Mi spiace molto ma lo devo dire: Saviano lo apprezzo quando parla di mafia e camorra, non quando si candida a tuttologo dei buoni sentimenti. Del resto non si va da Fazio senza pagare dazio. Alla banalità del buono, il bonum televisivum, non si sfugge facilmente se non con la volgarità, triste alternativa. Io che sono cattivo continuo a pensarla così, e non è che mi convinco del contrario perché uno come Saviano ci mette la sua faccia. Ci vogliono cose che si chiamano argomenti. Il testimonial, almeno a casa mia, non rinforza l’argomento trito e debole.
Aggiornamento del 29 novembre 2010
Ho letto oggi l’articolo di Antonio Socci che invita Saviano ad andare a trovare la figlia Caterina e a lasciare i “salotti” dove il giovane scrittore, oggettivamente, è fuori luogo. Socci ha ragione, anche se esagera un po’ nei toni. Però non sono d’accordo neanche con chi ha chiesto di dar voce ai malati come un “diritto di replica”. Avrebbe dovuto essere chiesto come un gesto di sensibilità: Fazio ha avuto buon gioco a svicolare.
Rimane il fatto che Saviano fino a che ha raccontato, come sa fare, la storia di Welby non ha fatto nulla di contestabile, di ideologico o di “odiologico”, come dice Socci. Ha solo raccontato una storia importante, interessante, che ha fatto scalpore e oggi, a distanza di quasi quattro anni, si può riconsiderare con maggiore utilità per tutti. È quando, sul finale, ha ripetuto acriticamente il nonsense della polemica sui funerali non concessi che è andato oltre alle sue indiscusse capacità di narratore e testimone per inoltrarsi nelle sabbie mobili del “testimonial”. Poiché è persona intelligente e di valore penso che si sia reso conto dell’errore, al di là di quello che abbia voglia di ammettere e discutere ora.