Per me il web non è virtuale. Lo è quanto può esserlo il telefono, per dire: un’estensione tecnologica della capacità di comunicare.
Il fenomeno second life istintivamente non mi piace. Ma sono sempre stato respinto a livello superficiale dal forte accento posto sulla virtualità del “gioco”. Ora cerco di guardarlo diversamente, anche se non ho il coraggio di cominciare a giocare, refrattario come sono al role playing.
Vado nella pagina “create an avatar” della official guide e leggo: “Second Life is about personal expression and your avatar is the most personal expression of all. After all, an avatar is your persona in the virtual world”. Questa è una definizione molto ampia, che interessa sia chi costruisce un avatar del tutto fittizio che non ha niente a che fare con la propria first life (se non in senso psicologico, di proiezione o sogno, realizzazione in immagine di un desiderio: che è pur sempre espressione personale, innegabilmente), sia chi utilizza l’avatar come estensione della propria identità per arricchire le proprie potenzialità di comunicazione.
La presentazione di Roberto Lupi al Marcamp mi ha fatto considerare meglio questo secondo aspetto. Conferenze, convention aziendali, negozi elettronici, campagne pubblicitarie (come quella della Nissan, che a questo scopo ha comprato un’intera isola in Second life) per prodotti reali: le interazioni con la First life sono molte di più di quanto pensavo. Le sofisticate simulazioni che compongono il Second world si adattano a una grande varietà di comunicazioni e transazioni tra veri attori del First world. Quindi non è poi tanto virtuale. È un nodo del web che si dimostra, in questo momento, particolarmente competitivo nel realizzare l’aspirazione segreta del role playing “tradizionale”: infrangere la barriera tra il gioco e il mass media.