Cronachesorprese

15 Febbraio 2008

Caos calmo

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caos calmoSe c’è una cosa che mi piace di Nanni Moretti è la sua capacità di farmi ridere dall’interno di qualunque storia. Certo non si ride sempre, dall’inizio alla fine di ogni film. E non si ride con la grassa risata, né con la risata nervosa da intellettualoide. È il suo modo di stare nelle storie che mi fa ridere, perché mi piace, perché lo trovo familiare. Anche nelle storie tristi. Se la vita fosse un testo, le presenze ripetute di un attore -amico come Moretti sarebbero come i segni di punteggiatura tra le parole. Anche i gatti mi fanno ridere così, e altri animali che attraversano le situazioni umane dando l’llusione di indossarne o interpretarne qualche aspetto. Sono punteggiature, coadiuvanti del senso senza pretendere un senso tutto per loro.

Anche se il soggetto e la regia non sono di Moretti, non c’è titolo più morettiano di Caos calmo. Come è eminentemente sua quella situazione che si costruisce nel film, quel pezzo di giardinetto davanti alla scuola della figlia che diventa il suo ufficio, il suo salotto, il suo punto di osservazione sul mondo che porta il mondo a guardare lui. E il punto, anche, da cui ricomincia a prendersi heideggerianamente cura-del-mondo: non solo di sua figlia ma di altri pezzi di mondo che si affacciano lì insieme a lui, e gli chiedono qualcosa senza neanche saperlo.

Una specie di barone rampante, meno bizzarro ma neanche tanto ordinario, meno geniale ma tutt’altro che sprovveduto. C’è qualcosa di straordinaramente attraente in questa elaborazione di un lutto che non è vissuto come dall’interno di una gabbia e con sentimenti di impotenza, ma come occasione. Per riappropriarsi di un pezzo di quotidiano e portare vita in un luogo che normalmente la vede solo passare e non contempla presenze che danno o chiedono senso. Per rifiutarsi di ripiegare sul passato: una persona cara non c’è più e chi dovrebbe essere più triste sembra essere il meno turbato. Ma non per insensibilità: perché si intuisce, fin dal primo momento del dramma, che non si devono sprecare il turbamento e il dolore: bisogna arrivare a piangere davvero la mancanza presente (ecco un ossimoro che getta luce sull’ossimoro del titolo), e non uno sterile ricordo. O anche perché occorre vedere il proprio lavoro, ad esempio, da una prospettiva diversa da quella delle beghe, delle ripicche, delle frustrazioni.

O infine, e principalmente, perché i figli fino a una certa età, come dice una psicologa in una scena, vivono le emozioni dei genitori. “Non quelle che i genitori danno mostra di vivere, ma quelle che vivono davvero”. E se si vuole tenere un figlio in equilibrio mentre cammina sull’orlo di un abisso, bisogna farlo aggrappare a un’emozione autentica. Non importa quale, basta che sia forte e vera. Se non è disponibile lì per lì, occorre andarla a cercare. Senza raccontarsi balle, e rischiando di persona.

14 Febbraio 2008

San Valentino 2008

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San Valentino

Cronache Sospese

13 Febbraio 2008

La storia di Cloverfield

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Chi vuole sapere la trama (che a mio parere non è inesistente come qualcuno sostiene) e non pensa di andare a vedere il film può leggere la voce su wikipedia. Come si vede, cose ne succedono. Non sono d’accordo quindi con chi parla di girare a vuoto per Manhattan. Anche se capisco la delusione di chi cerca una storia di mostri, va dietro a buzz e lanci più o meno virali e poi al cinema non la trova.

Cloverfield, storia di una telecamera

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Ha ragione Tambu: Cloverfield funziona. E ho visto anch’o le stesse esternazioni di protesta che ha visto lui. Il pubblico si divide istintivamente alla fine della proiezione in due blocchi: qualcuno smanaccia e ride nervosamente rivolto agli amici o anche platealmente agli altri spettatori, altri si rannicchiano soddisfatti nella poltrona mentre scorrono i titoli di coda, ripercorrendo le fasi salienti del film e pregustando le discussioni con gli amici. Io mi sono schierato con il secondo blocco.

Ha ragione Caino, Cloverfield può essere letto come rappresentazione di un gigantesco cover-up, ancora più gigantesco di tutti quelli che qualcuno è riuscito a immaginarsi per fatti veri, dallo sbarco sulla luna al complotto dell’11 settembre. Potete immaginare un cover-up più convincente di un insieme di soggettive come quella del film, che non si danno altro compito che incrociarsi tra di loro per ricostruire il meglio possibile l’identità del mostro? Notate, è il gioco preferito di gran parte degli spettatori di Cloverfield. Allora si comportano verso la fiction esattamente come desidera il grande narratore, che è un grande depistatore – insabbiatore e solo casualmente non lavora per la Cia.

