Cronachesorprese

6 Dicembre 2006

Millenovecentootto

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Sono appena entrato, dopo due giorni dalla mia segnalazione, nella migliore classifica dei blog italiani, e il numero nel titolo è la mia attuale posizione. Molto bassa, come è logico (i blog iscritti sono oggi 2201), ma pensavo anche peggio. Stare in classifica non serve a gareggiare ma ad avere sempre sott’occhio una metrica seria e scientifica che dà l’idea di quale sia la posizione di un blog, intesa non come valore assoluto ma come quantità e qualità di rapporti con il resto della blogosfera. Io so di non aver mai fatto molto per aumentare il ranking: lascio pochi commenti e sempre, più o meno, sugli stessi blog, ho un blogroll abbastanza scarno e non costruito con l’intenzione di essere più visibile. E soprattutto i miei post sono delle pizze mostruose che giusto gli amici leggono per simpatia, e occasionalmente qualche altro disgraziato con il gusto dell’orrido ;-)
Scherzo, ma non troppo. So di non essere popolare (in senso tecnico), e non è fondamentale esserlo. Fondamentale è per me capire i meccanismi della popolarità, quindi userò lo strumento di blogbabel (non ho ancora capito, anche dopo la presentazione al barcamp, se devo chiamarlo così o no) e proverò a sperimentare qualcosa di diverso. I grafi presentati al barcamp sono entusiasmanti, come entusiasmante è il metodo che si sta mettendo a punto per avere una fotografia reale dei rapporti tra i blog italiani: Tambu ha descritto bene le ragioni di questo entusiasmo.
Una cosa, a prima vista, non capisco: perché Technorati mi dà solo due link da blog se sono sicuramente almeno il doppio (e direi qualcosa di più)? Posso ipotizzare che la mia posizione su Technorati (e di conseguenza anche su blogbabel) sia sottostimata, seppure di poco?

4 Dicembre 2006

Barcamp: uscire dove?

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La discussione sviluppata dalla controversa presentazione di Maurizio Goetz avrebbe meritato più tempo. Sfortunatamente si era a ridosso della pausa pranzo, e quindi non si è continuato neanche a margine, come accaduto per altre conversazioni.

Delle slide non mi ha convinto il gioco digitale – analogico. Mi sembra che si sia data una descrizione prevalentemente emozionale dell’opposizione, e che in definitiva la definizione sia stata mancata. In realtà la vera opposizione, o almeno quella a cui veniva istintivamente da pensare, era tra il fare rete e il non fare rete. E quindi l’invito a uscire non lo comprendo molto bene. Uscire dove? Sarà questa paura del’autoreferenzialità (ne parlerò ancora), ma io non vedo, e non vivo, questa grande opposizione tra online e offline.

Ma ammesso che la discontinuità ci sia (e non confonderei questa discontinuità con il digital divide), non abbiamo bisogno di uscire dalla rete e invitare a entrare chi ancora non c’è, per un semplice motivo: stanno arrivando a frotte, non per merito nostro ma per disposizioni superiori. La pressione sociale e istituzionale a usare internet (stando attenti, però, che è un covo di poco di buono…) è enorme.

Non dobbiamo uscire: dobbiamo stare dentro nella maniera più umana (analogica? no, direi di no: forse che l’essere digitali non è umano?) possibile, per predisporre pezzi di rete accoglienti, che siano opportunità per tutti. Per tutti quelli che hanno qualcosa da dire e da dare. Che sono davvero, potenzialmente, tutti, basta che siano disposti a imparare le specificità del mezzo. E la causa principale della famosa autoreferenzialità è tutta in questa condizione: più che allo snobismo e al sentimento elitario di chi sta in rete, è dovuta alla necessità di selezionare i messaggi. E quale criterio migliore, oltre a quello logico di seguire i propri interessi, del preferire chi dimostra voglia di sintonizzarsi con gli standard di comunicazione della rete e (per quanto riguarda questo piccolo sottoinsieme) della blogosfera? Quella che a volte può sembrare autoreferenzialità è forse un semplice istinto di sopravvivenza.

3 Dicembre 2006

Barcamp Torino 2006

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Sono convinto che l’ascoltare prima di intervenire sia, per un nuovo arrivato, non solo una forma di rispetto per un lavoro e una rete di relazioni che già esistono prima del suo arrivo, ma anche una buona indicazione di metodo. Quindi, nonostante l’atmosfera ottimamente informale, al Barcamp di Torino ho tenuto fede al mio proposito iniziale (ascoltare solamente). Ma è stata dura. Perché tutte le relazioni sono state molto stimolanti, e per mantenere un assetto di puro ascolto mi sono dovuto mordere la lingua almeno due o tre volte.
Oltre all’efficienza e all’impegno gratuito degli organizzatori, mi ha colpito l’ottimo livello degli interventi. Se penso a tutte le idee e agli stimoli che sono venuti fuori in un giorno di chiacchierate tra blogger; se paragono il valore di questa esperienza a tutto il tempo che si perde nei convegni “seri” cui si partecipa per lavoro ad ascoltare discorsi e presentazioni inconcludenti di qualcuno in giacca e cravatta che si riempie la bocca di parole di cui a malapena conosce il significato; se penso per giunta che spesso questi convegni costano come mille barcamp (senza nessuna esagerazione, anzi), mi chiedo se tante aziende italiane grandi e medie sono ancora dei luoghi in cui si fa davvero formazione e innovazione, o se sono ormai come grandi aree retroportuali che smistano fuffa, costruite con il quasi esclusivo scopo di lucrare su costi di intermediazione.
Parlerò nei prossimi giorni di singoli temi e aspetti del Barcamp. Per il momento dico soltanto che la mia speranza di vedere una comunità nata sulla rete muoversi e ragionare secondo stili e metodi suggeriti dalla rete stessa, non è andata delusa. Anzi, ciò che ho visto ha superato le mie aspettative.

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