Più ci penso, più osservo il proliferare di certe iniziative di “destrutturazione” (purtroppo anche istituzionali e non più soltanto promosse da attivisti e associazioni) più mi convinco che i cosiddetti “stereotipi di genere” non sono il diavolo. O meglio, propongo una distinzione che spero sia utile.
“Boys don’t cry” è uno stereotipo, ed è dannoso.
“Ci sono inclinazioni a comportamenti e attività tipiche di ciascuno dei due (solo due) generi corrispondenti al sesso biologico, non esclusive ma prevalenti” NON è uno stereotipo e non solo non è dannoso, ma è anche utile.
Ghettizzare, far sentire strano chi si allontana da questa media è sbagliato. Ma pretendere che questa media sia basata solo su stereotipi e convenzioni è una fuga dalla realtà a duecento all’ora.
Non mi interessa molto stabilire quanto queste inclinazioni siano culturali o no. Anche se fossero culturali al 100%, cosa di cui dubito fortemente, avrebbero un senso e un’utilità e ci andrei piano a “destrutturare”.
Perché una personalità in formazione ha bisogno di coordinate e punti di riferimento.
Ogni cultura stabilisce un “set” di riferimenti che aiutano i bambini e gli adolescenti a crescere. Una pedagogia che ha come orizzonte ideale l’eliminazione progressiva di tutti questi punti di riferimento è guidata da una cattiva utopia e non guarda al bene del minore, anche quando potrebbe sembrare che metta al centro la sua libertà di determinarsi: ma la libertà si allena e si rafforza scorrendo nell’alveo in cui la tradizione fa crescere.
Ne sono sempre più convinto. Poi la partita educativa è tutta da giocare nel concreto. Che il Cielo e gli amici mi aiutino a essere un buon genitore. Ma non permetterò alla cattiva politica e alla cattiva scuola di mettere i bastoni tra le ruote alla mia famiglia mentre è impegnata in questo lavoro enorme e bellissimo.