Cronachesorprese

29 Giugno 2007

Abbreviazioni: punto.

Filed under: chiedici le parole,il viandante digitale — alessandro @

Questo blog non è un essemmesse!

Aderisco convinto, anche perché io da sempre, anche da prima dell’invenzione del T9, con gli esseemmeesse scrivo romanzi. Ci metto tre quattro minuti magari, ma non uso mai abbreviazioni. Le uniche che mi concedo solo le sigle delle province. Scrivo vado a GE, vado a SP. Per il resto parole intere e consecutio temporum ben tornita, con l’ovvia attenzione alla sintesi giornalistica. Figuriamoci quanto mi piace chi scrive sui blog come io non scriverei mai sul cellulare neanche per chiamare un’ambulanza dopo essere stato investito da un Tir.

Voglio estendere l’argomento a una questione che mi sta molto a cuore. Lavorando in una redazione web ho notato, nel corso degli anni, che pochi riflettono su quanto sia improprio e inutile riportare sul web abitudini tipografiche e redazionali della carta stampata. L’esigenza di brevità che c’è sul web non è data dalla mancanza di spazio, ma dalla necessità di catturare l’attenzione del navigatore nel minor tempo possibile per invogliarlo a fare qualche clic in più e non affaticarlo troppo nella lettura a video. E neanche questo è un dogma, o almeno non lo è più. Con la diffusione dell’adsl uno dei pilastri del web writing di dieci anni fa (il tempo del navigatore costa) è crollato. Il punto è saper interessare, approfondendo a ogni clic. E ci deve essere almeno un livello di dettaglio in cui la brevità si fa da parte a vantaggio della completezza di informazione e documentazione.

Se la brevità non viene dalla mancanza di spazio, tutte le abbreviazioni e le parole puntate non hanno ragione di esistere sul web. Nelle tabelle possono essere usate, ma possono anche essere evitate senza grandi sforzi. Anche quelle ben consolidate del gergo giuridico, per fare uno degli esempi più tipici. D.Lgs.? No, decreto legislativo. Sempre, senza eccezione alcuna, se si parla di testo libero e non di tabelle.

Primo, perché ci sarà sempre qualcuno che non sa cosa vuol dire quell’abbreviazione e avrà bisogno di andare da qualche altra parte a chiarirselo: e sul web devo cercare di evitarlo, perché le vie di fuga in un browser sono già troppe, indipendentemente da come è progettata la mia pagina, ed è bene che sia così.

Secondo, perché il punto sul web ha un significato che sulla carta stampata non ha mai avuto, dato che è un elemento essenziale delle url. Se lo uso solo a fine frase non dò adito a nessun equivoco e a nessun conflitto di formattazione (ci sono degli editor, come quello di gmail, che formattano automaticamente come url una parola con un punto in mezzo).

Terzo, perché storicamente l’abbreviazione è nata per risparmiare carta e per consentire impaginazioni pratiche, soprattutto in forme tabellari. Ma il web, e l’ipertesto in genere, hanno possibilità di presentazione e impaginazione che le tipografie non si possono neanche sognare.

Quarto, perché punti, abbreviazioni, simboli eccetera (non ecc.) sono altrettante pause mentali nella lettura, sono ostacoli al fluire della lettura mentale e visiva. Se in un testo pubblicato su carta me lo posso permettere, in un testo che deve essere letto anche a video è meglio evitarlo.

27 Giugno 2007

Vai avanti tu

Filed under: cronache — cronachesorprese @

Comincia ad autodefinirsi populista. Come se fosse qualcosa di cui vantarsi.
Non vado spesso sul blog di Beppe Grillo, ma quando ci vado non vedo mai molti motivi per rallegrarmi. Vorrei, da un certo punto di vista. Perché sicuramente Beppe ha capito molto bene quanto sia importante oggi stimolare la cultura del controllo dal basso sulla politica e sulle istituzioni.
Ma il risultato qual è? Una folla osannante di fan che si identificano totalmente nelle sue battaglie, soltanto perché sono sue. Perché tutto ciò che fa e dice è (sarebbe) contro il sistema, contro le mafie.

Non condivido le crociate contro i parlamentari inquisiti. Beppe, se mi dici che molti partiti hanno candidato dei poco di buono per tirarli fuori dai casini ti dò ragione, non è una cosa bella. Come si risolve? La gente deve imparare a non premiarli elettoralmente, anche se l’attuale legge elettorale non aiuta a scegliere la persona. Non si può risolvere con una legge che impedisca agli inquisiti e ai condannati di candidarsi. Io ho molta più paura di una legge così che di un malcostume. Allora trasferiamo il problema dalle sedi di partito ai tribunali, cioé per togliere ai partiti il potere di candidare un poco di buono diamo ai magistrati il potere di scegliere chi può fare il politico e chi no. Io preferisco eccedere in garantismo che in altro. Perché bisogna demandare alla legge, o peggio ai giudici, una responsabilità di scelta che è solo nostra?

