Cronachesorprese

7 Dicembre 2007

Nella valle di Elah

Filed under: lo spettatore indigente — alessandro @

nella valle di elahChe sia il benvenuto questo cinema impegnato e non intellettuale, di denuncia e non predicatorio, che si ispira a fatti veri senza sbatterli in faccia a nessuno. Se siete stufi delle bravate di Michael Moore e delle sue inchieste che piegano la realtà alla polemica (anche se l’ultimo, Sicko, mi è sembrato più equilibrato e mi ha dato qualche motivo in più di riflessione) andate a prendervi questa boccata di cruda realtà americana raccontata con dolorosa ingenuità, senza neanche una bava di compiacimento. Che liberazione veder raccontare temi così scomodi senza sentir dietro il ghigno dell’ideologo che guarda l’effetto che fa e commenta: “avete visto?”. Alcune scene, rivisitate a mente fredda, sono di una lucidità eccezionale, come quella in cui la giovane funzionaria di polizia (un’ottima Charlize Theron) provoca il soldato. Come è possibile rappresentare con tanta… come dire… “pulizia” uno scontro di così bruciante attualità per gli americani, un tema sul quale è immaginabile che si sprechino le polemiche, le contrapposizioni sui giornali, in televisione e nella vita di tutti a ogni livello? Senza trasfigurare nulla. Migliaia di soldati morti in quattro anni, una ferita enorme, e il cinema riesce a entrare in questa carne viva così, con grazia quasi terapeutica. La finezza, la delicatezza di questa storia è qualcosa di prezioso, da tener caro. Nella valle di Elah è paragonabile, per certi aspetti, al Cacciatore. Ma in questo caso il dramma del reduce dall’Iraq, che riporta in patria il suo fardello di disumanità, si consuma ancora prima che il film cominci. Anche se avremo un’idea ben precisa della sua efferatezza, neanche un flashback ce lo farà vedere. Eppure lo capiremo ugualmente, anzi lo vivremo ben più nel profondo, accompagnando il grande Tommy Lee Jones (e in qualche scena la grande Susan Sarandon) nel suo calvario di padre che scopre il destino del figlio e vede per la prima volta da dietro le quinte il suo mondo che vacilla, vacilla, vacilla e crolla. Com’è convincente la dignità con cui lo guarda cadere.

5 Dicembre 2007

USBrilli

Filed under: spider report — alessandro @

Dì la verità, Giovy: questa è opera tua :-)

4 Dicembre 2007

Internet news by Ansa, una piccola critica

Filed under: news factory — alessandro @

Il servizio è ottimo, i lanci sono sempre interessanti. Non me ne perdo uno. Però mi chiedo perché non mettono i link dentro il testo ai siti di cui parlano. Non mi sembra una mancanza da poco per un servizio web specializzato su internet.
Intravedo due possibili ostacoli, che poi si riducono a uno.
Primo, nel sito si caricano pari pari i lanci. Perché non si ha il tempo di fare modifiche.
Secondo, nel sito si caricano pari pari i lanci. Perché non si vogliono fare modifiche.
In entrambi i casi, rimane implicita la sottovalutazione del canale internet. Capisco, il sito internet dell’Ansa è una selezione gratuita di un servizio che le testate giornalistiche pagano, e pagano salato. Però è curioso che un’agenzia di stampa così importante non si renda conto di quanto lo specifico del lancio sul web si avvicini, per tempi e linguaggio, allo specifico del tradizionale lancio di agenzia. L’agenzia arriva in tempo reale, il web pure. Il testo di agenzia è sintetico, il testo di una news sul web anche. Poi può rimandare ad approfondimenti chilometrici e alluvionali, ma intanto deve catturare: ha lo stesso problema del lancio di agenzia che deve saper attirare l’attenzione del giornalista che scorre i titoli al terminale.
Ansa.it snobba tutti i vantaggi dell’ipertesto. Forse non hanno una redazione dedicata al canale internet. Così devono pubblicare, ad esempio:

Al via una nuova sezione del sito del governo, dedicata al Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio. È disponibile all’indirizzo www.governo.it/presidenza/DIE.

Su internet la stessa informazione sarebbe più logica e sintetica così:

Al via una nuova sezione del sito del governo dedicata al Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio.

Se si volesse rendere disponibile “in chiaro” nel testo l’indirizzo completo perché risulti anche in una stampa, si potrebbe aggiungere come link correlato in fondo alla pagina o a lato, segnalandolo secondo lo standard usato dalle directory di molti motori di ricerca, quindi un item così strutturato:

Presidenza del Consiglio – Dipartimento per l’informazione e l’editoria
Notizie e attività, competenze e fonti normative, modulistica. Approfondimenti dedicati al manuale d’uso del marchio Italia e ai contributi per l’editoria.
http://www.governo.it/presidenza/DIE

Certo, occorrerebbe investire un po’ di più nella redazione internet. Può darsi che non ci sia interesse a farlo. Però il messaggio che si dà, a chi usa internet, è il solito: il contenuto si produce altrove, questa non è altro che una repository secondaria. Non ci interessa lo specifico di internet, anche se somiglia parecchio al nostro specifico. Non ci interessa fare rete.

