Cronachesorprese

29 Ottobre 2008

Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo #4

Filed under: chiedici le parole — alessandro @

Vi sentissi ogni tanto dire qualcosa di originale. Mi chiedo da anni (e non solo riguardo a voi) a che bisogno corrisponde questa necessità di farsi ripetitori di opinioni annusate nell’aria. Forse è l’ansia di appartenere a un concetto, a una definizione di “popolo”, quello delle “verità popolari”, che è una drammatica illusione.

Questo non è essere critici, questo è farsi compagnia, trovare conforto nel naso degli altri: annusi anche tu quello che annuso io? Ah bene, allora esisto, allora mi sento meglio. Farsi compagnia non è niente di disprezzabile. A volte si comincia ad essere compagni su presupposti sbagliati, ma la compagnia porta poi dove l’immaginazione all’inizio non arrivava, e riscatta. Perché l’essere compagni, cioé dividere il pane, è una necessità elementare. Ma se viene perseguita solo per sentire un’eco alle proprie sensazioni, ed esclude programmaticamente la possibilità di andare oltre, non può mai essere feconda.

Io penso che sarò me stesso finché sentirò questi automatismi estranei a me.

12 Ottobre 2008

Il mio lavoro

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Di solito parlo poco di me nel blog. Ieri mi è capitato di farlo perché ho voluto seguire per una volta un istinto. Oggi continuo per rispondere alla domanda di Galliolus nei commenti, che anche se è ironica merita una risposta :-)

Che lavoro faccio. Come ho detto, sono in una redazione web che lavora per una amministrazione pubblica. Il nostro compito è duplice: organizzare in presentazioni web il materiale e le risorse che provengono dall’attività dell’amministrazione; produrre contenuti per un livello informativo di mediazione tra l’attività dell’ente e il pubblico, che poi è il livello informativo principale dei siti di riferimento. Dico pubblico e non cittadino perché in dieci anni abbiamo imparato che il target cittadino si centra soltanto se si è in grado di parlare al pubblico come pluralità di destinatari indistinti, secondo la definizione di mezzo di comunicazione di massa. Per questo nel mio lavoro la competenza giornalistica è fondamentale, anche se non è certo l’unica (oltre a redattori abbiamo grafici, progettisti e programmatori); e per questo ha avuto sempre più spazio con il passare del tempo. Che piaccia o no (e a molti sicuramente non piace) il web ha aumentato la domanda di mediazione giornalistica. Questo è un paradosso, ma la verità vera ha sempre un aspetto paradossale: la necessità e la richiesta di mediazione giornalistica aumentano proporzionalmente all’aumentare della disponibilità di fonti inintermediate. La storia della nostra redazione web, da questo punto di vista, è un caso da manuale: nel momento in cui l’ente ha creato il canale internet, cioè ha fornito al pubblico una tecnologia abilitante per accedere a più risorse, l’aumento di relazione e di feedback con il pubblico e i cittadini ha creato l’esigenza non solo di organizzare meglio le risorse online, ma anche di mediarle secondo lo specifico del canale internet. Quindi l’attività classica da ufficio stampa non è più sufficiente, occorre una professionalità che declini anche nel canale internet le stesse esigenze di comunicazione; ma per fare questo deve accedere alle fonti e condividere le esigenze di comunicazione allo stesso livello dell’ufficio stampa, che è poi il livello a cui tutti gli altri giornalisti accedono alle informazioni. In breve, occorre un giornalista.

Non posso fare esempi. Chi sa dove e come farlo ha la possibilità di verificare. Ma anche tutti gli altri, a ben vedere.

11 Ottobre 2008

I miei primi quindici anni

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Un post di Stefano mi ha fatto venire in mente che oggi, oltre a essere il compleanno di Galliolus aka Searcher (auguri vivissimi), fanno anche quindici anni esatti dalla mia laurea.
Guardo le foto e mi vedo abbastanza diverso. Io sono contento di come sono cambiato. Recentemente mi hanno fatto un bel complimento, mi hanno detto che sono più “ragazzo” adesso di allora. Credo che sia abbastanza vero, anche se c’è sempre bisogno dello sguardo di un altro per capirlo.

Fanno anche quindici anni, dunque, che ho deciso di buttarmi nel giornalismo. Il mondo accademico non mi è mai piaciuto, e io non sono mai piaciuto a lui. Un mese dopo la mia laurea ero in una televisione locale della val di Magra a strappare con i denti (e praticamente da volontario) una gavetta che nessuno mi avrebbe concesso, e oggi ancora meno, nella carta stampata. Di quei giorni ricordo la bellezza del buttarmi in mezzo alla gente a fare domande, come buttarsi in un fuoco purificatore perché l’attitudine alla domanda coltivata nello studio diventasse meno tecnica e più essenziale; il gusto di raccontare tutto quello che capitava ma la politica e lo spettacolo in particolare; il piacere quasi fisico di confezionare ogni giorno qualcosa che doveva essere immediatamente fruibile. In pochi mesi ho fatto un centinaio di servizi filmati. Dopo anni di filosofia (che non è scevra da passioni ma ha i suoi tempi) è stata una sterzata fondamentale, ma interiormente non l’ho vissuta come una vera rivoluzione: è stata piuttosto la scoperta di poter coltivare in modo diverso la stessa passione. Quale sia questa passione, non ve lo dico. Perché ancora devo capire bene io stesso cosa sia. Ma è la stessa, non ho dubbi su questo.