Non condivido neanche l’esecrazione dell’annunciata legge che vuole dare regole diverse per la diffusione sulla stampa dei contenuti di tutte le intercettazioni. Se non sbaglio più di dieci anni fa è intervenuta una legge sulla privacy. Forse è necessario qualche adattamento, per tutelare aspetti della vita privata e di interessi legittimi, non rilevanti ai fini delle indagini, che sono stati spesso spiattellati e offerti al pubblico ludibrio. Non sarà così difficile salvaguardare diritto di informazione e diritto alla privacy contemporaneamente, no? Girala un po’ come vuoi, Beppe, ma dietro questa levata di scudi per la libertà di informazione c’è solo una voglia di una rivalsa che va oltre la giustizia. Il calcetto vigliacco al ferito rantolante.

Insomma, ce ne sono di motivi per non essere d’accordo. Ma chi è adepto del Beppe non ha intenzione di andare per il sottile, o quanto meno nessuno lo sta aiutando a fare qualche distinzione, a variare sul menu proposto. E quindi Beppe, per corroborare questo clima emotivo che tanto è proficuo per le sue nobilissime cause, vuole istituire anche il V-day: e tutti sì, bravo, mandiamoli dove meritano.

A me non piace questo concentrare rabbia. Non è vero che fa leva sul ragionamento. Gli argomenti buoni non mancano, però sono mischiati ad altri mediocri ed emozionali, e allora perdono valore anche quelli buoni. Non mi piace che si usi tutta la propria forza di testimonial e di volto televisivo per dare alla gente una giustificazione esteriore della propria rabbia. Io non credo che tutti quelli che andranno al V-day, se mai si farà, lo faranno per una rabbia vera contro la politica.

Gratta gratta ci saranno molti che in realtà sono arrabbiati con la suocera, e non sanno quanto.

Il Rubagotti innamorato

Filed under: forse cercavi,lo spettatore indigente — alessandro @

Lancio un appello per un mio visitatore bergamasco che cerca come si bacia movies.
Se cerca i film vuol dire che le lezioni teoriche non bastano più. E insomma, son problemi.
A parte lo scherzo. Lancio il mio contest. Qual è il bacio cinematografico che vi è rimasto più impresso? Astenersi Notorious, troppo facile. Io dico quello reiterato tra Tony Curtis e Marilyn Monroe in una scena esilarante di A qualcuno piace caldo. Anche perché è il più prossimo che mi venga in mente a un improbabile bacio da laboratorio.

26 Giugno 2007

Mettere in tasca il risultato

Filed under: cronache — alessandro @

Uno scudetto oggi si vince spendendo due milioni a gol.

23 Giugno 2007

Battersene

Filed under: le specie musicali — alessandro @

batebalengoQualche anno fa scrivevo: la società nasce come danza, la lingua nasce come poesia.
Lo ritengo l’argomento definitivo contro la vivisezione struttura – sovrastruttura, che non spiega le cose più importanti e interessanti. Che spiega veramente poco dell’uomo.
Capita ogni tanto di vedere riemergere l’evidenza dell’argomento.
Ho seguito per una sera i Batebalengo per le strade di Varazze. Una sera che non finiva mai, come è anche giusto in prossimità del solstizio; ma una sera in cui il tempo si è contratto in un attimo, e lo spazio è stato ricreato.

I batebalengo non fanno molto di diverso dalle bande di paese, non ne sono distanti come idea, anche se la musica lo è. Forse le bande di paese in Brasile sono così. In Brasile i Batebalengo sarebbero una delle tante formazioni di samba piccole a piacere. Ma hai voglia a dire piccolo. Quella è la piccolezza dell’originario, non la minutaglia del trascurabile. Quando te ne batti e fai ritmo, e lo fai bene, nasce qualcosa.

Quello che mi piace delle percussioni è la semplicità e l’immediatezza del loro linguaggio, che non si impara. Tutti hanno qualcosa da dire senza dipendere da un pre-concetto. Una cosa semplice, un punto o una virgola, posso metterla anch’io in maniera elementare senza che me l’abbia insegnato nessuno.
E poi le percussioni si cercano e si trovano tra di loro. Il loro chiamarsi e richiamarsi è qualcosa di più di una metafora della creazione dello spazio sociale: avviene davvero, fisicamente, con il ritmo. E chi se ne batte di strutture e sovrastrutture. C’è qualcosa che viene prima.

Così è successo anche ieri a Varazze. Dicono che accada raramente, e per questo mi ritengo molto fortunato.
A un tratto, quando il gruppo si è fermato a suonare in uno slargo, sono spuntati volti e trecce e mani e vestiti colorati di senegalesi, credo. Uno dietro l’altro. Un djembe, un bonghetto, una sedia presa a prestito dal bar accanto. Quattro ragazzi si sono inseriti sulla base rigorosa dei Batebalengo e hanno cominciato a dialogare con loro. Una jam session di sole percussioni in piena regola. Botta e risposta. Batti e ribatti. Movimenti spontanei, embrioni di vera danza tra la gente che ascoltava. Riunita in un attimo. E soprattutto facce distese, aperte, sorridenti, serene.
Quanto è andata avanti? Non lo so. Il tempo si è contratto in un attimo, e alle due e trenta mi sono ritrovato a casa.

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