Cronachesorprese

5 Dicembre 2010

Wikileaks e il top secret che verrà

Filed under: cronache — alessandro @

Sono un po’ frastornato e faccio fatica a dare un giudizio sulla tempesta Wikileaks. La questione del libero accesso a certi documenti prodotti dai governi, dalle amministrazioni e dalle diplomazie è un po’ troppo intricata e piena di conseguenze difficili da valutare all’istante. Non capisco come si possa esultare immediatamente per una vittoria della libertà di informazione o gridare all’ “11 settembre della diplomazia”.

È affascinante seguire le due cacce parallele, quella all’uomo Assange e quella al sito Wikileaks. Sono due fuggitivi tanto fantomatici quanto straordinariamente presenti nelle conversazioni globali. Assange è pure finito nel presepe napoletano, e non è poco per uno che non è mai stato da Vespa o non ha giocato da centravanti nel Napoli.

Io non so se il punto di arrivo che indica Assange sia la vera trasparenza, quella di cui i cittadini hanno bisogno. Indubbiamente la sua azione costringe a ridefinire molte cose. Ma gli stati e le diplomazie non possono fare a meno di un livello inviolabile di segretezza. E non per nascondere malefatte, ma per funzionare. Assange sta facendo come quelli che inventano i virus, che spianano la strada ai venditori di antivirus. Se il punto d’onore di Wikileaks è: “tutta la documentazione ufficiale prodotta da un governo a qualsiasi livello deve essere disponibile a tutti”, la risposta più logica sarà non produrre più documentazione ufficiale relativa a un certo livello di azione e di consultazione, o tenerla fisicamente separata da connessioni con la rete globale. Se il punto invece è: “possiamo intercettare qualsiasi messaggio o conversazione di lavoro in una qualsiasi istituzione”, sarà difficile difenderne la legittimità. In altre parole: una legge che assicura la segretezza di alcuni documenti ufficiali può essere attaccata, anche in sede processuale, per essere superata o ridefinita; la violazione di una conversazione o un messaggio tra funzionari che non sia protocollata come documento, riservato o no, anche se oggi è tecnicamente più facile che in passato rimarrà sempre una violazione della privacy perseguibile. Non si può ridefinire e alzare l’asticella della libertà di informazione, fine lodevole, a partire da questa premessa.

Serve davvero una trasparenza così indiscriminata e non mediata da un lavoro giornalistico? Quando Seymour Hersch (che ho avuto la fortuna di ascoltare a Perugia) ha fatto l’inchiesta su Abu Ghraib ha ovviamente portato alla conoscenza del pubblico informazioni che fino a quel momento erano riservate. Ma i fatti erano talmente gravi che l’interesse pubblico a conoscerli superava qualsiasi altra considerazione. Il giornalista, con la sua professionalità e il suo lavoro, si fa in qualche modo garante sia dell’anonimato di una fonte, che rischia qualcosa, sia del fatto che sta tutelando un vero interesse del pubblico ad accedere a certe informazioni. Se questa mediazione non c’è, in definitiva non è garantita neanche la proporzione tra la rottura della riservatezza e i danni che può causare, perché un’istituzione senza almeno un minimo grado di riservatezza non può funzionare.

D’altra parte, però, che sia tecnicamente più facile “sniffare” informazioni riservate permette di porre una questione di democrazia per certi versi nuova: cosa e quanto può essere riservato? Senza una risposta originale, onesta e coerente a questa domanda il maccartismo digitale di cui parla Assange è un rischio concreto.

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