Cronachesorprese

9 Dicembre 2010

Gallo Natale

Filed under: cronache — alessandro @

Se ci fosse un minimo di obiettività in questo paese (e nella città in cui mi trovo, sempre meno convintamente, a vivere) si dovrebbe riconoscere che Don Gallo è un gaffeur pasticcione ai livelli di un Silvio Berlusconi.
Fargli le pulci ormai è come beccare un bambino che si sbrodola malamente mentre si pappa la sua merendina preferita. Per un presenzialista fare dichiarazioni è meglio della merenda. E l’argomento preferito dal prete-Gallo non è il povero Cristo, non solo almeno, ma è anche e soprattutto il giovane ribelle, che spesso con il povero Cristo ha ben poco a che fare. Quando vede una manifestazione che dà appena segno di andare sopra le righe il vecchio prevosto non sta più nella pelle, si scioglie, si riempie di senile tenerezza e comincia a esternare.

Non ho neanche più voglia (come qualche tempo fa) di spendere un po’ di sano nervosismo a passare in rassegna tutti motivi per cui le sue dichiarazioni di questa sera sono fuori dal vaso, fuori da ogni logica, fuori da ogni buon metodo di utile provocazione. Il corteo degli studenti che è passato in via XX settembre questo pomeriggio l’ho visto, era bello, pieno di energia, con i ragazzi in prima fila con gli “scudi” a forma di libro, gli stessi che abbiamo visto a Roma e in altre città italiane. Ma uno sparuto drappello di manifestanti vestiti da babbo natale ha deviato dalla strada, è entrato nella libreria Mondadori e ha saccheggiato un centinaio di libri veri dopo aver farfugliato un proclama in stile vecchio “esproprio proletario” (come mi è stato raccontato da una commessa un’ora dopo): “siamo ragazzi, studenti, disoccupati, non abbiamo soldi, è natale, vogliamo fare anche noi dei regali, state buoni, non rompiamo nulla, ecco prendiamo e ciao”.
Poi molti di quei libri non sono finiti negli zaini ma sono stati buttati e strappati per strada, alla faccia dei tanti studenti non molto abbienti che soffrono davvero per i tagli alle scuole e alle università.

Uno dei capi della parte sana del corteo è passato dalla Mondadori a chiedere scusa a nome di tutti i manifestanti. È passata anche un’anziana signora che è riuscita a recuperare due o tre dei libri buttati.
Piccoli gesti di dignità che valgono bene a eclissare un brutto episodio che per fortuna è minimo, un incidente che nella testa di chi vuol ragionare non inficia il valore della manifestazione.

Ma tra questi non c’è Don Andrea Gallo che da vecchio barricadero capisce subito, istintivamente, da che parte stare: “L’avessi saputo sarei andato anch’io”. Magari come babbo natale sarebbe stato anche più credibile di qualche sbarbatello. Ma non è tutto:

bisogna dare dei segni, senza violenza verbale o fisica, e portare la gente a prendere coscienza

Ah, sì, un grande gesto di protesta non violenta (scommetto che qualcuno avrebbe il coraggio di definirlo “profetico”) saccheggiare una libreria. Ma quanti non violenti insospettabili che ci sono in giro allora. Anche a piede libero. Ma Don Gallo guarda alla sostanza:

abbiamo una democrazia che è eutanasia, un tentativo di marchio chiaramente fascista di distruggere la Costituzione

E quindi che si fa? Come i vecchi manganellatori della prima ora che buttavano all’aria le sedi dei giornali nemici. Tutto torna.
E poi, la più bella:

Mi sarei vestito da Babbo Natale e sarei andato anche io incurante dei benpensanti. L’importante è che si chiedano che cosa è successo.

È successo che hai perso un’altra occasione per stare zitto. Tra i benpensanti (nei salotti della sinistra bene che frequenti anche tu, tipo Fazio) e gli straparlanti non si sa più chi scegliere.

8 Dicembre 2010

L’inverno del Villaggio

Filed under: cronache — alessandro @

Paolo Villaggio lo preferivo così. È invecchiato decisamente male.
Grazie a chi ha partecipato alla piacevole conversazione che è nata su facebook da un mio messaggio. La sintetizzo anche qui.

Non è una novità: Paolo Villaggio ha “ammazzato” da tempo il Fracchia sognatore per dare troppo spazio a un Fantozzi sempre più cinico e disperato. Ma, anche se non è nulla di nuovo, è sempre più evidente che quanto Fracchia e Fantozzi coglievano nel segno ed erano grandi perché goffi, la goffaggine di certe dichiarazioni di Villaggio è solo stupida e rozza.

