Forse è prematuro, perché i due grandi conflitti che hanno funestato gli ultimi due anni sono ancora ben lontani dallo spegnersi: uno è appena cominciato (o meglio: è appena deflagrato), un altro si sta impantanato in uno stallo senza uscita.
Però l’unica speranza per il domani è che ci sia almeno un manipolo di resistenti che, anche nel dolore e nella fatica di questi giorni, comincino a immaginarsi quello che viene detto qui. Che è il metodo cristiano, ma mi fa pensare anche al “kintsugi” giapponese e antropologicamente è per tutti. Quando le offese sono così grandi e reiterate nel tempo i nemici diventano loro malgrado fratelli, perché l’uno implica l’altro nella vita, nella morte e nella memoria, e non c’è alternativa alla convivenza.
Israeliani e palestinesi, ucraini e russi vivranno per sempre insieme anche se dovessero scegliere di essere separati, e prima o poi dovranno passare dalla distopia dell’annichilimento del nemico alla creazione di un nuovo spazio, se non di convivenza, almeno di accettazione in cui l’altro sia limite e insieme orizzonte. Non so se sia un’utopia, ma a pensarci bene è l’unica strada rimasta.