Sarò un “ottimista” (e ci può stare) o un “ingenuo” come mi hanno detto (e questo no, non ci può stare), ma per una riforma costituzionale io mi prendo il lusso di non pensare alle contingenze politiche ed economiche. L’impasse istituzionale di questa legislatura è un conto (questo sì che va considerato), le scelte del governo e i rapporti di forza attuali in parlamento sono un altro conto. Penso sinceramente che ci siano buone ragioni per votare sì e altrettante buone ragioni per votare no. I principali problemi che vedo sono tre.
1 – Il superamento del bicameralismo perfetto è opportuno, lo penso dai tempi della Bicamerale. Ed è il motivo principale per il quale ho pensato a lungo, ho letto molti articoli e vagliato opinioni diverse prima di decidere. “Non perderemo un’occasione storica e irripetibile?”, mi sono domandato. La risposta che mi dò oggi è no: possiamo raggiungere questo obiettivo in tempi ragionevoli e seguendo un percorso migliore, con un accordo più ampio tra le forze politiche. Penso che il dibattito per questo referendum sia stato positivo perché ha fatto maturare nella maggioranza degli elettori (anche di quelli che voteranno no) la consapevolezza di dover cambiare. Consapevolezza che non era stata raggiunta in occasione delle ultime proposte di revisione costituzionale. Ma va giocata nella prossima legislatura, dopo una campagna elettorale incentrata anche su questi temi. La chiarezza su questo fattore sarà il criterio fondamentale in base al quale deciderò per chi votare alle prossime politiche. Sicuramente il Senato come è previsto dalla riforma attuale non mi piace: meglio abolirlo del tutto, così mi sembra solo fattore di confusione e inefficace come contrappeso.
2 – Il referendum mette insieme questioni diverse che dovevano essere divise in più schede, perché non c’è alcuna organicità tra la riforma delle due camere, la riforma del referendum, l’abolizione del cnel. Al massimo posso concedere che cambiare i metodi di elezione del presidente della repubblica e dei membri della corte costituzionale sia collegato alla riforma delle camere, ma non è proprio rigoroso neanche questo collegamento
3 – A me la riforma del titolo V del 2001 piaceva e non vedo motivi per eutanasizzarla dopo soli 15 anni. Non mi piace soprattutto la direzione centralista che si prende: è proprio una marcia indietro rispetto al 2001. Non penso che le regioni nel nuovo senato avranno più peso, penso che ne avranno di meno e penso che i territori faranno fatica a far sentire la propria voce e a incidere sulle scelte del governo. L’attuale Conferenza delle Regioni forse è più efficace: è peraltro una sede in cui spesso le regioni superano le divisioni politiche e fanno prevalere le necessità imposte dall’attività amministrativa.
Come mi succede spesso, mi sento fuori dal dibattito. Mi sembra che i sostenitori del sì come i sostenitori del no perdano tempo dietro a questioni inessenziali. I primi sui risparmi che si possono realizzare: non sono così importanti da pesare sulla scelta del voto e sono un cedimento a una deriva demagogica che non mi piace, la rappresentanza ha un costo, se per togliere costi devo indebolire la rappresentanza preferisco tenere i costi. I secondi sul valore dell’elezione dei nuovi senatori: a me un’elezione di secondo grado per un senato così configurato starebbe benissimo, non è certo un problema. Sono proprio i compiti e i poteri di quello che dovrebbe essere il nuovo Senato che non mi convincono.
Ma ripeto, sono stato molto indeciso fino a ieri. La mia posizione è solo un calcolo costi benefici. Può darsi che sia un calcolo sbagliato, nel caso vinca il sì spero che lo sia. Io oggi scommetto su questo: bocciare la riforma oggi per farne una migliore in tempi ragionevoli, nella prossima legislatura, con un chiaro mandato elettorale per farlo.