“Se io fossi un giornalista non scriverei le cose che sento al mattino al bar mentre faccio colazione”.
Parole di Angelo Palombo, il capitano, che ha commentato così in sala stampa dopo la partita di oggi la faccenda del trasferimento improvviso di Cassano dalla Sampdoria alla Fiorentina, una mezza bufala uscita ieri e polverizzata stamattina quando ormai aveva invaso giornali, locandine e bar di tutta Genova. E non solo, naturalmente. Ma se parliamo di bar e locandine, in questo caso, parliamo soprattutto di Genova.
Mezza bufala, perché la notizia c’era. Ma la società, spiega l’amministratore delegato e direttore generale Beppe Marotta, non aveva ancora detto alcunché. In qualsiasi altro caso la notizia avrebbe potuto aspettare qualche ora in più. Ma questo è calcio e sono le ultime ore del calciomercato invernale. E, soprattutto, siamo in Italia. E a Genova.
C’era qualcosa di più della chiacchiera al bar, ma non moltissimo di più. Non si può dar torto al capitano. Ma al bar le orecchie bisogna tenerle bene aperte. Per capire qualcosa dei lettori, almeno. E per constatare poi, leggendo i giornali mentre si beve il cappuccino, cosa sono disposte a fare tante redazioni pur di conquistare qualche brandello di conversazione al bar.
31 Gennaio 2010
La verifica sportiva
29 Gennaio 2010
La verifica enigmistica
Mettiamo che in un ufficio stampa si scriva un comunicato per annunciare una iniziativa. E la si attribuisca ad alcuni soggetti, tra i quali un ente che non esiste. E non per un errore, ma di proposito.
Quanti giornalisti chiameranno chiedendo maggiori spiegazioni? Provate a indovinare.
A – Il 100% di quelli che hanno ricevuto direttamente o indirettamente il comunicato
B – Il 100% di quelli che hanno ricevuto direttamente il comunicato
C – Il 70% di quelli che hanno ricevuto il comunicato
D – Il 30% di quelli che hanno ricevuto il comunicato
E – Una percentuale variabile ma alta di quelli che hanno saputo la notizia dalle agenzie, che nel frattempo hanno ripreso il comunicato senza verificare
F – Una percentuale variabile ma bassa di quelli che hanno saputo la notizia dai giornali, che nel frattempo hanno ripreso le agenzie senza verificare
G – 0
Soluzione. Stampate questo post e girate il foglio. L’unica risposta che rimane leggibile anche con il foglio rovesciato è quella esatta.
27 Gennaio 2010
La memoria e la comunicazione
La celebrazione della Giornata della memoria diventa ogni anno più solenne e più “obbligatoria”.
La ricorrenza comporta una regola d’ingaggio istituzionale universale, chiede l’unanimità incondizionata e impone di esprimerla con la massima solennità possibile. È una strada obbligata? Forse. È senza controindicazioni? Non proprio. È nell’esperienza di tutti che una commemorazione che diventa troppo solenne rischia di imbalsamarsi e far sembrare finto ciò che, purtroppo, finto non è stato.
Questo rischio forse va preso. Ma bisogna prenderlo consapevolmente.
La solennità genera sempre le reazioni scomposte e dissacranti dei deboli e degli stupidi. Accade anche alle solennità religiose. Se si sceglie di sacralizzare la ricorrenza della Giornata della Memoria bisogna anche sapere che il miglior modo per trattare le inevitabili dissacrazioni è ignorarle. Mi spiace, ma è irrealistico pretendere che queste reazioni non ci siano. Sono il lato oscuro, il prezzo che si paga per l’energia che giustamente si spende perché la memoria di un fatto così abnorme resti viva. Queste reazioni ci saranno sempre: se qualcuno pensa che un giorno possano cessare è un illuso. Chi ha una fede religiosa lo sa bene, e una ricorrenza “sacra” come quella di oggi è una buona occasione per spiegarlo anche a chi una fede non ce l’ha.