Poi sono tornato a Genova per il diploma universitario in giornalismo: solo la frequenza, perché lo stesso anno in cui mi sono iscritto hanno pensato bene di non proseguire un percorso che in pochi anni aveva dimostrato di avere tutte le carte in regola per dare fastidio alle scuole dell’Ordine, e di far andare a esaurimento i corsi già iniziati. A quel punto di dare gli esami non mi importava più. Fare i tre anni di frequenza ha avuto senso soprattutto per gli stage (al Secolo e al Giornale i più importanti e formativi) e per il buon livello di una parte delle lezioni.
Poi è arrivata la passione per internet e il lavoro vero e proprio in una redazione web, praticamente un service per la PA. Sono dieci anni ormai. Ora sono pubblicista, lavoro da giornalista ma ho un contratto da metalmeccanico, destino comune a molti che si sono trovati a scrivere sul web.

Oggi che mi sono accorto casualmente della ricorrenza mi è venuto spontaneo scrivere queste cose. Non so perché. Ho seguito l’istinto, cosa che dovrei fare più spesso. Credo che uno dei miei maggiori difetti sia non fidarmi del mio istinto, mettere sempre in discussione ciò che mi suggerisce. A volte lo metto in discussione solo per dargli ragione; ma il più delle volte il ritardo che la discussione comporta è fatale, mi frega, mi fa perdere l’attimo. Come è evidente, per un giornalista non è un difetto da poco. Ma ho appena quindici anni, ho ancora tutto da imparare ;-)

24 Settembre 2008

Altrimenti ci arrabbiamo

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Dal punto di vista del metodo democratico esprimo solidarietà a Giulia Innocenzi nella sua battaglia per la candidatura alla segreteria dei giovani del Partito Democratico… e solo per quella battaglia, intendiamoci :-)
Però a una radicale giovane e sveglia che si impegna per rompere qualche sclerosi partitocratica suggerisco di fare più attenzione al linguaggio: l’espressione presidio non violento รจ veramente stantìa, senza contare che la specificazione fa pensare che l’alternativa della violenza non è del tutto assente, ma soltanto scartata. Sono sottigliezze? Può darsi, ma possono decidere molto. Già la parola presidio è netta, evoca mobilitazione forte, argine eretto a un pericolo; con la specificazione non violento si vorrebbe stemperarne l’impatto ma in realtà si enfatizza. A maggior ragione se si dice:

presidio non violento per il ripristino della legalità delle elezioni primarie

Sembra davvero una protesta contenuta a forza, che sta per tracimare, quindi non tanto controllabile. È questo il messaggio che si vuole dare? Va bene, ma allora il richiamo alla cultura della non-violenza non è più immediato, e comunque ci sarebbe tanto da dire anche su quella e sulle sue contraddizioni più o meno latenti. I radicali, che sostengono istanze a volte condivisibili (come quella lanciata la settimana scorsa, di cui spero che si parli molto, dell’anagrafe pubblica degli eletti), hanno bisogno di rinnovare un po’ il linguaggio e di contenere la loro prolissità. Credo che per loro sia una specie di istinto da coatti: si sentono da sempre vittime di oscuramenti e di una conventio ad escludendum che li tiene fuori dai giochi, e quindi quando si guadagnano un microfono o una telecamera ci si buttano a pesce e saturano il canale disponibile. Fanno fatica ad accettare che troppa informazione uguale a nessuna informazione: basta seguire una rassegna stampa di radio radicale o una qualsiasi fase di un qualsiasi incontro pubblico organizzato da loro.

4 Settembre 2008

Spammer bassi in soprabito giallo

Filed under: chiedici le parole,il viandante digitale — alessandro @

Nell’account di posta del lavoro mi stanno arrivando messaggi di spam particolarmente divertenti. I testi sono passati evidentemente attraverso un traduttore automatico, ma mi chiedo quanto fossero più coerenti nella lingua originale. Alcuni esempi:

Mittente: Il Bene e il Basso
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Mittente: Dettagli compra ora
Ora egli e Pronto ad Acquistare Molto Economici
Come dice che sacchetti sono sempre incarnato? Ci si sacchi molto economici. L’ordine affrontato immediatamente e si zurfieden. Aspetto si ispirera, date un’occhiata di tanto in tanto.

Mittente: Essere il bene adesso
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Come il protagonista del primo episodio di Cuori in Atlantide, potrei cominciare a pensare che non siano solo messaggi mitragliati a brèttio per pescare due o tre polli tra miliardi di terrestri. Queste stravaganze sono simili a quei segnali descritti nel romanzo di Stephen King: annunci di cani e gatti smarriti che non esistono e che rimandano a indirizzi e numeri di telefono sospetti o inesistenti, strane simbologie accanto agli schemi del pampano disegnati con il gesso sul marciapiede, un orologio da torre che sbaglia il numero dei rintocchi all’ora esatta. Segni dell’avvicinarsi dei pericolosi uomini bassi in soprabito giallo che stanno dando la caccia all’amico del protagonista. “Bassi” non vuol dire bassi di statura: vuol dire volgari, pacchiani, sinistri. Che si muovono in macchine enormi dai colori sgargianti e dalle forme improponibili.

Mi sembra una perfetta prefigurazione dello spammer. Che è un fascista l’ho già detto e ho sempre meno dubbi; ma ora mi sembra sempre più evidente che gli spammer, da bravi fascisti, usano non solo la violenza fisica ed esplicita, ma anche la violenza più subdola e indiretta della corruzione dei linguaggi e dei segni. Scombinano l’ambiente semantico in cui siamo immersi, per ingenerare subliminalmente insicurezza, senso di isolamento e disconnessione dalla comunità.

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