Cronachesorprese

23 Luglio 2007

Fragments of a voice

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Tutta lì, lei era in un frammento, era quel brano. Piece of my heart, quel volto, quegli occhi. E l’impossibilità di ripetere il grido nella vita con la stessa chiarezza e la stessa potenza. Fascinosum et tremendum.

Questo documentario della Abc.
L’ultima intervista televisiva: lei, non ancora abituata al successo improvviso che l’aveva investita tre anni prima, gioca e mette a punto il suo personaggio davanti alla telecamera.
Janis canta Try a Woodstock.
L’incredibile energia blues di Cry baby.

E per finire Mercedes Benz e la stupenda versione di Summertime.

Mi è venuta voglia di cercare un po’ di Janis su Youtube grazie a un’altra gustosa lezione sulla storia del rock di Ezio Guaitamacchi, dopo quella di due anni fa al teatro del Ponente di Voltri. L’ occasione era la serata dedicata a Janis Joplin nell’ambito della rassegna savonese Just like a woman.

Era la prima volta che ascoltavo musica al Priamàr. Non sarà l’ultima: il teatro all’aperto arrangiato nella parte più alta della fortezza ha un’ottima acustica.

Altra bella sorpresa della serata: c’era la cantante del duo genovese Cinnamomo. Si chiama Cristina Nicoletta: una voce bellissima, scolpita dalla passione e rifinita dallo studio; una chitarrista grintosa e un’interprete intelligente, credetemi (ascoltate Waiting bombs, anche se i brani presenti su Myspace non rendono giustizia all’intensità della voce dal vivo).

Savona, Fortezza del Priamàr, 21 luglio 2007

23 Giugno 2007

Battersene

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batebalengoQualche anno fa scrivevo: la società nasce come danza, la lingua nasce come poesia.
Lo ritengo l’argomento definitivo contro la vivisezione struttura – sovrastruttura, che non spiega le cose più importanti e interessanti. Che spiega veramente poco dell’uomo.
Capita ogni tanto di vedere riemergere l’evidenza dell’argomento.
Ho seguito per una sera i Batebalengo per le strade di Varazze. Una sera che non finiva mai, come è anche giusto in prossimità del solstizio; ma una sera in cui il tempo si è contratto in un attimo, e lo spazio è stato ricreato.

I batebalengo non fanno molto di diverso dalle bande di paese, non ne sono distanti come idea, anche se la musica lo è. Forse le bande di paese in Brasile sono così. In Brasile i Batebalengo sarebbero una delle tante formazioni di samba piccole a piacere. Ma hai voglia a dire piccolo. Quella è la piccolezza dell’originario, non la minutaglia del trascurabile. Quando te ne batti e fai ritmo, e lo fai bene, nasce qualcosa.

Quello che mi piace delle percussioni è la semplicità e l’immediatezza del loro linguaggio, che non si impara. Tutti hanno qualcosa da dire senza dipendere da un pre-concetto. Una cosa semplice, un punto o una virgola, posso metterla anch’io in maniera elementare senza che me l’abbia insegnato nessuno.
E poi le percussioni si cercano e si trovano tra di loro. Il loro chiamarsi e richiamarsi è qualcosa di più di una metafora della creazione dello spazio sociale: avviene davvero, fisicamente, con il ritmo. E chi se ne batte di strutture e sovrastrutture. C’è qualcosa che viene prima.

Così è successo anche ieri a Varazze. Dicono che accada raramente, e per questo mi ritengo molto fortunato.
A un tratto, quando il gruppo si è fermato a suonare in uno slargo, sono spuntati volti e trecce e mani e vestiti colorati di senegalesi, credo. Uno dietro l’altro. Un djembe, un bonghetto, una sedia presa a prestito dal bar accanto. Quattro ragazzi si sono inseriti sulla base rigorosa dei Batebalengo e hanno cominciato a dialogare con loro. Una jam session di sole percussioni in piena regola. Botta e risposta. Batti e ribatti. Movimenti spontanei, embrioni di vera danza tra la gente che ascoltava. Riunita in un attimo. E soprattutto facce distese, aperte, sorridenti, serene.
Quanto è andata avanti? Non lo so. Il tempo si è contratto in un attimo, e alle due e trenta mi sono ritrovato a casa.