Lasciatevelo dire: è inefficace e controproducente amplificare mediaticamente le reazioni degli stupidi e dei deboli, puntare i riflettori ed esercitare lo sdegno contro le scritte murali o altre idiozie. A cosa serve che tutti i rappresentanti politici di tutti gli schieramenti si straccino le vesti e facciano fioccare i lanci di agenzia? Qualcuno potrebbe pensare che è cattiva coscienza. Ma lasciamo perdere le malignità (saranno oggetto magari di un corso di aggiornamento a parte per nuovi utenti di ricorrenze sacre): sapete che succederà l’anno prossimo? Succederà che gli imbrattatori antisionisti saranno il doppio, il triplo. Non solo a Roma ma anche in altre città. Perché (anche) quest’anno hanno visto che il gioco vale la candela, funziona: i giornali ne parlano, le fotografie degli slogan irricevibili vengono ricevute ovunque nella parte di mondo sensibilizzata alla ricorrenza, i politici si agitano e “trottano” per dissociarsi. Un grande divertimento, e un modo per coltivare la propria fichissima nicchia antisionista. Viva la comunicazione e le sue leggi inviolabili.
Ma la giornata della memoria non è fatta solo di sedute solenni e di fervorini istituzionali obbligati e ripetitivi (e perciò stesso ottundenti, con buona pace della necessità della memoria). È fatta anche di cultura, di mostre, di proiezioni di film e documentari. Qui va un po’ meglio. Ho rivisto ieri con piacere Il pianista riproposto da Retequattro. Un film così bello vale sicuramente più di tutti i discorsi e ha anche il pregio di non “chiudere” il ricordo ma di aprirlo ad approfondimenti. Le immagini dei campi di concentramento, per quanto scioccanti, sono ormai “classiche”, sono come una canzone molto commovente che abbiamo sentito così tante volte che solo di rado ci commuove ancora. Invece raccontare, come ha fatto Polanski, la storia di una famiglia di ebrei a Varsavia e far vedere la progressiva e inaspettata perdita di ogni diritto e di ogni dignità nello stesso luogo, nella stessa città in cui quella stessa famiglia conduceva una vita normale, aiuta di più. E poi un film così non chiude il discorso come un’orazione funebre. Varsavia vuol dire ghetto, vuol dire rivolta del ghetto, vuol dire rivolta di tutta la città, vuol dire vicenda particolarmente drammatica e simbolica nel contesto della guerra non solo per gli ebrei ma per un’intera nazione che non è stata trattata molto meglio degli ebrei; vuol dire grave responsabilità dei sovietici che non hanno fatto nulla per aiutare gli insorti e hanno permesso distruzione e massacri oltre ogni misura. Vuol dire storia insomma, con tutta la sua complessità e la sua scarsa adattabilità a un discorso, per quanto alto, solenne e condiviso sia. Vuol dire, con tutto il rispetto per le esigenze della memoria, qualcosa che trascende la memoria. Del resto a cosa serve la memoria, se non ad andare oltre da uomini (e cioé a sperimentare la trascendenza)?
14 Gennaio 2010
Riotta, Google e il monopolio di Garibaldi
Per me Riotta è solo stressato e ha bisogno di una vacanza. Di un anno sabbatico. Che gli consenta di staccare, se non dal giornalismo (ha esperienza e scrive bene, perché privarsi del suo lavoro?) almeno dal ruolo di quello che va ai convegni o ai dibattiti televisivi.
Già a Perugia lo scorso aprile non ha dato segni di grande equilibrio facendo la voce grossa contro una studentessa di giornalismo che (ingenua) si era permessa di fargli una domanda. Poi ho letto che alla fine di dicembre ha partecipato a una puntata di Matrix dedicata all’omicidio Kennedy in cui è riuscito a far fare bella figura al complottista Mazzucco, un’impresa che non è da tutti. Di pochi giorni fa l’articolo in cui spiega in anteprima i contenuti dell’ ultimo libro di Jaron Lanier: un punto di vista, quello di Riotta, difficile da condividere ma che, se non altro, ha innescato un buon dibattito (Zambardino, Granieri, De Biase).
Questa sera, nella puntata di Otto e mezzo, il capolavoro. In studio Riotta, Zoro e Negroponte. Riotta è chiamato nuovamente a difendere i contenuti del suo articolo. Tra le altre cose dice qualcosa del genere (metto le virgolette ma non è una citazione esatta, ricostruisco l’affermazione per come la ricordo): “Se cerco Garibaldi con Google è vero che ottengo migliaia di risultati, ma gli studenti sceglieranno quasi sempre i primi dieci risultati: bisogna rompere questo monopolio”. E spiega in seguito che Google condiziona tutta la rete con il suo algoritmo e che (come aveva già scritto nell’articolo) Wikipedia fa la parte del leone. E che la prima pagina di risultati è “controllata dalle aziende”…
Se fosse vero, Google avrebbe già chiuso da un pezzo. Google non si può permettere che un sospetto simile abbia uno straccio di fondamento e sostenere anche tecnicamente un’impostazione del genere sarebbe troppo complicato. Quali aziende controllano i primi dieci risultati su Garibaldi? Aziendone, proprio. Sì, d’accordo, in un certo senso è vero: le aziende più brave nel posizionamento controllano quei risultati. Forse Garibaldi non è più una keyword molto ambita (sicché su di lui e su tanti altri gli studenti possono stare tranquilli; peraltro, visto che sono studenti, hanno di sicuro il tempo di scartabellare anche oltre i primi dieci risultati cliccando su una delle pagine seguenti a caso, questo è sicuramente un buon consiglio) ma ce ne sono certo di più ghiotte tipo Nexus One, Grande Fratello, Giornali di donne nude.
