Cronachesorprese

5 Agosto 2008

Chi ha riso per primo?

Filed under: il viandante digitale — alessandro @

In seguito a una conversazione con la mia lurker F. (che se mi dà il permesso, magari delurkandosi per una volta o una volta per tutte, citerò per il futuro con il nome intero) ho trovato questo post che parla dell’origine delle faccine. Beh, sono vecchie quanto le prime sperimentazioni di internet, più o meno. Lo sospettavo, ma non conoscevo il fatto. L’idea originale dello smile ha dunque un papà ufficiale, Scott E. Fahlman, che racconta la nascita degli emoticon nel contesto delle prime BBS. Siamo alla preistoria di internet: la pagina è godibile e molto istruttiva, perché racconta il modo in cui una comunità online ha scoperto certe dinamiche che oggi conosciamo bene e sulle quali forse non riflettiamo abbastanza quando discutiamo di qualcosa tra un blog e l’altro, o in un forum, o in una conversazione in instant messaging.

2 Agosto 2008

L’esperienza di spettatore non è in vendita

Filed under: il viandante digitale,lo spettatore indigente — alessandro @

dallas e lucio dalllaNel 1981 un amico parlando mi chiese: “L’hai visto Dallas?”. Io che non ne avevo mai visto un fotogramma e non avevo intenzione di farlo nonostante lui e altri me ne parlassero, risposi: “No, e neanche De Gregoris“.
Oggi lo stesso amico mi avrebbe mandato una mail con un link a uno spezzone di Dallas ragnato da Canale 5 e messo su Youtube. Avrebbe ottenuto più o meno la stessa risposta, e avrebbe fatto ugualmente pubblicità gratuita al programma. Anzi, l’avrebbe fatta con maggiore efficacia, visto che avrebbe potuto mandare la stessa mail con un solo clic ad altri trenta amici per comunicare il suo gradimento e condividerlo.

Non credo che Mediaset speri davvero di ottenere il risarcimento che chiede. Vuole porre la questione, e naturalmente penso che abbia torto; ma non è detto che sollevare il caso anche in Italia sia un male. In Spagna purtroppo sembra che Telecinco stia avendo la meglio su Youtube; in Italia non è detto che avvenga, nonostante il confiltto di interessi tra il governo e Mediaset.

Quintarelli dice che non si può parlare di giorni di visione televisiva persi perché le trasmissioni erano già andate in onda. Ed è vero. Ma è anche vero che Mediaset potrebbe rivendicare l’esclusiva dell’uso del materiale video anche su internet. Almeno fino a quando non si chiarisce un punto, che è il valore aggiunto dato dal telespettatore – navigatore che sceglie un frammento televisivo, lo ri-presenta e lo offre a un pubblico e a target diversi da quelli per i quali era stata costruita la trasmissione televisiva. Pensa davvero Mediaset di poter generare e gestire questo valore aggiunto (puntualizzo: sto parlando di valore aggiunto e non di user generated content, che è altra cosa)? Se vuole il risarcimento, a mio modesto parere deve dimostrare di poterlo fare.

E come? Sarei davvero curioso di vederlo. Quel valore si genera su internet, non in televisione. Cosa fa Mediaset, mette tutti i suoi programmi disponibili in rete e dice: “prendeteli, tagliuzzateli, commentateli come volete ma poi li ripubblicate qui e non da altre parti, così gli introiti pubblicitari vanno ancora ai produttori e agli autori, e non a Youtube – Google”? Qualcosa mi dice che non funzionerebbe, e la neonata Digitalia dovrà farsene una ragione. Oppure se n’è già accorta, e potrebbe essere questo il motivo della causa appena intentata. Ad ogni modo se Mediaset non mette a punto una piattaforma simile a quella di youtube non può vantare diritti sugli introiti generati da un servizio che non riesce a dare, o che non riesce a far funzionare perché il navigatore difficilmente lo userebbe. Senza contare, come molti hanno giustamente fatto notare, il ritorno pubblicitario e di audience che viene alle produzioni mediaset dall’essere replicate nelle piattaforme di video sharing e negli incalcolabili (per numero e per valore) passaparola. Se Mediaset riconosce capacità attrattiva e valore economico a un servizio allora dovrebbe anche pagare tutta la pubblicità gratuita fatta al suo marchio e alle sue produzioni attraverso quel servizio. E dovemmo parlare, inoltre, di reciprocità: l’hanno detto in tanti, un’emittente come Italia 1 ha mandato in onda centinaia di video presi dalla rete, youtube compresa, senza pagare un centesimo.

Il principio che dovrebbe passare è che non si può pensare di gestire tutto il valore generato dall’interesse del pubblico verso un contenuto diffuso attraverso un mezzo di comunicazione. E che se Mediaset pensasse di insistere sull’unico argomento che può portare, cioé il diritto di scegliere il contesto in cui diffondere un contenuto di sua proprietà, mi verrebbe voglia di rivedere la mia posizione sulla querelle anni ottanta novanta che riguardava i film d’autore “snaturati” dagli intermezzi pubblicitari. All’epoca davo ragione a Mediaset; per motivi analoghi, e per molte altre ragioni e condizioni che vent’anni fa non esistevano, sulla questione di oggi le dò torto.

