Nella sua lettera di ieri al Corriere Giorgia Meloni “ha detto anche cose buone”. È naturalmente irricevibile la proposta di metamorfosi da “Liberazione” a “Libertà” della ricorrenza del 25 aprile, ed è anzi abbastanza sorprendente che la Presidente del Consiglio riprenda oggi un’idea che già nel 2009, quando fu avanzata da Silvio Berlusconi, venne aspramente criticata con una varietà e abbondanza di buoni argomenti che sono puntualmente ritornati ieri in molti commenti. Come è sorprendente che richiami lo strappo di Fiuggi, dato che l’esperienza di Fratelli d’Italia nacque in evidente discontinuità, sia pure a distanza di anni, con la coraggiosa presa di posizione di Gianfranco Fini. È questo anzi il vero punto debole dell’attuale destra di governo su questi temi valoriali: Meloni rivendica una purezza “generazionale” che le si concederebbe volentieri, se non fosse che la marcia indietro del suo partito rispetto ad Alleanza Nazionale, e scelte a dir poco improvvide e divisive come quella di portare La Russa alla Presidenza del Senato, la smentiscono nei fatti.
Altre critiche mosse alla lettera tra ieri e oggi, tuttavia, mi sembrano più deboli e strumentali. Nel testo non c’è la parola “antifascista”? È una pretesa un po’ fondamentalista, se è lecito applicare a questo campo categorie esegetiche nate in altri ambiti. Il motivo per cui non c’è quell’affermazione letterale è spiegato nel testo, ed è la perdurante difficoltà causata da chi usa la parola “fascista” per marcare un’agenda di una parte politica. Aveva ragione Violante, c’è stato un “uso proprietario” della parola “antifascista”, è un fatto innegabile: un vero e proprio abuso che ha prodotto ferite almeno fino agli anni di piombo (ma anche oltre) che faticano a rimarginarsi. Se quella parola fosse stata usata solo contro chi non riusciva a liberarsi di nostalgie e ambiguità avrebbe avuto un senso, invece è stata usata indiscriminatamente come una clava contro qualunque avversario dei sedicenti antifascisti e contro qualsiasi idea osasse (e osi tuttora) contraddire i dogmi dell’agenda progressista.
Si può comprendere dunque se oggi Giorgia Meloni, nel ruolo di primo piano che libere elezioni le hanno assegnato, usa altre parole per indicare lo stesso concetto in riferimento ai principi costituzionali, e si possono apprezzare i passi in avanti che le sue dichiarazioni comportano. Curioso peraltro che la critica venga dagli stessi che hanno ribattuto giustamente a La Russa che è la Costituzione stessa a essere antifascista, anche se non ha al suo interno la parola antifascista: e perché dunque la presidente del Consiglio dovrebbe essere obbligata all’enunciazione esplicita?
Mi sembra, ad esempio, che Meloni parlando del 25 aprile come di uno “spartiacque” distingua correttamente la lotta di Liberazione dalla “spirale di odio” che continuò ancora per qualche anno e che rappresenta il cavallo di battaglia del revisionismo che vorrebbe imputare quelle violenze a tutto il movimento partigiano. Se di spartiacque si tratta, allora si possono finalmente distinguere le due questioni, dare alla lotta per la Liberazione il valore fondativo e condiviso che merita, e mettere gli strascichi di vendette e violenze, così come il dramma di Istria, Fiume e Dalmazia, sotto la lente del giudizio storico senza rimozioni di alcun genere. Percorrere rigorosamente la strada indicata da questa distinzione è l’unico modo per dare alla parola “antifascista” quella singolarità che rivendica a buon diritto rispetto ad altri “antiqualcosa”.
La nostra Repubblica è nata dal ripudio del fascismo: restituiamo quindi la parola a questo unico significato e anche la destra di governo arriverà prima o poi a usarla senza alcuna reticenza. Una speranza più che una convinzione razionale, lo ammetto, ma la strada è quella, è chiara davanti agli occhi di tutti e si può intraprendere tranquilli per amore di patria e di verità.
Non è ancora compiuta la ricomposizione che permetterà di celebrare il 25 aprile come festa unitaria, senza sottintesi, rancori, riserve di alcun genere. Ma forse un piccolo passo in avanti ieri è stato fatto. Dovranno passare anche questo governo, anche questa legislatura, dovranno spegnersi le vampate polemiche generate da questa stagione, ma stiamo vivendo forse un passaggio di chiarimenti ancora necessari, di mal di pancia finora nascosti e non detti, somatizzati per troppo tempo, che finalmente trovano uno sfogo terapeutico. La patologia, sia chiaro, non è di una parte sola ma affligge tutto il corpo sociale e politico. Spero di non peccare di utopia, ma mi auguro di vedere la risoluzione del conflitto “con i miei occhi carnali”, “nella terra dei viventi”.