“Bisogna rompere questo monopolio…” non siete d’accordo? Chiede Riotta agli altri.
Ma quale monopolio? Google è un servizio che funziona bene. Esistono delle concessioni limitate su internet che impediscono ad altri motori di fare concorrenza a Google? Mi risulta di no.
Sinceramente non si capisce dove vogliano arrivare gli “allarmatori professionisti” come Riotta. Vogliono imporre a Google di rendere pubblico l’algoritmo? Vogliono imporre a Wikipedia una moderazione ante pubblicazione invece che post pubblicazione? Vogliono mettere un argine allo tsunami dei commenti anonimi che ogni giorno si riversano sulla rete da tutto il globo, comprese quelle parti del globo in cui anonimato significa libertà e salvezza? Sicuramente a ciascuna di queste domande quelli come Riotta avrebbero modo di sfoggiare una virtuosa indignazione. Ma intanto sfuggono. Dicono che il web troppo partecipato è male e non dicono cosa sarebbe bene. Così andrà a finire che del “fare” se ne incaricherà qualcun altro.
Come dice Zambardino, forse è il caso di attendere di poter leggere direttamente il libro di Lanier per andare più a fondo. Però che tutto il problema del web partecipativo sia:
– la massa dei commenti anonimi che infastidiscono Riotta
– il presunto controllo dei primi risultati delle ricerche di Google da parte di soggetti “forti”
– la grande visibilità di cui gode wikipedia (che per Riotta sta diventando un incubo)
mi sembra davvero troppo pretestuoso. Ma è lo stress, ne sono sicuro.
Fortunatamente Negroponte ha allargato un po’ gli orizzonti. E ha raccontato di bambini peruviani che non hanno libri, ma che con il loro portatile da 100 dollari hanno accesso alle stesse informazioni a cui ha accesso Riotta e le usano meglio: stanno insegnando ai genitori a leggere e a scrivere. Giusto, bene, Riotta approva. Ma è proprio un altro modo di vedere la rete, no? C’è chi la vive come un’occasione concreta di libertà e c’è chi la sente come un assedio. Da che parte stai, Riotta?
Solidarietà al grande Zoro che in questo contesto ha detto (il simil-romanesco è mio, in realtà i suoi interventi sono stati di una “politeness” impeccabile) che pe’ ddire lui si è rotto delle recenzioni de li ddischi de li ggiornali e ha scaricato illegalmente dischi dati per belli pe’ accorgersi che erano bbrutti. Lilli Gruber alza scherzosamente l’indice a mo’ di rimprovero; Zoro ribadisce il concetto di “illegale”, come per dire che non gli era scappato. Intuibile ovazione di una massa di potenziali commentatori e scaricatori anonimi.
Aggiornamento delle 22 del 15 gennaio
Ringrazio Wittgenstein e tutti i suoi lettori che hanno seguito fin qui il suo suggerimento di navigazione. Sopraffatto da questa singolare alluvione di accessi chiedo scusa per gli errori che avevo lasciato per stanchezza (febbre e sonno) e che ho levato ora.
Chi vuole può rivedere sul sito di La7 la puntata di Otto e mezzo di ieri sera.
10 Gennaio 2010
Appunti dai primi dieci giorni del decennio
Notte di Capodanno a Bologna. Non voglio più sentir dire che Genova è una città morta o che non sa accogliere. Mi aspettavo di darmi al bel tempo di osteria in osteria e invece i locali aperti intorno a piazza Maggiore erano pochissimi e ovviamente affollati all’inverosimile. E sì che di gente in strada e in piazza ce n’era. Buono il concerto Negrita – Dalla – Stadio, buone le altre iniziative in giro per le diverse piazze animate (bellissime le street band), ma organizzazione deludente e non all’altezza della fama di Bologna.
Dublino sotto la neve. Funziona tutto. Che strano :-) Le strade erano gelate ma i servizi impeccabili.
