Cronachesorprese

18 Novembre 2023

L’innamoramento morirà?

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Due considerazioni di diverso ordine sulla morte della povera Giulia Cecchettin

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Io davvero non capisco come possa succedere. Eppure l’ho provata la gelosia accompagnata alla frustrazione del rifiuto; la mortificazione di vedere ragazze e donne di cui ero innamorato scegliere altri e prendere strade che le portavano, anche geograficamente, lontane da me; il desiderio di vederle ancora, di dichiararmi ancora, di spiegare…

Credo insomma di essermi trovato in situazioni analoghe a quella che ha scatenato in questi giorni l’ennesimo delitto orrendo, e ho dovuto uscirne, all’epoca, senza neanche il sostegno dell’esperienza e di una sufficiente maturità affettiva. E se l’assassino fosse un violento conclamato potrei tranquillizzarmi pensando: ok, non sei stato educato al contenimento della rabbia e della possessività. E invece no, il ragazzo sembra davvero distante da questo tipo. Sembrava, almeno.

Si parla di educazione all’affettività. Ma cosa è cambiato rispetto a quando ero ragazzo e adolescente io? Perché molti ragazzi di questi anni venti, ragazzi che in apparenza non hanno motivo per non sperare nelle proprie capacità e nel futuro, sembrano così inabili a gestire una frustrazione e un rifiuto? Non è “patriarcato”, come pretende una deriva ideologica ormai consolidata. Se i maschi che arrivano a questi eccessi avessero caratteristiche comuni tra di loro potrei pensare che c’è un problema di modelli. Ma sono ragazzi molto diversi tra loro.

In questo quadro, mi manca un pezzo: non capisco come si possa arrivare a tanto, non capisco come un pericolo del genere si possa prevedere e scongiurare se non tirando su barricate, e ho molta paura delle conseguenze che il ripetersi costante di questi episodi può portare all’educazione affettiva. Ho una figlia di due anni e mezzo. Tra dieci anni cosa le dirò? Come posso difenderla non solo dalle cattive compagnie (quello forse è facile) ma anche dall’interiorizzazione di un timore che potrebbe non farle vivere l’abbandono dell’innamoramento, la bellezza del potersi fidare? Oggi non lo so. Spero di trovare le risposte in tempo.

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Leggo peraltro con un po’ di stupore accuse all’informazione che trovo un po’ esagerate. Perché non sono incentrate sul rispetto della deontologia (ed è pur vero che anche in questo caso gli errori ci sono stati) ma su una presunta corresponsabilità: si dice insomma che se queste cose continuano a succedere è anche perché la narrazione giornalistica è già impostata per un alleggerimento delle responsabilità dell’uomo. A me, sinceramente, non sembra che sia così. Dire che il ragazzo è un povero disgraziato non toglie nulla alla gravità di ciò che ha fatto e spero (ammesso che sia ancora vivo) che le pene siano conseguenti.

6 Novembre 2023

Pancia di guerra

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La guerra è drammatica, non c’è nessuno che non abbia le mani sporche di sangue. Il pensiero corre spesso alle tante atrocità e non puoi fare a meno di leggere, cerchi di orientarti nel groviglio di cause prossime e remote, di violenze e di vendette, di azioni scellerate che in un attimo distruggono anni di tessitura di un’ipotesi di convivenza.

Sai che nessuno ha ragione. Ritieni che l’unica cosa ragionevole da fare ora sarebbe provare a separare efficacemente i contendenti e cessare il fuoco, senza la pretesa di trovare una “giustizia” che, allo stato attuale, è impossibile: poi, tra decenni, quando le ferite faranno forse un po’ meno male, si potrà guardare meglio a ciò che è successo.

E però apri i giornali online e vedi che a Napoli un gruppo di “studenti” (vabbé) ha occupato un’aula universitaria “a sostegno della Palestina, fino alla vittoria”. Ah però, questo serviva proprio. Che gesto coraggioso e profetico, che rigorosa consequenzialità a chissà quale acuta analisi. E meno male che sono quelli che studiano, figuriamoci quelli che reagiscono di pancia.

Ti combatto, dunque sono

Filed under: cronache — alessandro @

Forse è prematuro, perché i due grandi conflitti che hanno funestato gli ultimi due anni sono ancora ben lontani dallo spegnersi: uno è appena cominciato (o meglio: è appena deflagrato), un altro si sta impantanato in uno stallo senza uscita.

Però l’unica speranza per il domani è che ci sia almeno un manipolo di resistenti che, anche nel dolore e nella fatica di questi giorni, comincino a immaginarsi quello che viene detto qui. Che è il metodo cristiano, ma mi fa pensare anche al “kintsugi” giapponese e antropologicamente è per tutti. Quando le offese sono così grandi e reiterate nel tempo i nemici diventano loro malgrado fratelli, perché l’uno implica l’altro nella vita, nella morte e nella memoria, e non c’è alternativa alla convivenza.

Israeliani e palestinesi, ucraini e russi vivranno per sempre insieme anche se dovessero scegliere di essere separati, e prima o poi dovranno passare dalla distopia dell’annichilimento del nemico alla creazione di un nuovo spazio, se non di convivenza, almeno di accettazione in cui l’altro sia limite e insieme orizzonte. Non so se sia un’utopia, ma a pensarci bene è l’unica strada rimasta.

