Due rappresentanti del popolo stanno in Parlamento e si parlano. Cosa c’è di strano? Niente, mi pare.
Si chiamano Berlusconi e Di Pietro? E cosa importa. Li paghiamo anche per questo.
Un colloquio in aula tra un deputato e il capo del Governo non dovrebbe fare notizia. La cosa che non va è proprio che sia una notizia, tanto da far scrivere al Sole 24 ore che è praticamente l’unica notizia della seduta alla Camera di ieri.
Oggi leggo nei commenti ovunque: Di Pietro traditore, non ti voterò più, ti sei venduto anche tu. Il leader dell’Italia dei Valori cerca di spiegare cosa è successo anche sul suo blog ma i commenti non risparmiano critiche: “trovo inappropriato scambiare pure solo un sorriso con un p2ista che continua ancora oggi con Bisignani a sfasciare questo paese”; “vederti parlare con lui con quell’ atteggiamento fa venire veramente i brividi”. Credo che non si possa trovare meglio espressa la nostra immaturità politica di elettori che ci condanna ad avere una classe politica mediocre.
Come si può pensare che la divergenza anche totale tra due politici non possa essere affrontata in un discorso faccia a faccia senza insultarsi o menarsi? Soprattutto, come può questa autocensura essere ritenuta un comportamento corretto e augurabile? Io la ritengo un venir meno ai propri doveri di rappresentanti del popolo. Sì, è vero, abbiamo visto anche schiaffi, pugni e calci in parlamento. Abbiamo visto volare oggetti più o meno contundenti, sentito cori da stadio. Ma se non sbaglio tutti si sono scandalizzati. Anche, e forse più degli altri, quelli che oggi hanno storto il naso per il colloquio ripreso ieri da tutti i telegiornali. E allora che bisogna fare?
Non mi interessa entrare nel merito del colloquio tra i due leader. Rimango all’aspetto di pura comunicazione. Berlusconi lo fa spesso: prende da parte un avversario politico in modo che le televisioni lo possano riprendere. L’ha fatto il 14 dicembre scorso con Casini, l’ha fatto ieri con Di Pietro. Entrambi, pare, non sono stati concilianti con lui nell’occasione. Berlusconi lo fa per lanciare messaggi ai suoi e agli elettori, non c’è dubbio. Ma intanto fa quello che dovrebbe essere la normalità. In parlamento tutti dovrebbero parlarsi. E, udite udite, lo fanno sempre, lo fanno davvero. Anche quando non c’è la telecamera a riprenderli. Discutono tranquillamente e magari scherzano amabilmente anche se non condividono nulla. Sembra banale? Non lo è. Una volta non succedeva. Una volta un luogo dove questo poteva succedere non ce l’avevamo.
Non riuscirò mai a sintonizzarmi con l’esecrazione dell’avversario politico, da qualsiasi parte provenga. Posso anche arrabbiarmi, posso protestare per ingiustizie che vedo enormi e palesi. Ma un avversario politico è solo un avversario politico: uno che pensa e agisce politicamente in maniera diversa da come agirei io e che si trova nella stessa aula insieme ad altri più vicini alle mie idee, o meno lontani. Si trovano nella stessa aula perché devono parlare tra di loro, prima di prendere decisioni. Possono anche odiarsi ma io non li pago per odiarsi o per darsi sulla voce a Ballarò e Annozero. Li pago per superare tutti i motivi per cui non andrebbero mai a cena insieme e parlarsi. Non è obbligatorio che siano amici. Non è neanche obbligatorio che raggiungano un accordo su qualcosa, possono poi scontrarsi nelle votazioni in aula, vincere ed essere vinti. Ma prima è obbligatorio che si parlino.
Quale è l’alternativa, che non si parlino se non attraverso gli interventi? No, sarebbe ingenuo pensarlo. L’alternativa è che si parlino di nascosto. Così abbiamo foraggiato la P2, la P3, la P4. Così fatalmente arriveremo prima o poi (torneremo) alla P38, quella che vigilerà affinché i nemici non si parlino mai tra di loro e punirà i dissidenti condannandoli con parole decise. Magari sempre in favore di telecamera, ma per nulla sottovoce.