Sid invita a proseguire il ragionamento sulla musica 2.0 cominciato qualche settimana fa. Credo che sia importante fissare un punto fermo: non è una discussione tra professionisti o appassionati di musica, è prima di tutto un lavoro di immaginazione collettiva. Immaginare insieme (più si è, meglio è) quello che sarà la produzione e la fruizione di musica. Quello che potrebbe essere. E che potrebbe anche non essere: se non la immaginano insieme oggi, utenti e musicisti, non sarà mai.
Io desidero e immagino questo: domani non sarà difficile vivere di musica. O meglio, sarà meno difficile di adesso. Ma perché ciò avvenga bisogna che vada in soffitta, come un residuo del passato, l’immagine dell’artista che tenta, in un periodo della sua vita, di sfondare, e se non sfonda passa ad altro. A pensarci è un modello odioso, imposto dal mercato. La linea di demarcazione tra il professionista e il non professionista oggi è tra chi ha mercato e chi non ce l’ha, non tra chi vale e chi non vale. E questo lo sappiamo tutti. Io immagino che domani ci sia sempre una distinzione netta tra il professionista totale (chi nella vita fa solo musica) e il semiprofessionista, più o meno dilettante. E chi non vale continuerà ad avere mercato perché le major continueranno a esistere e a sfruttare le loro ben oliate piste di lancio, ma avranno vita un po’ più difficile. Sempre più difficile, giorno dopo giorno.
Sarà sempre più difficile per un artista riempire gli stadi. Forse non si farà mai più musica negli stadi, se non ogni tanto. Non sarebbe una grande perdita. Ma sarà un po’ meno difficile creare attorno a sé una comunità di estimatori che garantiranno la continuità di un cammino artistico che li convince acquistando la musica direttamente dall’artista, come produttore.
Sid, come molti altri, evidenzia il risultato ottenuto dai Nine Inch Nails come una vera novità, che va oltre l’effetto “rompighiaccio” dell’operazione Radiohead sulla cui reale portata molti hanno avanzato dei dubbi. La novità in questo caso non sta solo nei numeri, ma nella più esplicita volontà del gruppo statunitense, rispetto a quello inglese, di instaurare un rapporto nuovo con chi ascolta e acquista la loro musica. Rapporto che ispira, o almeno condiziona, la stessa produzione artistica: “This collection of music is the result of working from a very visual perspective, dressing imagined locations and scenarios with sound and texture; a soundtrack for daydreams. I’m very pleased with the result and the ability to present it directly to you without interference.” Il riguadagnato rapporto diretto con il pubblico si traduce subito in contaminazione di linguaggi e generi, prefigura la creazione di un nuovo spazio creativo sociale. Più vicino al quotidiano (o al “sogno ad occhi aperti”… che bella suggestione), meno alienato, meno drogato di un divismo che non dovrebbe più interessare. Nella musica 2.0 non c’è il gridolino della fan che “non ci posso credere, ce l’ho davanti ai miei occhi”, c’è la familiarità con un amico, uno che, se non ogni giorno, almeno una volta su quattro considera il mio feedback, perché ne ha bisogno. Per continuare ad essere artista. Perché la sua comunità di riferimento gli dà il pane, e gli permette di continuare a fare il lavoro più bello del mondo (dopo il giornalista).
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sono d’accordo.
io che di musica già vivo (come fruitore, canto solo sotto la doccia o in macchina), spero tanto che sarà più facile.
farne e ascoltarne.
e in rainbows è semplicemente incantevole.
ce l’ho nel lettore dal mattino alla sera :-)
Comment di alga — 19 Marzo 2008 @
forse è il lavoro più bello del mondo!!! e secondo il…giornalista!!! :))
Comment di silvia — 19 Marzo 2008 @
Hai perfettamente ragione, confermo il mio giudizio. Ma quello che ancora manca è la consapevolezza, probabilmente sono molto più motivati gli ascoltatori dei *produttori*. Quello che ancora non capisco è perchè (sostanzialmente) nessuno si muove.
Cioè, lo capisco ed una grossa parte è rintracciabile proprio in quello che hai scritto. Tu hai ragione perchè quello è il futuro (certo non mancheranno i picchi e qualche stadio pieno, poi gli stadi saranno più piccoli) ma ancora non ci sono modelli… si tratta appunto, per quanto ancora non saprei, di immaginazione.
Fuori dalla rete è ancora percepita poco (forse nulla) come possibilità ed in Italia ora abbiamo anche la tv che “rema contro” creando illusioni ancor più nefaste… diciamo che forse è proprio l’ immaginazione quello di cui avremmo più bisogno, almeno nella musica.
Comment di sid — 20 Marzo 2008 @
Alessandro non riesco a trovare la tua mail… avrei una richiesta da farti info [at] sid05 [dot] com ;)
Comment di sid — 21 Marzo 2008 @