Qualcuno ancora mi chiede se è davvero così imperdibile questo Festival di Perugia e “cosa ho imparato”. Penso che le parole di Arianna siano sufficienti, e se a qualcuno non bastano provi a scorrere su youtube un po’ dei video degli incontri. Io aggiungo che non si smette mai di imparare a guardare e ad ascoltare, e un giornalista che pensa di saperlo già fare e di aver acquisito queste abilità ormai stabilmente… forse farebbe bene ad andare a Perugia. Non tutti i temi ricorrenti mi appassionano, ma non mi sono mai pentito di aver dedicato a questo evento un po’ di giorni di ferie dal 2009 a oggi. In un programma sempre più vasto e multiforme è difficile non trovare occasioni di interesse e di coinvolgimento. Oltre ai seminari della google news initiative e di facebook che ho seguito fin dove è stato possibile, oltre ai dibattiti con Jay Rosen e Jeff Jarvis (che hanno il dono di porgere con semplicità e leggerezza la loro esperienza giornalistica insieme allo “stato dell’arte” della loro riflessione), due immagini, due istantanee degli incontri serali sono rimaste al di sopra delle altre nei miei pensieri. La prima è la sorpresa e la commozione di Marco Damilano che alla fine del suo racconto su Aldo Moro esita un attimo e dice ancora “grazie, vi voglio bene” a un pubblico che, in media, all’epoca dei fatti non era ancora nato. La seconda è il volto di Daphne Caruana Galizia che viene mostrato alla fine del documentario sulla sua morte, un volto bellissimo, sereno e determinato che dice da solo “perché” è stata ammazzata in un’isola che non è per niente lontana dall’Italia, in tutti i sensi.
Un’altra cosa “piccola” (ma non per me): da cattolico sono contento del messaggio di benvenuto del vescovo volantinato un po’ ovunque nelle location, e anche della tavola rotonda su “fake news e giornalismo di pace” nella sala San Francesco, che è stata di ottimo livello.
In questi anni di crisi epocale dell’editoria, di ridefinizione totale della professione, di “cambio di paradigma” eccetera, forse nel festival manca (è una critica non mia, che ho raccolto da altri e che condivido solo in parte) un po’ di attenzione ai temi più squisitamente “sindacali”, diciamo. Ma un festival deve puntare in alto, deve dare stimoli per aiutare a ricontestualizzare i problemi in una cornice più ampia, deve immettere nel sistema aria fresca, aria pura: a Perugia ho visto il coraggio e l’entusiasmo di immaginare il futuro partendo dalle esperienze più rilevanti del presente, senza arretrare rispetto all’esigenza primaria di racconto e testimonianza. Si è parlato di tecnologia al servizio del giornalismo, non di giornalismo bonsai in salsa telematica, o di web marketing travestito da breaking news. Si è parlato di social per quello che sono, per chiarire ancora una volta, al di là del rumore e dei giudizi sommari, che sono arrivati e non se ne andranno più, che c’è un giornalismo “prima” e un giornalismo “dopo” (e insieme a) i social, e indietro non si torna perché non è possibile e non è neanche auspicabile. Si è dato spazio alla riflessione su nuovi modelli economici che solo chi vuole mettere la testa sotto la sabbia può pensare che siano solo sperimentazioni accademiche o di ricchi annoiati, e non ricerca di alternative sempre più urgenti. Con gli anni #IJF ha acquisito una complessità e un’autorevolezza che onestamente sono difficili da trovare in eventi analoghi nel nostro paese. Per trovare qualcosa che regga il confronto devo andare all’estero o, se voglio rimanere in Italia, devo andare oltre la tematizzazione sul giornalismo. Se usciremo da questi anni in cui è sempre più difficile definire la professione, se dopo questo grande rimescolamento vedremo nuove forme di giornalismo più o meno stabili e una tecnologia ormai matura al suo servizio senza possibilità di sbornie o equivoci; se avremo questa fortuna e questa grazia dovremo riconoscere che Perugia è stato uno dei luoghi della “resistenza”. Spero con tutto il cuore che continui a crescere come ha fatto finora, e che diventi sempre più aperto e plurale. Sazietà, disincanto, cinismo e rancore, che per il giornalismo sono bestemmie e malattie mortali, non abiteranno mai a Perugia.
17 Aprile 2018
Perugia, il giornalismo tra presente e futuro
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