più neanche la gnocca. Per riportare gli eredi di Don Camillo e Peppone alle urne ci vuole qualcosa di ancora più elementare, che metta tutti davvero d’accordo. Ma rimettete le preferenze. Se no anche la piadina non potrà arrestare questa emorragia di voti. Almeno la piadina si potrà scegliere o dobbiamo mangiare obbligatoriamente quella decisa dalle segreterie?
Capolista: Squacquerone e rucola
Numero due: Salamella e crauti
Numero tre: Crudo di Parma e mozzarella
Seriamente: 769.336 voti in meno al Partito Democratico in Emilia Romagna. Il raffronto è con le ultime europee di maggio. Affluenza crollata al minimo storico nella storia repubblicana. Qualcuno dice che il raffronto con le europee non è proponibile, ma non sono di questo avviso. Se i voti fossero aumentati sarebbe un conto, ma sono diminuiti. Le europee hanno sempre avuto meno affluenza rispetto a qualsiasi altra consultazione.
E siamo a novembre, quindi niente scuse balneari o di altro genere.
E siamo in Emilia Romagna, dove la partecipazione è sempre stata più alta rispetto alla media italiana e dove il maggior partito della sinistra non ha mai avuto grandi problemi se non per una parentesi a inizio millennio nel capoluogo.
E sono elezioni amministrative, nella regione che nei luoghi comuni della propaganda è quella della buona amministrazione della sinistra.
Qualcuno ha ancora voglia di usare il bilancino? Allora spingiamo lo sguardo un po’ più in là e contempliamo la china discesa in 44 anni. Affluenza alle urne per le regionali in Emilia Romagna, campionamento ogni dieci anni:
1970: 96,59%
1980: 94,49%
1990: 92,98%
2000: 79,72%
2010: 68,07%
2014: 37,67%
Clamoroso. Inspiegabile. Anche tenendo conto delle dimissioni di Vasco Errani (politico peraltro navigato e di valore, non certo il peggio della casta), che hanno portato la Regione alle urne anzitempo.
Più fattori insieme possono aiutare a entrare dentro all’enigma di un crollo verticale di queste proporzioni. Metto tutti quelli che mi vengono in mente oltre alle già citate dimissioni del presidente in carica.
– La fine della luna di miele della base Pd con Renzi, in particolare dopo le bordate contro l’articolo 18
– La perdita di credibilità dell’ente Regione in sé dopo i molti scandali sulle spese pazze in tutta Italia
– Il flop del movimento 5 stelle (284.480 voti in meno): molto probabile che chi non ha rinnovato la fiducia ai grillini non sia tornato a votare
– Il disorientamento totale dell’elettorato di centrodestra (solo Forza Italia rispetto a maggio ha perso 171.473 voti), che attualmente è senza leader e aspetta che qualcuno batta un colpo. L’unico a rispondere in questa occasione è stato Salvini, ma anche la sua è una vittoria per modo di dire: la Lega ha aumentato i voti, è vero, rispetto alle europee, ma ne ha persi comunque oltre 56.000 rispetto alle ultime regionali. Insomma, ha intercettato un po’ di voti in uscita da Forza Italia, tutto qui. Uscita temporanea, probabilmente: dubito che il dato possa essere confermato alle politiche.
Non vorrei essere catastrofico ma questo aperitivo di regionali è, più che un segnale o un colpo di avvertimento, una bella bordata al cuore del fortino del sistema dei partiti. La prima misura di salvaguardia per la capacità di rappresentanza della classe politica dovrebbe essere la riforma immediata della legge elettorale. Ripristinare le preferenze, subito. Se piuttosto i partiti preferiscono rappresentare un terzo risicato degli elettori, senza escludere nuove e devastanti erosioni, si condannano da soli. Certo Renzi che esulta con un calcistico “due a zero per noi” e “asfaltati” non fa ben sperare.