Cronachesorprese

6 Giugno 2011

Ancora sul quorum…

Filed under: cronache — alessandro @

Sto seguendo l’Infedele di Lerner. Tanto per cambiare si sta discutendo sulla partecipazione al referendum. Qualcuno sostiene che non andrà a votare (un onorevole in particolare) e la maggioranza schiacciante ribatte che è disonesto giocare sul quorum e puntare a far fallire il referendum. Una questione che non finirà mai, che si riproporrà a ogni consultazione referendaria. Almeno finché non cambieranno la legge.

Insomma, io non capisco questa indignazione. E non capisco perché sia così difficile capire la posizione di chi coglie l’opportunità di non far scattare il quorum. I nostri referendum sono solo abrogativi. Cosa significa? Significa che si presuppone che ci sia un parlamento che lavora. E lasciamo perdere i facili commenti sui parlamentari che non fanno un tubo o lavorano male. Stiamo al puro aspetto di diritto, poi quando abbiamo chiarito questo possiamo anche andare a vedere se la situazione concreta di oggi giustifichi delle deroghe.

Il principio sancito dalla Costituzione e dalla legge è il seguente. Siamo una democrazia rappresentativa. Il popolo elegge il parlamento. Il parlamento in via ordinaria fa le leggi. In via straordinaria i cittadini possono raccogliere firme per chiedere l’abrogazione di una legge. Se la richiesta è giudicata ammissibile si va al voto. Perché il referendum sia valido occorre che vadano a votare il 50% più uno degli elettori.

Questa regola del quorum non è un ostacolo arbitrario. Se la via ordinaria per l’approvazione delle leggi è quella parlamentare, mettere un quorum significa che nella consultazione referendaria non si confrontano in primo luogo i sì con i no, ma la legge vigente contro la richiesta di abrogazione. Poi, in seconda battuta, si confrontano i sì con i no.

Il quorum, insomma, rappresenza la forza della legge approvata dal parlamento. Chi propone l’abrogazione deve dimostrare una capacità di mobilitazione tale da sconfiggere questa forza. Se così non fosse si ammetterebbe che il parlamento non è poi così rappresentativo. E forse è questo il problema. Per questo molti percepiscono l’astensione come un tradimento e una vigliaccata: perché non credono che, nella situazione politica attuale, il parlamento sia davvero rappresentativo.

Ma come spesso accade si confondono valutazioni di principio con analisi dei fatti. Ed è un metodo contro il quale reagisco e reagirò sempre, anche in questo caso in cui ho deciso di andare a votare.
Mi spiace anche per il presidente Napolitano che oggi ha preso posizione, ma il “dovere” di un elettore a una consultazione referendaria è anche quello di decidere in coscienza se è d’accordo totalmente o in parte con chi ha legiferato. Se è totalmente d’accordo e ritiene che l’astensione possa contribuire a far fallire il referendum sarei quasi tentato di dire, provocatoriamente, che ha il dovere di non andare a votare. Soprattutto se percepisce la questione come importante e cruciale. C’è la possibilità concreta di invalidare un’iniziativa referendaria che non approva? E allora non vada a votare. È la scelta più coerente e perfettamente in linea con lo spirito della legge. Un referendum non è come un’elezione politica o amministrativa, ha un meccanismo e un significato diversi.

Si può discutere poi, come si è fatto in passato, sulla ragionevolezza del quorum al 50%. Credo che sia giusto abbassarlo, tenendo conto soprattutto della crescente tendenza all’astensione. Ma toglierlo no. Non sarebbe giusto. Non per un referendum abrogativo. Se e quando avremo i referendum propositivi, come in Svizzera, potremo anche togliere il quorum.

3 Giugno 2011

Referendum, un salto oltre i dubbi

Filed under: dichiarazioni di voto — alessandro @

Mancano soltanto dieci giorni ai referendum e ancora non sono del tutto persuaso. Ho soltanto degli orientamenti che in questi giorni potrebbero ancora cambiare. Certo l’informazione nell’ultimo mese non mi ha aiutato, e i pressanti appelli arrivati attraverso i social network non mi hanno ben disposto. La retorica referendaria del quorum a tutti i costi contro i poteri forti non mi ha mai appassionato e non mi appassionerà mai. A mio parere l’esito di un referendum deve essere la risultante di tante posizioni diverse, di tanti personali bilanciamenti di pro e di contro. Ma in Italia è proprio difficile. Per quanto Di Pietro si affanni a sostenere il contrario la voglia di politicizzare questa consultazione è fortissima, soprattutto dopo le ultime amministrative. Ma bando al terrore della strumentalizzazione: si vive di scelte e non di dubbi o di fastidi.

Andrò a votare. Penso che l’astensione sia un’opzione più che legittima e per nulla immorale. Ma in questo caso non vedo ragioni per concorrere a far mancare il quorum, che peraltro credo verrà raggiunto. Questi referendum non sono come quelli del 2005, al cui fallimento ho contribuito con convinzione. Là c’era una legge che, seppur non perfetta, andava a regolamentare qualcosa che non era ancora regolamentato; una legge voluta da una maggioranza ma approvata con una buona trasversalità.
I quattro quesiti di quest’anno ruotano invece attorno a norme molto controverse che, nonostante riguardino questioni di principio abbastanza rilevanti, hanno guadagnato poca o nulla trasversalità in parlamento. Non indispensabile, ma opportuno andare a cercare il referendum.

Ma cosa votare? Scrivo ora sinteticamente come vedo le questioni, nei prossimi giorni cercherò di approfondire.