17 Luglio 2008

Lettera di un immigrato nella rete al garante

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Signor Garante della Privacy, la ringrazio vivamente per il suo interessamento nei confronti dei poveri e sprovveduti “giovani nativi di internet” che non si preoccupano di lasciare tracce abbondanti delle loro intemperanze nelle trappole infide del social networking. Lei ha sollevato un problema reale: molti di questi servizi sono cresciuti rendendo facile la pubblicazione di materiale in grande quantità e in qualsiasi formato, ma non hanno previsto sufficienti tutele per chi dovesse decidere poi di fare il percorso inverso. È capitato addirittura che, nel gioco di scatole cinesi delle acquisizioni di piccole aziende con servizi innovativi da parte di grandi aziende, i dati personali raccolti dalla piccola azienda per scopi circoscritti siano passati nel calderone della grande azienda che, ampliando e rendendo disponibile facilmente a chiunque non solo il servizio acquisito, ma gli stessi archivi fino a quel momento accumulati, hanno di fatto pubblicato dati personali all’insaputa di chi li ha lasciati e in contesti del tutto differenti.

Questo è un problema da garante della privacy: garantire che i dati personali, o notizie comunque afferibili univocamente a una persona, possano essere usati solo nel contesto che quella persona desidera. E parlando di contesti parlo di presentazioni web, non di servizi di carattere giornalistico che naturalmente usano le fonti che vogliono e le presentano come meglio credono, assumendosi poi l’onere, regolamentato dalla legge, di pubblicare notizie verificate e verificabili anche da altri.

Questo è solo un esempio del compito enorme che spetta a un garante della privacy. Che non dovrebbe dimenticare, tuttavia, che le reti telematiche sono ormai nella vita quotidiana di tutti, non solo dei “giovani nativi”, e che non se ne può più fare a meno. L’esempio che ho fatto lo considero particolarmente indicativo dell’azione di un garante che agisce nel pieno rispetto della natura stessa della rete. Bisogna agire in primo luogo su chi raccoglie i dati per i suoi scopi di impresa, perché siano al servizio di chi li lascia e non usati (almeno dalla stessa azienda) per scopi diversi: ovvero ripresentati in contesti diversi senza che l’utente lo possa prevedere o che ne abbia consapevolezza.

È giusto “stare attenti” ai social network. Ma non vorrei che della sua ragionevole preoccupazione rimanesse solo l’ennesimo titolo che mette paura e che fa pensare a internet come a qualcosa da cui stare alla larga finché è possibile. Sarebbe triste che la sua voce qualificata si unisse a un coro così squalificante. I “giovani nativi” sono nella rete da sempre, come dice l’evidenza. Toglierli di lì non è pensabile, bisogna farli crescere chiedendo alla rete e al social networking, compreso quello puramente ludico, servizi utili e garanzie certe.

10 Luglio 2008

Malevolenze

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tocqueville
Ehi amici di Tocqueville, la volpe III vi bollina come malevoli! Dite qualcosa, io non ci credo ;-)

7 Luglio 2008

Più se ne parla, meno si usa

Filed under: il viandante digitale — alessandro @

Non voglio parlare di qualcosa di osceno, come potrebbe sembrare dal titolo.

Volevo solo segnalare l’illuminante commento di Alberto D’Ottavi a uno dei post di viaggio di Tambu, che giustamente magnifica le meraviglie wireless di Scandinavia. Dice Alberto:

sai a cosa mi fa pensare questo tuo post? a un momento in cui non ci sarà più bisogno di parlare di internet. mica passiamo il nostro tempo a dirci quant’è importante il telefono!

Quando verrà quel momento? Sono quasi quindici anni che parliamo di internet. Non so quanto tempo i nostri bisnonni e/o trisnonni hanno passato a parlare del telefono, forse molto di più.
Chissà se lo vedrò il momento in cui avremo i numeri IP anche sotto le ascelle. A ogni pelo un address, dico, a quel punto non perderai più tempo a concionare di vuvuvu.

La prossima volta che vado da mio padre fotografo il vecchio telefono di casa, che è rimasto su un comodino come soprammobile. Ha poco più di vent’anni, sembra che si sia materializzato da una piega spazio temporale. Di lui non si parla più. In compenso, a vederlo cosÌ in dismissione dopo averlo maneggiato per anni come una cosa talmente useful da diventare quasi un’estensione dell’orecchio (lui che non ha mai preteso per sé neanche una riflessione fugace alla McLuhan come strumento del comunicare, che oggi non si nega neanche al più insulso ammenicolo digitale), dà qualche emozione.

Ripeto, non sto parlando di niente di osceno. Almeno credo :-/

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