13 Aprile 2007

Le cose, ultima edizione

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Mi piacciono le canzoni ilozoiste, fin dai tempi di Cose veloci di Garbo e della fantastica Disneyland di Sergio Caputo. Mi piacciono le canzoni che parlano delle cose. Questa è fresca fresca.

7 Aprile 2007

Plagi musicali

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I plagi in archivio sono ad oggi 483. Alcuni notissimi, altri insospettabili. Alcuni a dire il vero non li chiamerei plagi, ma citazioni, come quella di Ricky Fanté che inserisce una riconoscibilissima sequenza di Hey Joe di Jimy Hendrix nella sua It ain’t easy del 2004. Altre le classificherei semplici assonanze accidentali: è il caso di Brivido Felino (Mina & Adriano Celentano, 1998) e Michael Bolton (Love is the power, 1996). Certi casi di ricalchi multipli mi lasciano molto perplesso, come uno diviso in quattro tappe che coprono un periodo di 38 anni: dal 1961 (Jacques Brel, Voir un ami pleurer) al 1999 (Adriano Celentano, L’emozione non ha voce) passando per il 1988 (Ricchi e Poveri, Nascerà Gesù) e il 1992 (Nobuo Uematsu, Tenderness in the air). Ammesso che la sequenza di note coincidente sia copiata consapevolmente, sono davvero da considerare plagi se gli accompagnamenti e gli stili dei brani sono così diversi? Sono solo curiosità, niente di veramente riprovevole.
Però si sa che la discussione su cosa sia plagio e cosa non lo sia non finirà mai, anche se la legge deve naturalmente definire dei limiti, e lo fa.
Ascoltare i brani uno dietro l’altro dà molto da pensare. Ed è comunque divertente.

24 Gennaio 2007

L’ultima canzone di Lauzi

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Sia benedetto il samba che mi salvò
c’era l’arcobaleno e il popolo cantò
e il venditore d’acqua ballò per strada
comunque vada lo ricorderò

Armando Corsi ha composto la musica sette anni fa. Lauzi l’ha sentita, ha scritto velocemente le parole e ha voluto inciderla. Era l’aprile dell’anno scorso. L’hanno registrata tra amici, a casa di un altro chitarrista, Lauro Ferrarini.
Ora la canzone è inclusa nell’ultimo CD di Corsi, Buena suerte, presentato questa mattina a Genova.
Armando Corsi non ha solo il dono di una capacità tecnica e di interpretazione da fuoriclasse. È anche uno che fa star bene la gente. Che ispira serenità come la sua musica, come la sua chitarra, che è tranquilla anche quando insegue ritmi frenetici. La chitarra che sorride: non sarà un caso se lo chiamano così.

Parla di Bruno e si commuove. Anche il cantautore era uno che voleva rasserenare e basta, con la sua musica. Mai sopra le righe, ironico sì, ma mai sarcastico. Se canta che il samba lo salvò, è qualcosa che si capisce ascoltando la sua musica e le sue parole. Si capisce ma non si spiega. Questa salvezza è un’altra delle cose che non si può spiegare, come le altre che elenca Bruno in recitato, in un altro punto della canzone.

Poi nel disco ci sono altre cose veramente bellissime. Come la Canciòn del cubano Pablo Milanés, interpretata da Daniela Garbarino (la compagna di Corsi). E i brani strumentali che fanno parte da tempo del repertorio consolidato del chitarrista: lo splendido arrangiamento della Bourrée di Bach, che si avvale delle percussioni di Marco Fadda, o la Sonatina di Fossati.

Però rimane in testa la voce lieta e tranquilla di Bruno, intrecciata alla chitarra che sorride del suo amico Armando.

E il samba benedetto prese il volo e andò
e sorvolò la gente che lo salutò
quando si mette in testa di fare del bene
non vi conviene mai fermarlo, no.

Questo mio cuore era un pulcino
tutto bagnato, terrorizzato
ah, il vecchio samba passò le dita
rimarginando la mia ferita…

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