Oggi è il primo giorno di scuola. È anche il giorno in cui mia madre compirebbe settant’anni, se fosse ancora viva. Poiché lei ha dedicato una vita alla scuola oltre che alla famiglia mi sembra una bella coincidenza e una bella occasione per ricordarla.
Il giorno del suo funerale guardando quanti suoi ex allievi di età diverse erano presenti in chiesa mi sono reso conto di quanto la sua “maternità” andasse oltre i suoi tre figli. Fare la maestra elementare in un piccolo centro per più di vent’anni non è una cosa che passa senza lasciare traccia. Certo l’esperienza di un figlio non è paragonabile a quella di un allievo. Ma se la maternità fosse solo generazione probabilmente non sarebbe così importante per nessuno. Essere padri e madri è importante perché va oltre. Io non sono padre, non so se lo sarò mai. Non è un pensiero che mi turba o mi mette ansia, perché davvero credo che l’essere genitore deve dipendere almeno in parte dalle circostanze che vivi e dagli incontri che fai. Puoi progettare e ordinare molto della tua vita alla creazione di una famiglia, ed è umano cercare di lasciare il meno possibile al caso. Ma la pianificazione deve arrivare fino a un certo punto. Essere genitore deve rimanere almeno un po’ (solo un po’, non perfettamente) speculare all’essere figlio: e di essere figli di qualcuno, ovviamente, non lo decidiamo. Ho sempre provato disagio, fin da adolescente, a sentir parlare dell’essere padri e madri esclusivamente come obiettivo, come risultato da “spuntare” con una crocetta prima o poi; o ancora come una cosa che “te tocca”; o come una cosa che si desidera sopra ogni altra al punto da decidere della dignità o del significato di una vita. C’è davvero una sola cosa che decide della dignità di una vita ed è l’andare oltre. Qualsiasi cosa si faccia.
Penso che mia madre abbia vissuto profondamente la sua maternità perché ha avuto modo (io la chiamo grazia, gli altri la chiamino come vogliono ma non la contrabbandino per capacità o per fortuna) di viverla oltre noi tre. Vedo che oggi molti insegnanti hanno deciso di cominciare la scuola contro la scuola. Mia madre non l’avrebbe mai fatto. E non per motivi ideologici. In un inizio c’è sempre qualcosa di sacro, qualcosa che va oltre. Come in una nascita. Una madre che è anche insegnante lo sa bene. Si possono avere mille ragioni per protestare, ma l’inizio è l’inizio. È come dire: io sono dentro a questa cosa e questo inizio lo rispetto perché in ciò che inizia oggi c’è qualcosa che va oltre. Guardo questo inizio per quello che vale, anche se sono un precario senza incarico. Poi un attimo dopo posso anche protestare. Ma se la protesta coincide con l’inizio vuol dire che non c’è neanche un attimo per guardare in faccia quei bambini o quei ragazzi, e che le loro facce valgono poco. Varrebbero poco comunque, con un incarico o senza. Sono “secondarie”, letteralmente: vengono dopo. E allora mi chiedo che valore ha la protesta. In nome di cosa si protesta.