Se fossimo in una normale dialettica democratica, Salvini in una circostanza cosi avrebbe già dato le dimissioni, altro che andare in Polonia a fare l’ennesima sceneggiata patetica. Perché riguardo ai suoi reiterati endorsement a Putin degli ultimi anni i casi sono (solo) due: o ha preso finanziamenti da Mosca o ha preso una cantonata enorme che equivale a una sconfitta politica di dimensioni epocali. In entrambi i casi, l’unica risposta adeguata sono le dimissioni immediate dalle cariche di partito, in attesa che la fine della legislatura faccia il resto. Un uomo politico che ha a cuore le sorti della sua parte si comporta così. Se non ha gli attributi per farlo in prima persona, dovrebbero essere i quadri di partito a chiedergli di farlo. È a dir poco imbarazzante che ora cerchi di smarcarsi dicendo che è contro la guerra, e quindi anche contro Putin: pensa davvero di potersi salvare politicamente in questo modo? A livello personale cambiare idea, o disilludersi, ci sta; ma a livello politico un leader deve trarre le conseguenze di un errore così clamoroso, e togliere il disturbo. Quindi: se fossimo in una normale dialettica democratica, Salvini sarebbe finito.
Dico questo perché, anche se l’epoca del personalismo dei leader ci ha quasi completamente desensibilizzato, ogni tanto fa bene ricordarsi cos’è la politica normale.
Altra considerazione a lato, che però mi preme di più visto che riguarda le applicazioni politiche di ciò in cui credo: un grande abbraccio ai cattolici che sono stati ipnotizzati (anche solo per un istante) dai rosari rotanti.