Cronachesorprese

17 Luglio 2014

Il talento anti Talent

Filed under: le specie musicali — alessandro @

Una modestia vera, antica, invincibile; due dita (nel video seguente quando suona All of me, indice e mignolo, sembra un limite e invece…) che percuotono una chitarrina da quattro soldi, un mondo di musica che si sprigiona a ogni battuta.

La storia di Vittorio Camardese è una di quelle storie che può essere considerata triste o lieta, a seconda del punto di vista di chi la guarda e del cuore che la considera. Un eccentrico che si permetteva il lusso di declinare gli inviti insistenti di Chet Baker a raggiungerlo oltre oceano. Un autodidatta che forse si sentiva come un pesce fuor d’acqua sotto i riflettori, e quando nel 1965 andò farsi intervistare alla televisione aveva tutta l’aria di non averne molta voglia, di farlo per cortesia.

Poi magari ci sono sfumature che non si vedono. Magari c’era una quota insondabile di frustrazione in quella vita di radiologo con la passionaccia per le sei corde. Difficile dirlo. Se è così non traspare molto. Però c’è qualcosa che proprio non si può negare. Un talento come quello, nell’epoca dei talent show, è impossibile. Non è impossibile la capacità tecnica, è impossibile viverla così. Nell’epoca della ricerca spasmodica del talento artistico fin dalla culla il talento è legato indissolubilmente all’idea di successo. Non c’è lo spazio, nessuno permette che i due concetti non vadano insieme. Il che vuol dire, molto probabilmente, che non c’è spazio per vere sperimentazioni, per vere ispirazioni. Si cercano ricette che funzionino più che altro. Non si lascia la creatività a briglia sciolta.

Quindi uno come Camardese che da solo e fuori dai riflettori sviluppa una tecnica ardita, unica, innovativa, che partendo dagli standard jazz prefigura un uso e un protagonismo della chitarra che di lì a pochi anni sarebbe esploso in altri generi, oggi non potrebbe neanche pensare a se stesso senza vedersi su un palco, in uno studio di registrazione e, va da sé, in televisione davanti a una giuria di musicisti affermati in grado di esaltarlo o demolirlo alzando una paletta, dicendo un sì o un no.

Spiace dirlo, ma il talento artistico ha perso la dimensione della gratuità. Parlo di grandi numeri, naturalmente. Ma sono anche convinto che è solo un passaggio. E quando questo castello di illusioni e di sfruttatori in cui la musica e i musicisti sono imprigionati finalmente crollerà riemergerà il piacere di suonare tra amici, il piacere di suonare e di farsi ascoltare come il suonatore jones di De André, senza “nemmeno un rimpianto”. Come mi piace immaginare che sia vissuto Vittorio Camardese fino alla fine.

5 Comments »

  1. Ricordi il pezzo nel film di Jarmusch, quando il vampiro dice della bravissima cantante marocchina: è troppo brava per essere famosa? Ecco. Ma la cosa è piuttosto complessa.

    Nell’articolo che citi si parla di Kafka come esempio di ‘non interesse’ all’audience. Ma non è esatto. Kafka ha letto TUTTI i suoi romanzi ad amici e conoscenti, e parecchi dei suoi racconti. Inoltre molti di quegli amici erano tra gli scrittori più svegli del panorama praghese dell’epoca. E ha dato Brod i suoi manoscritti, chiedendogli di giurare di bruciarli, e Brod gli ha detto: manco morto. E a Kafka è andato bene così.

    Quello che Kafka aveva non era disinteresse in un audience, ma piuttosto al mercato e al meccanismo editoriale e dei suoi fini. Se vogliamo, non gli interessava nè la fama nè il rientro economico.

    Quindi: non sono d’accordo che si stia perdendo il valore della GRATUITA’ dell’arte, visto che ‘all’artista” si chiede di lavorare sempre più spesso gratis. Quello che credo che accada è che si sta perdendo il senso del gesto artistico come portatore di un valore del tutto extraeconomico, che non solo non p ‘gratuità’ ma è il suo preciso opposto.