3 Dicembre 2007

Ripensare il diritto d’autore

Filed under: il viandante digitale — alessandro @

Ampiamente condivisibile il decalogo di Vanz “a favore” della cosiddetta pirateria. La tutela del diritto d’autore non è più tale. Quando è nata era una forma avanzata e straordinariamente moderna di mecenatismo; oggi non saprei indicare, tra i tanti produttori di musica e cinema, un epigono credibile di Giovanni Ricordi. L’attuale normativa per il diritto d’autore tutela ormai soltanto marginalmente l’autore, conserva ai produttori dei privilegi che non hanno più ragion d’essere e impedisce a tanti autori validi di essere conosciuti.
Gli autori più intelligenti se ne sono accorti da tempo. Molti sono diventati produttori di se stessi, altri hanno cominciato a usare la rete come mezzo privilegiato se non esclusivo di distribuzione (Radiohead), altri hanno intuito che nell’era della riproduzione digitale (la massima qualità di riproduzione alla portata di tutti) bisogna puntare, oltre che sulla rete, sull’irripetibilità dell’evento e sull’immaterialità (o meglio, su una sorta di materialità condizionata) del prodotto. Penso ai cd brulé di Elio e le Storie Tese, per esempio.
Avevo solo sentito parlare del collective licensing e non l’avevo ancora messo a fuoco. Mi sembra un modello promettente, perché individua una via realistica per raggiungere un obiettivo di maggiore equità. I produttori potrebbero sfruttare in misura accettabile la loro rendita di posizione, ma si trasformerebbero lentamente in provider e dovrebbero ridimensionare l’importanza del marketing sul singolo prodotto: se dovessero preoccuparsi di vendere accessi e non prodotti (o meglio: più accessi che prodotti, perché il collective licensing si affiancherebbe ai canali di distribuzione tradizionali) non avrebbe più senso fare grandi investimenti sul lancio dei singoli prodotti. Ciò permetterebbe l’emersione di autori validi e attualmente oscurati dalle “scuderie” di autori selezionati dalle strategie delle major. La scelta del singolo utente conterebbe di più. Le strutture delle case discografiche e delle produzioni cinematografiche si snellirebbero e, di conseguenza, anche i cd musicali o i film in dvd potrebbero essere offerti a prezzi ragionevoli.

1 Dicembre 2007

Omeocronache

Filed under: cronache — alessandro @

Dico subito una cosa: non sono un sostenitore dell’omeopatia. Però conosco abbastanza l’argomento per sapere che l’articolo di Lancet che pretende di aver dimostrato l’inefficacia dell’omeopatia non è il primo, non sarà l’ultimo e non dice niente di nuovo. Quindi sono ingiustificati entusiasmo e indignazione delle opposte tifoserie: lo stato della questione non cambia. Anche la teoria della “memoria dell’acqua” è infondata, come ha spiegato un’altra rivista (Nature) più di dieci anni fa, ma ciò non toglie che sia possibile spiegare il funzionamento dell’alta diluizione omeopatica in altro modo.

La medicina “ufficiale” tenta da almeno un secolo di seppellire l’omeopatia, ma non ce l’ha mai fatta. Come mai? Forse perché continua a fare lo stesso errore: vuole testare l’omeopatia rifiutandosi di considerare la specificità del metodo omeopatico, per il quale non esiste un paziente uguale all’altro ed è pertanto normale che una cura abbia esiti diversi su soggetti che hanno gli stessi sintomi. Lo stesso concetto di “placebo”, da un punto di vista omeopatico, non ha un grande significato.

In ogni caso, lascia perplessi il modo in cui il Corriere della Sera (e credo molti altri giornali) hanno amplificato le conclusioni dell’ultimo articolo di Lancet sull’argomento. “È provato: l’omeopatia è inutile”. Questo il titolo del Corriere. Poi leggi e scopri che lo dice un articolo di Lancet. Non sarebbe più corretto un titolo “Lancet: l’omeopatia è inutile”? E l’occhiello potrebbe essere: “Nuovo attacco della prestigiosa rivista inglese a una delle medicine alternative più seguite al mondo. La replica degli omeopati: conclusioni false”. Già, perché dall’articolo del Corriere può sembrare che i Laboratoires Boiron, azienda leader nella produzione di rimedi omeopatici, abbiano risposto in maniera debole e un po’ generica, citando “i risultati di sperimentazioni condotte secondo le regole corrette dal punto di vista metodologico”. Ma non è così: la Boiron ha replicato in maniera molto precisa, sostenendo che gli stessi studi utilizzati da Lancet dicono il contrario di ciò che dice Lancet, ovvero che i risultati dimostrerebbero una netta superiorità della cura omeopatica rispetto all’effetto placebo, anzi in almeno un caso i risultati sarebbero superiori al confronto con la cura della medicina “ufficiale”.

Io non so chi ha ragione, e non mi interessa più di tanto. Credo, per quanto ho già detto, che sia praticamente impossibile che la medicina ufficiale dimostri l’inefficacia dell’omeopatia. Mi chiedo tuttavia perché il Corriere e altri abbiano bisogno di sparare al massimo volume uno dei punti di vista di una questione, come se fosse definitivo e inconfutabile. Curioso inoltre che l’autore dell’articolo di Lancet parli, oltre che di inefficacia, anche di “effetti collaterali inattesi”: ma se un farmaco può avere effetti collaterali vuol dire che può agire, e che quindi non è “acqua fresca”, come sostengono i detrattori dell’omeopatia. Mi sembra contraddittorio.

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