Ha ragione Kurai, questo è uno user-generated monster e non saprei spiegare meglio di lui il perfetto tempismo di Cloverfield rispetto a tutto quanto è duepuntozero. Sono d’accordo solo parzialmente invece con ciò che dice sui flashback. Cloverfield funziona non solo per come accoglie e rappresenta il rapporto con i media della Youtube generation, ma anche dal punto di vista narrativo. Funzionano quei flashback, sono una delle invenzioni migliori del film. Ma, a mio parere, non sono flashback.

Cos’è un film? È una sequenza di immagini. La storia di Cloverfield non è la storia della distruzione di New York ad opera di un mostro che non si sa da dove viene e non si sa neanche se alla fine vince o perde. È la storia di una telecamera attraverso le persone che l’hanno usata e la vicenda che ha documentato, non il contrario. È il vero punto di unità della narrazione. È il brandello di umanità che resiste a tutto, che non può essere annientato: prende il posto dell’eroe indistruttibile visto in tanti film del filone catastrofico. Sì Kurai, quella telecamera sembra resistente, e non so di che marca sia anche se il product placement collegato all’oggetto, in diverse scene del film, è abbastanza esplicito; ma resiste anche in più di un significato.

È la memoria in tutta la sua grandezza e fragilità, con il suo costo e la dedizione che a volte richiede. Dal punto di vista di chi trova la telecamera “nell’area precedentemente conosciuta come Central Park” le immagini non si distinguono in flashback e narrazione principale, sono tutte memoria allo stesso livello. E Cloverfield è una bellisima riflessione sui media: il mezzo di comunicazione basato su tecnologia digitale è l’unico manufatto che tendenzialmente si può sostituire all’uomo, perché è capace di memoria. Altro che robot. Allora cominciamo a vedere, noi occhi orecchie e memorie duepuntozero, dove andavano a parare HAL 9000 e tutti i suoi fantascientifici epigoni. Eravamo fuori strada con la robotica e la biomeccanica, la vera metameccanica non è quella antropomorfa, è quella per così dire mnemomorfa, è il mezzo di comunicazione digitale.

Poi vedremo cosa diventerà questo fenomeno Cloverfield. Va molto oltre il film, pochi dubbi. Ma intanto il film è perfettamente godibile in sé, per quello che mi riguarda. Con le sue citazioni esplicite ed evocazioni intelligenti. Con il suo saper mettere in secondo piano un mostro che sta devastando New York, raccontando una devastazione molto più sottile e terribile, quella dei legami tra gli uomini che si schiantano, che saltano uno dopo l’altro come le corde del sartiame di un veliero in tempesta. Ma c’è la telecamera che resiste.

Vi ricordate l’occhio di Terminator che si spegne? Beh, anche l’occhio di Terminator era una telecamera. Ma quello spegnimento era tanto simile a una morte. La telecamera di Cloverfield al massimo esaurisce la batteria, o passa in stand by. In attesa di nuovi operatori attraverso cui raccontarsi.

12 Febbraio 2008

San Valentino, CronacheSospese

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Il Comitato di Redazione di CronacheSorprese ha approvato all’unanimità una mozione che istituisce un giorno annuale di chiusura ufficiale del blog. Il giorno è stato individuato nel

14 febbraio

a motivo dei frequenti accessi da parte dell’ utenza generica alle risorse online del dominio Cronachesorprese.it a valle di ricerche quali
Sorprese d’amore
Fare sorprese d’amore
Idee per sorprese d’amore
Fare Sorprese a San Valentino
Sorprese per stupire a San Valentino

e molte altre variazioni con queste chiavi di ricerca e simili.

Molte delle suddette ricerche vengono fatte con frequenza costante nel corso dell’intero anno solare, ma segnatamente nei sette – otto giorni precedenti il 14 febbraio. La redazione manifesta fondata preoccupazione da un lato di non poter predisporre contenuti idonei a soddisfare le richieste di un target così definito, da un altro lato di vedere minacciata la propria indipendenza ad opera delle potenti lobby dell’industria dolciaria, che non nascondono le proprie mire di colonizzazione del campo semantico definito dal concetto di sorpresa, nel quale il dominio di questo blog risulta discretamente posizionato.

La redazione depreca, peraltro, il decadimento di una tradizione religiosa fondata sul martirio di un uomo libero a occasione di lucro per cioccolatai, cartolai e affini che fanno scadere in svenevoli e sdolcinati slogan, nonché in giochi di illusioni e delusioni adolescenziali, la sublime profondità dell’idea stessa di Sorpresa con conseguente oblio della sua autentica dimensione metafisica, ontologica ed esistenziale. Per questo motivo al posto del consueto articolo quotidiano verrà pubblicata, il 14 febbraio di ogni anno, un’immagine del Santo o riconducibile in qualche modo al culto in suo onore. I redattori si impegnano, nella stessa data, ad astenersi anche da qualsivoglia commento su questo e su altri blog.

Con la presente mozione si chiede all’editore di approvare l’istituzione della giornata annuale di festa e di garantire l’indipendenza presente e futura di questo blog.

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