Giuro che mi ero già chiesto, in qualche momento degli ultimi dieci anni, per quale motivo il successo di Alan Sorrenti di fine anni settanta non fosse ancora stato ripescato ufficialmente dalla macchina della nostalgia, sempre più scontata e sempre meno sorprendente. Il film che si è preso questa incombenza è divertente, ha qualche spunto degno di riflessione, ma è ben lontano dal convincere.
Dal punto di vista puramente narrativo la vicenda chiede fin da subito allo spettatore di perdonare troppe approssimazioni. Non si capisce nulla delle motivazioni dei personaggi. Non si capisce nulla di cosa veramente li metta insieme e faccia incrociare i loro destini. Si strappano sorrisi e si invoca la simpatia nel nome del “siamo sconclusionati, quindi tanto italiani, quindi tanto raccontabili e perdonabili, almeno al cinema”. Le buone idee non mancano ma sono un po’ troppo annacquate. Il livello della recitazione è un pochino sopra a quel mediocre standard televisivo a cui ci siamo purtroppo dovuti abituare anche davanti ai grandi schermi di casa nostra, e questa può essere forse una buona notizia, ma solo in prospettiva (per la prossima leva di attori, diciamo) perché la Pandolfi e Favino si possono giusto guardà ma continuano a essere lontanucci dalla Melato e da Giannini, tanto per fare un esempio. Un pochino meglio Tirabassi nella parte del sottosegretario rapito.
Sono appena uscito dal cinema, non ho ancora letto nessuna critica, ma per un film che parla di un rapimento “politico” fatto come se i soliti ignoti fossero entrati in clandestinità spero che ci vengano risparmiate le considerazioni su quanto sono lontani gli anni in cui i rapimenti erano veri e tragici e i giovani erano davvero impegnati. Cosa diranno, che “figli delle stelle” è l’inevitabile nemesi, ciò che rimane della memoria della stella a cinque punte?
Non voglio fare il cattivo, mi sono divertito. Un po’ furbetto nel complesso, un tentativo di far parlare con poco, ma un prodotto tutto sommato gradevole. Volevo solo fare un prolegomeno a ogni futura critica a questo film che si presenterà come analisi sociologica, come se questa storia potesse essere davvero rappresentativa di qualcosa di attuale. Di cosa? Della voglia di ribellione sempre frustrata nell’era dell’antipolitica? Io non so come possa scattare l’identificazione, l’immedesimazione.
Facciamo così: converserò volentieri intorno a questo film con chiunque mi rilascerà una dichiarazione scritta in cui si impegna a non usare le parole “sogni”, “ideali”, “ideologie”, “secolo scorso” e rinuncia a usare una qualsiasi frase del testo della canzone per commentare. Parliamoci chiaro. “Addio ragazza ciao, io non ti scorderò dovunque tu sarai, dovunque io sarò” non è un passaggio commovente. Non ho mai conosciuto nessuno che si sia commosso ascoltandolo o abbia meditato su quanto si senta sperduto nella notte che ci gira intorno. Alan Sorrenti era al di là del bene e del male e il testo della canzone era una puttanata, ci siamo affezionati e ci piaceva esattamente per questo.