Il ponte di Albiano, o di Caprigliola a seconda della sponda dalla quale lo guardi, era da bambino una netta emozione. Dopo chilometri dalla Spezia, prima sui tornanti del Buonviaggio, poi sul rettilineo di Bottagna, sul lungo ponte di Ceparana e sui saliscendi pieni di curve tra Ceparana e Albiano, sfociavamo con la 850 guidata da mio padre su questo che, ora vedo bene, era poco più di un guado rialzato, ma che all’epoca mi sembrava monumentale. Era il preludio all’arrivo in campagna nella casa di mio zio a Isola di Caprigliola, poco distante dal ponte sulle “lame” verso Aulla. Mesi d’estate ho passato li tra gite al fiume, uova e latte freschissimi, le verdure dell’orto, le mucche e i conigli, i “testi” per i panigacci sempre pronti all’uso accanto agli alari del camino, la cucina economica. Un altro mondo a due passi da casa, vicino e lontano, una dimensione da esplorare ma nella sicurezza della famiglia, nella spensieratezza dei giochi con mio fratello e i cugini. Quel ponte per me era la porta verso questa parte così importante della mia esperienza di bambino. Attraversarlo era un respiro, una gioia, e anche un po’ una liberazione perché soffrivo la macchina. Era l’accesso a un paesaggio diverso, era uno dei termini del nostro periodico pendolare dal mare al fiume. Lo ricostruiranno e non sarà difficile come per altri ponti più famosi e anche più importanti per me. Però grava sul cuore, in qualche modo, il pensiero che non c’è più quell’impalcato che così tante volte ci ha fatto attraversare la nostra barriera invisibile tra la vita di tutti i giorni e le vacanze, o anche tra una settimana di scuola e qualche giorno, qualche ora di riposo. Qualcosa è andato. Molto rimane.
8 Aprile 2020
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