E quindi si riparte.
Non ho mai posto così tante aspettative in un viaggio come questa volta. Questo non è solo un viaggio, è un cammino.
Non è solo una vacanza o un riposo, è un tornare a una radice viva che continua a dare nutrimento e ne dà sempre di più quanto meno si vede, quanto più sprofonda sotto terra.
Ad limina Sancti Jacobi. Per due terzi della mia vita ho desiderato andarci, e questo pare davvero essere l’anno buono.
Cammino da solo. Per incontrare. Anche volti noti, eventualmente.
Cammino da solo perché non mi basterebbe una compagnia definita, sarebbe un’aspettativa impropria. Perché la compagnia vera su questo cammino sono i compagni di tutta la vita e anche quelli che non ci sono più, impossibile radunarli tutti contemporaneamente sullo stesso sentiero. Cerco piuttosto con loro una contemporaneità simile a quella che ha spinto per secoli i pellegrini a cercare Giacomo. La condizione minima per mettersi in cammino è questa chiarezza. Non è la reliquia, non è il luogo sacro l’oggetto della ricerca ma è contemporaneità e compresenza a un valore, a una vita che non è nessuna delle vite che si muovono verso di lei. Se penso alle persone che amo dico che saranno con me sul cammino. Se penso a tutti i pellegrini, più o meno santi, più o meno conosciuti che mi hanno preceduto dico che mi sono contemporanei. Se non fosse così non affronterei un cammino che durerà almeno un mese. Camminare mi piace molto e mi dà sempre grandi soddisfazioni, ma non è una prova atletica quella che sto per affrontare. È la stessa ricerca di un racconto di qualche anno fa.
E quindi, in virtù di questa contemporaneità (anche con persone che non ho mai conosciuto o che non ci sono più) e di questa compresenza (anche con i tanti che saranno altrove) saranno con me sul cammino almeno questi compagni. Due punti.
Mia madre, che a Santiago avrebbe tanto voluto andarci: nessuna come lei è in grado di spingermi a fare il cammino senza paura e senza dubbi, come un’altra donna ha incoraggiato Giacomo il Maggiore a proseguire il suo. Mio padre, che potrebbe ancora andarci (anche se pensa di no) ma intanto sarà contento del mio andare anche per lui. Francesco, Alessia e Giacomo il piccolo, che bazzicheranno in auto per le loro vacanze non molto lontano: forse ci incontreremo davvero a Santiago. Teresa, che ha fatto molta più strada di me e sa trovare le direzioni giuste, le ha sempre trovate quando le servivano e continuerà a trovarne con passo sicuro, anche se a volte le sembra di vagare.
I miei amici dei tempi della scuola. Quelli che non ci sono più. Quelli che non vedo più da anni o molto raramente ma a cui penso ogni giorno. Piergiuseppe. Marco e Paola. Luca. Tullio. Romeo. Carlo. Lucia. Paola. Giampiero. Maurizio. E poi gli amici francescani con cui ho condiviso, più di vent’anni fa, la passione per gli itinerari a piedi in Umbria. Padre Silvio. Ma anche Fabio, Paolo, Angelita, Betti, Francesco.
Gli amici che ho conosciuto all’Università, amici in un momento decisivo per la vita, amici per sempre e indelebilmente. Claudia, la prima in ordine di tempo e non solo. Poi Franco. Luca. Piergiorgio. Nicola e Amanda. Amedeo e Cristina. Antonio. Monica e Franco. Giovanni e Patrizia. Nicoletta e Marco. Luca. Paoletta. Mimmo. Silvio. Sabina. Paolo, che ha terminato da poco il suo libro più importante. Anna, che mi ha fatto uno dei più bei regali che abbia mai ricevuto portandomi con lei a casa di un grande poeta. Penso anche a lui in questi giorni perché sono andato a rileggere il suo viaggio terrestre e celeste, che mi ha dato qualche suggestione utile per il cammino.
Claudia, Simona e Rosanna, che mi precederanno di pochi giorni e un po’ di chilometri sul cammino ed Enrico, Emanuele e (se ho ben capito) altri che si uniranno a loro nell’ultima parte. Forse ci incontreremo, forse no. Sicuramente cammineremo insieme come abbiamo sempre fatto negli ultimi vent’anni a dispetto di una lontananza apparente, passo dopo passo. Sempre grazie a una certa contemporaneità e compresenza che molti non credono possibile.
Davide (che ho conosciuto il mese scorso: siamo diventati amici all’istante), Luca e Paola. Tre persone molto diverse tra di loro, ma tre persone che hanno già fatto il cammino e che mi hanno mostrato quante cose lungo il cammino possono cambiare. E di quante altre si può vedere il significato, che forse non è lo stesso che cambiare ma non è neanche del tutto diverso.
