Sembra Leibniz, dice una appena l’estroso chitarrista sbuca da dietro il tendone della sala Maestrale. Potrebbe dire Vivaldi o Bach, o un qualsiasi musicista del sei-settecento che sia stato ritratto con una parrucca simile ai veri capelli dell’incredibile Tuck, ma opta per Leibniz. La chitarra di Tuck-Leibniz è una verità di ragione o una verità di fatto? Tuck and Patti sono due esseri distinti di fatto, di ragione o sono una monade senza né porte né finestre? E soprattutto, cos’è una chitarra?
Entri in un auditorium per vedere Tuck and Patti. Credi di sapere cos’è, una chitarra. Sai cosa puoi aspettarti, da un virtuoso dello strumento. Sai che userà sapientemente i pedali, il vibrato, le legature, gli armonici, sai che muoverà le dita sulla tastiera con cambi di direzione continui e talmente veloci da costringerti a muovere la testa come il gatto quando segue i rimbalzi di una palla di gomma. Rimarrai appena appena sorpreso quando capirai che uno dei giochi di tutto il concerto, complice un repertorio di pezzi più o meno standard adatti ad essere sussurrati e diteggiati soavemente, sarà farti ascoltare gradualmente gli esiti di tocchi sempre più morbidi sulle corde e sulla tastiera per convincerti che in una semiacustica da jazz ci stanno quasi più sfumature, più piani e più forti che in un pianoforte.
Poi, ascoltando anche Patti, rimarrai ammirato dalla sapienza con cui i due sanno unire voce e chitarra in un pregevole intarsio, accostando bassi, acuti e ritmi come tasselli di legno di colore diverso ma non troppo, facendo attenzione all’alternanza, al contrasto, alla saturazione. Un amore equalizzato.
Ma poi arriva il dubbio, la domanda: cos’è dunque una chitarra? Tuck si discosta un momento da Patti e ti prende da parte, come il suo sosia Leibniz auspicava che succedesse tra saggi, che nel suo mondo ideale erano politici dediti alla matematica o matematici dediti alla politica: c’è un teorema da dimostrare o una controversia internazionale da risolvere? Bene, calculemus. Si può fare, Leibniz non aveva dubbi. Allora, il teorema, la controversia è questa: cos’è una chitarra? Tuck ha uno sguardo di calma olimpica mentre tempesta tastiera, cassa e pickup, mentre calcola, applica forze diverse, scandaglia da cima a fondo l’oggetto misterioso soltanto per rispondere alla tua domanda, per risolvere il tuo dubbio. E anche se l’intensità della speculazione lo porta facilmente Over the rainbow, le risposte non tardano ad arrivare. La chitarra è un pianoforte, un flauto, un bell’assortimento di percussioni, un’armonica, una corale a quattro voci, una gallina che fa coccodé, un bastone della pioggia, un treno, un ensemble di gospel che canta e batte le mani.
Tutto chiaro? No. Rientra Patti. La chitarra, dicevamo? Chi la suona tanto, di solito, la ama. Tuck è un uomo fortunato, passa ogni sera con le due passioni della sua vita, Patti e la chitarra. Cosa dica all’una attraverso l’altra, cosa ascolti dall’altra mentre vibra insieme all’una, possiamo capirlo solo fino a un certo punto. La passione di Tuck per la sua chitarra e la sua Patti più si rivela e più si nasconde, come accade per ogni grande amore. O per una monade.
Genova, Magazzini del Cotone, 21 marzo 2005
eh, ci vorrebbe proprio stasera liebniz sotto alla mia finestra… capace di dare pace
Comment di estrellita — 24 Marzo 2005 @
un pezzo meraviglioso.. poche volte ho sentito “parlare” con così tanto gusto e amore per lo strumento che per anni è stata una mia malattia.
Comment di ThrasherXXX — 25 Marzo 2005 @
grazie thrasher, ma… vorresti dire che da quella malattia sei guarito? non voglio conoscere la cura ;-)
Comment di cronachesorprese — 25 Marzo 2005 @