25 Aprile 2023

Di spartiacque e liberazione

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Nella sua lettera di ieri al Corriere Giorgia Meloni “ha detto anche cose buone”. È naturalmente irricevibile la proposta di metamorfosi da “Liberazione” a “Libertà” della ricorrenza del 25 aprile, ed è anzi abbastanza sorprendente che la Presidente del Consiglio riprenda oggi un’idea che già nel 2009, quando fu avanzata da Silvio Berlusconi, venne aspramente criticata con una varietà e abbondanza di buoni argomenti che sono puntualmente ritornati ieri in molti commenti. Come è sorprendente che richiami lo strappo di Fiuggi, dato che l’esperienza di Fratelli d’Italia nacque in evidente discontinuità, sia pure a distanza di anni, con la coraggiosa presa di posizione di Gianfranco Fini. È questo anzi il vero punto debole dell’attuale destra di governo su questi temi valoriali: Meloni rivendica una purezza “generazionale” che le si concederebbe volentieri, se non fosse che la marcia indietro del suo partito rispetto ad Alleanza Nazionale, e scelte a dir poco improvvide e divisive come quella di portare La Russa alla Presidenza del Senato, la smentiscono nei fatti.

Altre critiche mosse alla lettera tra ieri e oggi, tuttavia, mi sembrano più deboli e strumentali. Nel testo non c’è la parola “antifascista”? È una pretesa un po’ fondamentalista, se è lecito applicare a questo campo categorie esegetiche nate in altri ambiti. Il motivo per cui non c’è quell’affermazione letterale è spiegato nel testo, ed è la perdurante difficoltà causata da chi usa la parola “fascista” per marcare un’agenda di una parte politica. Aveva ragione Violante, c’è stato un “uso proprietario” della parola “antifascista”, è un fatto innegabile: un vero e proprio abuso che ha prodotto ferite almeno fino agli anni di piombo (ma anche oltre) che faticano a rimarginarsi. Se quella parola fosse stata usata solo contro chi non riusciva a liberarsi di nostalgie e ambiguità avrebbe avuto un senso, invece è stata usata indiscriminatamente come una clava contro qualunque avversario dei sedicenti antifascisti e contro qualsiasi idea osasse (e osi tuttora) contraddire i dogmi dell’agenda progressista.

Si può comprendere dunque se oggi Giorgia Meloni, nel ruolo di primo piano che libere elezioni le hanno assegnato, usa altre parole per indicare lo stesso concetto in riferimento ai principi costituzionali, e si possono apprezzare i passi in avanti che le sue dichiarazioni comportano. Curioso peraltro che la critica venga dagli stessi che hanno ribattuto giustamente a La Russa che è la Costituzione stessa a essere antifascista, anche se non ha al suo interno la parola antifascista: e perché dunque la presidente del Consiglio dovrebbe essere obbligata all’enunciazione esplicita?

Mi sembra, ad esempio, che Meloni parlando del 25 aprile come di uno “spartiacque” distingua correttamente la lotta di Liberazione dalla “spirale di odio” che continuò ancora per qualche anno e che rappresenta il cavallo di battaglia del revisionismo che vorrebbe imputare quelle violenze a tutto il movimento partigiano. Se di spartiacque si tratta, allora si possono finalmente distinguere le due questioni, dare alla lotta per la Liberazione il valore fondativo e condiviso che merita, e mettere gli strascichi di vendette e violenze, così come il dramma di Istria, Fiume e Dalmazia, sotto la lente del giudizio storico senza rimozioni di alcun genere. Percorrere rigorosamente la strada indicata da questa distinzione è l’unico modo per dare alla parola “antifascista” quella singolarità che rivendica a buon diritto rispetto ad altri “antiqualcosa”.

La nostra Repubblica è nata dal ripudio del fascismo: restituiamo quindi la parola a questo unico significato e anche la destra di governo arriverà prima o poi a usarla senza alcuna reticenza. Una speranza più che una convinzione razionale, lo ammetto, ma la strada è quella, è chiara davanti agli occhi di tutti e si può intraprendere tranquilli per amore di patria e di verità.

Non è ancora compiuta la ricomposizione che permetterà di celebrare il 25 aprile come festa unitaria, senza sottintesi, rancori, riserve di alcun genere. Ma forse un piccolo passo in avanti ieri è stato fatto. Dovranno passare anche questo governo, anche questa legislatura, dovranno spegnersi le vampate polemiche generate da questa stagione, ma stiamo vivendo forse un passaggio di chiarimenti ancora necessari, di mal di pancia finora nascosti e non detti, somatizzati per troppo tempo, che finalmente trovano uno sfogo terapeutico. La patologia, sia chiaro, non è di una parte sola ma affligge tutto il corpo sociale e politico. Spero di non peccare di utopia, ma mi auguro di vedere la risoluzione del conflitto “con i miei occhi carnali”, “nella terra dei viventi”.

27 Febbraio 2023

Fuoriuscire o essere

Filed under: cronache — alessandro @

Il problema non è “raccogliere i cattolici fuoriusciti dal PD” o da altri partiti. Tutti i partiti hanno dato, chi più chi meno, chi prima chi poi, motivi ai cattolici per “fuoriuscire”: dico, benedetto Fioroni, ma ci voleva la vittoria della Schlein per renderlo evidente? Il problema vero è liberare i cattolici dallo schema destra-centro-sinistra. Bisogna svincolare le questioni etiche dall’appartenenza partitica e raggiungere una sorta di “gentlemen agreement” tra le forze politiche perché su certe materie si possano formare consensi e dissensi trasversali senza mettere in questione l’appartenenza a maggioranze, alleanze, partiti.

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