Marcella, Giuseppe, Giuliano, Sonia, Simona. Che in momenti diversi e ciascuno con il proprio stile mi hanno aiutato a “muovermi” e mi hanno fatto capire quanto è importante il movimento del corpo. Così come altri mi hanno aiutato nell’ascolto del corpo: Andrea, Giovanna. Il lavoro che ho fatto su me stesso grazie a loro non è estraneo al cammino che comincio ora.
Di conseguenza anche tutti quelli che da ormai sei anni condividono con me lezioni e serate al Café latino, all’Estoril, alle Terrazze e in tanti altri locali di Genova e delle riviere. Anglona, Cristina.
Poi il caro Andrea, un tempo collega poi vero amico, che qualche anno fa ha preso la “via breve”.
I miei ex compagni del corso di giornalismo. Forse non tutti, ma una buona parte. Strana e bella compagnia in cui, nonostante le difficoltà, i percorsi diversi e le differenze di idee e di vedute, in definitiva ci si guarda con vero affetto. A volte mi accorgo che è davvero tanto e non mi sembra ancora irragionevole aspettare che cresca ancora, o che esploda in esiti ancora da vedere.
I miei colleghi. Non farò nomi qui, non sarebbe giusto. Quelli che condividono con me lo stesso posto di lavoro da tredici anni e quelli che sono arrivati dopo, in momenti diversi. Quelli che sono anche diventati amici e persone importanti per la mia vita. E quelli che forse lo diventeranno presto. Quelli che mi hanno fatto crescere anche attraverso le discussioni, il dissenso e la critica. Quelli che mi hanno aiutato nei momenti difficili a non commettere errori fatali, e quelli che quando li ho commessi erano presenti, chinati con me a raccogliere i cocci e tappare le falle. E poi anche quelli della macchinetta del caffé, spazio di chiacchiere e di teatro minimo quotidiano a cui è davvero difficile rinunciare.
Gli amici che ho conosciuto attraverso il blog e attraverso internet. Quelli dei barcamp e quelli del Festival del Giornalismo di Perugia. I blogger e non solo. Rita, Davide, Carlo, Monica, Augusto, Rosa, l’Alga, Silvia, Mauro, Antonio, Antonio ldf e centinaia (non esagero) di altri. Anche alcuni rari contatti facebook che si sono fatti voler bene anche attraverso quel gioco di facce. Manuela. Massimo. Stefano. Ginevra. Arianna. Poi i pezzi di vita, famiglia e non solo, che ho inserito nuovamente in una quasi quotidianità, speciale e sorprendente, attraverso i social network. I cugini lontani Giuseppe, Laura, Patrizia, Lisa, Chiara, Francesco, Sergio, Gabriela, Marcelo. Lo zio Roberto, grande cuore, grande tempra da vero italiano d’Argentina.
Tutti costoro sono la prova che il fattore determinante di un rapporto umano rimane sempre quanta della nostra umanità mettiamo in gioco. E che molti rapporti nella cosiddetta “real life” sono molto più virtuali dei rapporti che nascono attraverso la rete. Che è un mezzo come qualsiasi altro.
Poi un altro pezzo di compagnia degli ultimi anni, incredibile, paradossale nella sua continuità, nella sua forza: gli amici che condividono con me la passione per la Sampdoria. Un insieme davvero improbabile, divertente, quasi miracoloso per eterogeneità e imprevedibilità. Una riserva di buon umore da cui attingere a piene mani ogni giorno, qualunque cosa accada. Insostituibili. Come vi ho promesso ci sarete e ci saranno quei colori, non dubitate.
Poi ci sono i “trasversali”, quelli che rientrano in almeno due dei gruppi già menzionati. Estrellita, Tambu, Imbarco, l’Impiegato, Sara la giardinicola, Fatima, Filippo El Mariachi, Patrizia “Scalpo”, Giorgio “made as hell”, Stefano, Lullaby.
Ultima ma non certo ultima, la donna di cui sono innamorato e che voglio conquistare. È la più bella sorpresa di adesso. Perché pensavo di cominciare il cammino da solo, ma proprio da solo, non unicamente nel senso di camminare senza nessuno al fianco ma anche nel senso di pensare solo a me. Pare proprio che non sia possibile: non che mi dispiaccia, è che non lo avevo proprio calcolato. E se un pellegrino ha bisogno innanzitutto di essere spiazzato e di vedere i suoi laboriosi piani dissolversi al primo passo, beh: esiste forse un modo migliore o più desiderabile in cui possa accadere?
Quelli che non mi vengono in mente ora e che sicuramente si faranno presenti in qualche modo lungo la strada.
Chi vuole può provare a seguirmi un po’ on the road. Su questo blog non tornerò prima del 22 agosto.