    Se è una cosa è ‘gratis’ il suo valore sta proprio nel fatto che un costo in realtà lo avrebbe, cosa che ben sanno tutti quelli che chiedono ‘prestazioni artistiche gratuite’. E infatti quando mi chiedono di scrivere/raccontare qualcosa senza compenso, me lo chiedono a titolo promozionale: cioè tu ora non ci guadagni, ma ci guadagnerai.
    E’ gratis, ma un giorno ti frutterà.

    Altro è dire e dimostrare che il valore esperienziale sta in altro, per esempio nel leggere una storia a degli amici, per esempio riunirsi a raccontare del proprio vissuto. Che valore economico ha raccontare i fatti miei? Nessuno, ma ha valore umano.

    Questo per dire che, pur essendo stradaccordo con te, credo che la questione sia posta male da un punto di vista lessicale. GRATIS è una parola che appartiene al commercio. L’arte non è gratis (vedi l’appunto di Kafka sulla dipendenza del suo scrivere alla stufa e alla cameriera che gli portava da mangiare: sapeva benissimo che il tempo della scrittura lo PAGAVA e tanto), ha un costo economico: ma il fine di quel costo NON DEVE essere per forza un rientro economico.

    Questo è quanto. Un abbraccio.

    GDF

    Comment di Giovanni De Feo — 17 Luglio 2014 @

  2. Ma che spettacolo!

    Perche’ la storia dovrebbe essere triste?

    Al di la’ di questo, le tue considerazioni sono semplicemente perfette.

    Stavo scrivendo che andrebbe segnalato a Bollani perche’ ne parli nella sua strepitosa trasmissione il giorno in cui dovesse riproporla…Cosi’ ho cercato e ho scoperto che la seconda serie e’ andata in onda!

    http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-a62ef81c-3b6a-4bd9-9cf7-b7d8d76b38dd.html

    (Domenica in seconda serata su Raitre. C’e’ continuita’ col tuo post)

    Ciao

    Filippo

    Comment di Filippo — 17 Luglio 2014 @

  3. sì giovanni, penso che il disaccordo tra noi sia soltanto lessicale. forse non è esatto usare il termine “gratuità” per dire ciò che voglio dire. non penso al “gratis”, penso al “non finalizzato”, penso appunto a un valore esperienziale. sto volutamente un passo indietro rispetto alle giuste considerazioni che fai tu sul compenso a cui il lavoro artistico di qualità ha diritto.
    voglio soltanto mettere in evidenza quanto quello spazio in cui camardese si muoveva con talento ed eleganza sia oggi ristretto, soffocato. dall’idolo del successo prima che da quello dei soldi. grazie, un abbraccio a te :-)

    Comment di alessandro — 18 Luglio 2014 @

  4. filippo, credo che molti possano davvero considerare la figura di camardese come triste. ma hanno capito ben poco della musica e della vita, a mio modesto parere :-)

    Comment di alessandro — 18 Luglio 2014 @

  5. Il tuo post mi induce una analisi retrò che più retrò non si può, temo….

    Il talent porta a compimento quel processo di mercificazione e reificazione della produzione artistica che era già intravisto tempo fa da studiosi come Lukacs o Adorno (sta nella sua Introduzione alla sociologia della musica. Adorno che peraltro del jazz non capì una ceppa ma vabbè di altre cose ci prendeva), e che sta poi alla base del pensiero di Debord.

    La produzione artistica perde un valore di per se e diventa semplicemente merce che ha un valore economico (in quanto può essere venduta e comprata) e politico (in quanto può essere utilizzata per colonizzare l’immaginario e quindi, affermando o negando modelli di comportamento e valori, spostare equilibri di potere). In questa logica un personaggio come Vittorio Camardese con il suo disinteresse e la sua leggerezza così pesante diventa eversivo, un pericoloso rivoluzionario (l’insostenibile leggerezza di Camardese potremmo dire)

    Non è forse un caso che a parlarne nel video sia Roberto Angelini che in qualche modo in quei territori non solo chitarristici pare a volte muoversi.

    Comment di GioCar — 18 Luglio 2014 @

RSS feed for comments on this post. TrackBack URI

Leave a comment


Powered by WordPress. Theme by H P Nadig