Acqua
Sono orientato per il SÌ a entrambi i quesiti

Se ho capito bene, i due quesiti sono abbastanza differenti. Il primo ha lo scopo di impedire totalmente gestioni “profit” dell’acqua, il secondo vuole levare ad abundantiam qualsiasi possibile speculazione sulle tariffe, anche da parte di una gestione pubblica. I promotori tendono a semplificare e a drammatizzare parlando di “privatizzazione” dell’acqua, cosa che nei fatti non è e che non può essere neanche desunta dalla lettera della norma. Un conto è parlare di profitti legati alla gestione dell’acqua, un conto è rendere privata la risorsa acqua. Non ci sono e non ci saranno mai padroni dell’acqua come i padroni del vapore di un tempo. E tuttavia è giusto fare il possibile per evitare scivolamenti.
La ragione più forte che vedo ora per votare sì è che non mi piace che il profitto sia legato alla semplice distriibuzione di un bene che deve essere sempre disponibile a tutti, senza vincoli di alcun genere. A mio parere l’eventuale profitto può essere legato (oltre che alla manutenzione e ad appalti per nuove opere infrastrutturali) a servizi supplementari, come avviene per le concessioni delle acque minerali che poi vengono imbottigliate. E ci vorrebbe non un referendum ma una bella iniziativa di legge sui criteri di queste concessioni, che attualmente permettono un lucro astronomico in cambio di canoni irrisori.
La ragione più forte che vedo ora per votare no è che la rete idrica italiana è molto vecchia: nei prossimi anni avrà bisogno di interventi pesanti, non solo di manutenzione ordinaria ma di ammodernamento generale. Il rischio è perdere la possibilità di controllare e garantire la qualità dell’acqua da parte del gestore pubblico. Per farlo saranno necessari capitali ingenti, quindi anche privati. Se vincerà il Sì occorrerà comunque porsi seriamente questo problema e trovare una soluzione il più rapidamente possibile.

Nucleare
Sono orientato per il

Un vero pasticcio l’azione del Governo. Cominciato nel 2008 con l’introduzione del ritorno al nucleare (già bocciato da un referendum di vent’anni fa, quindi materia delicata) in un decreto legge che ha come scopo dichiarato la riduzione dell’indebitamento delle pubbliche amministrazioni. Ciliegina sul pasticcio, la norma nel Milleproroghe che avrebbe dovuto evitare il referendum e che la Cassazione ha saltato a piè pari senza tentennamenti. Giusta la decisione della Cassazione, poco convincente e per nulla coerente la posizione del Governo.
Ma non è la coerenza del Governo che mi interessa, non su una faccenda così delicata. Credo che sia da sciocchi essere pregiudizialmente contro il nucleare, non è da sciocchi invece pretendere sicurezza. L’idea della moratoria potrebbe anche essere ragionevole. Facciamo finta che l’intenzione del Governo sia fare una vera moratoria. Anche in questa ipotesi, l’abrogazione di quella norma sembra la via più semplice e meno ambigua. Perché non è vero che il nucleare verrebbe bandito per sempre: dopo cinque anni si potrebbe proporre una nuova legge per realizzare impianti in Italia. Cinque anni sono un tempo appena sufficiente per una moratoria sensata. Se mai ci sarà, è auspicabile che una nuova legge parta da certezze scientifiche sulla sicurezza e sullo smaltimento delle scorie. E soprattutto che sia una legge di ampio respiro sulle politiche energetiche, che venga approvata a seguito di un lungo e doveroso dibattito in parlamento e nella società. Non un articolo infilato in un decreto per la razionalizzazione della spesa pubblica.

Legittimo impedimento
Sono orientato per il NO

L’argomento principe dei promotori del referendum, quello che ripetono come un mantra, è la violazione dell’articolo 3 della costituzione. Un argomento debole, populistico e solo in apparenza chiaro. Invece è vero che il legittimo impedimento non è ancora stato cancellato dalla Consulta (come vuol far credere la maggioranza), che tuttavia finora non è stata tenera con le iniziative salvapremier. Se il legittimo impedimento fosse davvero incompatibile con la prima parte della Costituzione sarebbe stato bocciato senza residui. Ma è davvero arduo sostenere che la norma ancora in vigore sancisca un privilegio inammissibile. Si dovrebbe ammettere allora che anche l’immunità parlamentare, garantita per quasi mezzo secolo, sarebbe stata una contraddizione interna alla stessa carta costituzionale.
Ad ogni modo il legittimo impedimento non garantisce immunità, dato che prevede soltanto la possibilità per premier e ministri di chiedere di non presentarsi davanti ai giudici per documentati impegni istituzionali. Volta per volta. Si dice che difficilmente si potrebbe dire di no a queste richieste, ma non si capisce il perché e comunque nella legge non è scritto che il giudice sia obbligato a dire di sì se l’impedimento è documentato.
Lo so che non va molto di moda sostenerlo, ma sono convinto che le garanzie per il potere politico di fronte al potere giudiziario non siano privilegi intollerabili o pure berlusconate. Mi auguro che Berlusconi non faccia la riforma della giustizia che minaccia da tempo, e ormai mi sembra che non abbia più il consenso e il credito per riuscirci. Ma quando ci saremo liberati del grande equivoco Berlusconi occorrerà riflettere a lungo su quello che è successo. Con equilibrio. Senza farci prendere la mano in senso opposto a tutte le incursioni ad personam che abbiamo dovuto sopportare in questi lunghi anni.

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