Mi dispiace, perché mi ha fatto divertire tanto al cinema e in televisione, da bambino e da ragazzo. Soprattutto da bambino. Mi dispiace perché è stato davvero grande a rappresentare quel qualcosa che c’è, che scatta davvero nelle aziende italiane. Tutti abbiamo visto almeno una volta nella vita qualcosa che da quarant’anni non può essere definito in altro modo che “fantozziano”.

Però quello che Villaggio comunica oggi non è fantozziano. Non è nemmeno del peggior Fantozzi, quello più disperato, quello cattivo e vendicativo che ogni tanto sembra vincente e diventa ancora più spietato dei suoi aguzzini. Non è Fantozzi, non è più Giandomenico Fracchia sepolto da tempo con i suoi sogni di riscatto, di successo, che nelle vecchie, bellissime puntate televisive aprono degli incisi che descrivono mondi capovolti, sogni ad occhi aperti, agili fughe dalla realtà. Tutto sommato però coraggiose, perché restituiscono intera la dimensione del desiderio. Sconfitto, frustrato, ma ancora intero.

Forse per Villaggio questo pensarsi morto è un modo per dire che quei personaggi così vitali, in cui lui si è identificato così tanto, sono morti. Forse non ne è poi così sicuro e prova a gridare, per risvegliarli.

5 Dicembre 2010

Wikileaks e il top secret che verrà

Filed under: cronache — alessandro @

Sono un po’ frastornato e faccio fatica a dare un giudizio sulla tempesta Wikileaks. La questione del libero accesso a certi documenti prodotti dai governi, dalle amministrazioni e dalle diplomazie è un po’ troppo intricata e piena di conseguenze difficili da valutare all’istante. Non capisco come si possa esultare immediatamente per una vittoria della libertà di informazione o gridare all’ “11 settembre della diplomazia”.

È affascinante seguire le due cacce parallele, quella all’uomo Assange e quella al sito Wikileaks. Sono due fuggitivi tanto fantomatici quanto straordinariamente presenti nelle conversazioni globali. Assange è pure finito nel presepe napoletano, e non è poco per uno che non è mai stato da Vespa o non ha giocato da centravanti nel Napoli.

Io non so se il punto di arrivo che indica Assange sia la vera trasparenza, quella di cui i cittadini hanno bisogno. Indubbiamente la sua azione costringe a ridefinire molte cose. Ma gli stati e le diplomazie non possono fare a meno di un livello inviolabile di segretezza. E non per nascondere malefatte, ma per funzionare. Assange sta facendo come quelli che inventano i virus, che spianano la strada ai venditori di antivirus. Se il punto d’onore di Wikileaks è: “tutta la documentazione ufficiale prodotta da un governo a qualsiasi livello deve essere disponibile a tutti”, la risposta più logica sarà non produrre più documentazione ufficiale relativa a un certo livello di azione e di consultazione, o tenerla fisicamente separata da connessioni con la rete globale. Se il punto invece è: “possiamo intercettare qualsiasi messaggio o conversazione di lavoro in una qualsiasi istituzione”, sarà difficile difenderne la legittimità. In altre parole: una legge che assicura la segretezza di alcuni documenti ufficiali può essere attaccata, anche in sede processuale, per essere superata o ridefinita; la violazione di una conversazione o un messaggio tra funzionari che non sia protocollata come documento, riservato o no, anche se oggi è tecnicamente più facile che in passato rimarrà sempre una violazione della privacy perseguibile. Non si può ridefinire e alzare l’asticella della libertà di informazione, fine lodevole, a partire da questa premessa.

Serve davvero una trasparenza così indiscriminata e non mediata da un lavoro giornalistico? Quando Seymour Hersch (che ho avuto la fortuna di ascoltare a Perugia) ha fatto l’inchiesta su Abu Ghraib ha ovviamente portato alla conoscenza del pubblico informazioni che fino a quel momento erano riservate. Ma i fatti erano talmente gravi che l’interesse pubblico a conoscerli superava qualsiasi altra considerazione. Il giornalista, con la sua professionalità e il suo lavoro, si fa in qualche modo garante sia dell’anonimato di una fonte, che rischia qualcosa, sia del fatto che sta tutelando un vero interesse del pubblico ad accedere a certe informazioni. Se questa mediazione non c’è, in definitiva non è garantita neanche la proporzione tra la rottura della riservatezza e i danni che può causare, perché un’istituzione senza almeno un minimo grado di riservatezza non può funzionare.

D’altra parte, però, che sia tecnicamente più facile “sniffare” informazioni riservate permette di porre una questione di democrazia per certi versi nuova: cosa e quanto può essere riservato? Senza una risposta originale, onesta e coerente a questa domanda il maccartismo digitale di cui parla Assange è un rischio concreto.

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