Le schifose contestazioni all’interno delle manifestazioni per il 25 aprile a Milano non devono essere ritorte strumentalmente contro il prossimo governo. Sarebbe un’operazione della stessa pasta: schifosa, indigeribile. Sarebbe lo stesso errore: il 25 aprile è una ricorrenza che richiama valori fondativi. E allora non bisogna usarla per nessun altro scopo. Usarla per altri scopi è proprio della cattiva utopia che ha inquinato la ricorrenza dall’immediato dopoguerra ad oggi.
Non c’è mai stata una vera celebrazione del 25 aprile. Se dopo 60 anni di democrazia non è ancora chiaro, lampante, cristallino che è indecente cacciare chiunque dal corteo del 25 aprile, tanto meno un avversario politico, vuol dire che per una ragione o per l’altra (o meglio con pretesti sempre diversi) la ricorrenza non è mai stata celebrata come dovrebbe essere celebrata. È, se si vuole, il fallimento della celebrazione laica, con buona pace delle buone intenzioni di Ciampi, perché la pretesa laica di fondare valori fallisce dove tenta di costruire il sacro (perché una ricorrenza come quella del 25 aprile tende naturalmente alla dimensione del sacro, sia per la memoria dei caduti, sia per il valore fondativo che ha per la comunità): ne è incapace, strutturalmente. E quindi può essere celebrazione, può richiamare valori fondamentali, può essere condivisa solo fino a un certo punto, non compiutamente.
Io non ho mai partecipato a una manifestazione del 25 aprile. Non sono mai stato portato per mano dai miei genitori in un corteo, o davanti alla lapide di un partigiano. Ma chiunque conosca me e la mia famiglia non può dubitare che per me il 25 aprile sia fondamentale. Se ciò non è mai accaduto, è perché la festa è sempre stata inquinata, e la mia famiglia, come tante altre, ha subodorato l’ambiguità e se ne è tenuta lontana. Dispiace dirlo, ma è cosi. Dispiace anche constatare, peraltro, che non si sia mai creata una reazione accettabile a questa sottile violenza, al punto da far pensare a molti che sia normale, in fondo, che la festa di liberazione sia la festa di una parte. Non è normale, è abnorme, e bisogna cominciare a dirlo. Non è mai troppo tardi: la memoria è importante. Ma la memoria ha bisogno di occasioni concrete, non ambigue. E queste, diciamocelo, non sono state porte in 60 anni con grande facilità. Non può dunque essere accusato di scarso impegno o scarsa memoria chi non ha mai partecipato. Anzi, probabilmente chi ricorda fin troppo bene ha avuto sempre qualche buon motivo per non partecipare.
Spero che la giusta repulsione che si prova per l’ostracismo fascista alla Moratti e a suo padre contribuisca a far maturare presto il primo vero anniversario del 25 aprile. Da tempo desidero trovare un modo per esserci. Ogni anno spero ingenuamente di poterlo fare, ma ogni anno c’è qualcosa che me lo impedisce, ogni anno c’è qualche motivo per cui non mi sento libero di farlo. Sarei davvero felice di poter celebrare, un giorno, la mia prima festa di liberazione. Non la mia personale festa di liberazione, quella la celebrerò con altre modalità e in altri luoghi. Il 25 aprile ha senso se è una celebrazione collettiva. Quando si creeranno le condizioni perché sia davvero la collettività a celebrarla, non mancherò, per niente al mondo.