Cara Virxe da Barca, non ti vedrò mai più così:
però così i miei occhi ti hanno vista e non dimenticherò mai le due ore che ho passato a guardarti seduto sulla scogliera e a pensare. Sei stata amica e compagna di tutti i pellegrini che hanno finito il loro cammino davanti a te e al mare. Ora sei salpata di nuovo, hai preso il mare da cui sei venuta. Te ne sei andata a natale, ci hai voluto lasciare non da soli ma con una speranza neonata.
Ti ricostruiranno. Spero senza fretta, perché la fretta non ha mai detto bene in questi casi. La scogliera è già un luogo sacro. Non abbiamo bisogno di colate di cemento istantanee per celebrare ciò che lì si celebra da sempre, da epoche preistoriche, per godere della meraviglia congelata in quelle pietre dalle forme così strane, per apprezzare la certezza che si possa andare sempre oltre quel limite come oltre ogni limite del mondo fisico.
Vorrei che la nuova chiesa che sorgerà fosse eretta dalla gratitudine e dall’affetto dei pellegrini che ti hanno amata. Non importa quanto dovremo aspettare, l’importante è che sia il tuo popolo a prendersi cura di te, più che una sollecitudine istituzionale che valuta la perdita di una risorsa turistica. Chi se ne importa! Anche i cantieri sono belli, la Sagrada Familia l’ha reinsegnato a noi poveri idioti che non abbiamo più la fede per amare un tempio che non vedremo mai finito, che non capiamo più l’amore che muoveva chi portava le prime pietre delle cattedrali.