Mi sono fermato nel punto mediano tra Saint Patrick e Christ Church a osservarle entrambe. Una breve distanza le separa, ma una media tra ciò che senti entrando in una e ciò che senti entrando in un’altra non è possibile e questo probabilmente spiega tante cose della storia d’Irlanda. Ma non spiega che ci fanno un gatto e un topo mummificati in mostra nella cripta della Christ Church.
I pub sono in media più interessanti di gran parte di quelli londinesi, se si eccettua l’evidente sfruttamento turistico di alcuni in Temple Bar. La Porterhouse è un’esperienza: tre piani, musica dal vivo e una fantastica selezione di birre da tutto il mondo che però passano in secondo piano di fronte all’ottima birra della casa.
Lo Storehouse della Guinness è da provare, per almeno due ragioni: sentire il sapore che ha la pinta cui hai diritto alla fine del tour che è diverso da quello della Guinness trasportata in giro per il mondo, soprattutto dopo aver sgranocchiato un po’ di orzo tostato al punto giusto; guardare Dublino dal Gravity bar, uno dei migliori panorami sulla città (ancora meglio se al momento esatto di un bellissimo tramonto invernale, come è capitato a me).
Le soup of the day con il freddo diventano una risorsa fondamentale e sono meglio delle omologhe inglesi. In tre giorni e mezzo non ho mangiato quasi altro (oltre all’Irish breakfast nella mia ottima guest house). In particolare una di funghi e castagne, con il suo bravo pane nero, si fa ricordare ancora con gratitudine e bisognerà provare a riprodurla in qualche modo. Con una veloce ricerca ho trovato queste ricette di zuppe irlandesi, proverò ad aggiungere le castagne a quella di funghi e vediamo che viene fuori, poi vi saprò dire :-)
Music is everywhere. È vero quello che ho sempre sentito dire. Tutti gli irlandesi cantano o suonano. I locali che fanno musica (e buona musica, non solo quella tradizionale) sono tanti. Se penso che sono capitato in una delle settimane meno “animate” di tutto l’anno mi chiedo che succede in estate, o durante la festa di San Patrizio. Anche quelli meno bravi per strada hanno sempre qualcosa per cui vale la pena fermarsi un attimo ad ascoltare. In Temple bar mi sono imbattuto in questo strano trio: scusate la scarsa qualità delle immagini e non fate troppo caso all’andamento lagnoso dell’accompagnamento, ascoltate per qualche secondo la voce del ragazzino. Mi sono dovuto avvicinare per capire che era lui che stava cantando.
Befana e dintorni a Londra. Neve anche nella capitale inglese, freddo becco e occasione irripetibile per una full immersion al British Museum che ancora mi mancava, un viaggio nel viaggio. Ma c’è stato anche il tempo per la casa di Dickens e per la National Portrait Gallery, interessante più per la storia inglese che per la qualità della maggior parte delle opere in mostra (vabbé ci sta anche qualcosa di un certo Van Dyck, ma niente di paragonabile ai capolavori che si trovano nella vicina National Gallery). Sempre alla Portrait ho visto la temporanea From Beatles to Bowie, tante belle foto della swinging London presentate anno per anno. Protagonisti principali i Beatles e gli Stones e le carrettate di… modelle e non che li seguivano ovunque, ma anche alcune foto decisamente meno glamour dei primissimi Who, o i backstage di Hendrix, dei Kinks, dei Bluesbreakers e di tanti altri. Anche tanti solisti e gruppi poco conosciuti. Segnalo ad esempio a qualcuno a caso tra i miei lettori i Searchers :-)
Ormai ho preso il vizio dei teatri e dei musical. I prezzi sono ancora altini per un Billy Elliott o un Oliver, così ho ripiegato su un ottimo Dirty Dancing. Ogni cosa è buona: la qualità media delle produzioni londinesi da tutti i punti di vista (cantanti e/o ballerini, coreografie e soluzioni sceniche) è talmente alta che non è tanto importante vedere l’ultima novità. Almeno non lo sarà finché non avrò esaurito tutti i “classici”…
Uno spettacolo al quale non si può non partecipare (attivamente) nei primi giorni dell’anno è quello dei saldi in Oxford street e dintorni. La differenza tra il singolo acquisto che conviene (veri ribassi fino al 70%, posso testimoniarlo avendo visto gli stessi articoli nelle stesse vetrine a novembre) e la somma degli acquisti che ti rovina è uno di quei misteri della vita che bisogna accettare con stoica rassegnazione.