Sono andato al mare da bambino centinaia di volte accanto allo Scheletrone della Palmaria. Sbarcavo al Terrizzo e ci passavo davanti per raggiungere la scogliera del Carlo Alberto. Non ricordo di essermi fatto domande precise sull’origine di quel fantasma. Al Carlo Alberto c’era anche il residuo di una casamatta della seconda guerra mondiale. Quella sapevo benissimo cos’era, a cosa era servita. Serviva ancora: era stata trasformata in chiosco per le bibite. Oransoda, Lemonsoda. Acqua brillante Recoaro. Ghiaccioli a venti lire.
Il residuo di una guerra era pur sempre nella storia. Era razionalizzato, era assimilato nell’esperienza (anche di un bambino).
Lo scheletrone no. Non era né buono né cattivo. Non era residuo del passato, non aveva apparentemente alcuna funzione nel presente. Però si faceva sentire ugualmente. Era nel paesaggio ma non era del paesaggio. Noi bambini non lo sapevamo e pochi adulti avevano voglia di pensarci o raccontarlo, perché non offriva spunti narrativi o educativi. Ma anche lui era l’avamposto di una guerra che si stava combattendo sul territorio. Una guerra che aveva deturpato già posti più belli e famosi dell’Isola Palmaria e che, negli anni a venire, avrebbe fatto ancora molte altre vittime. Una guerra che stava tentando di portarsi via anche quell’isola, dove noi facevamo i tuffi dallo scoglio dei tuffi, guardavamo i granchi contendersi i pezzi di cracker che buttavamo nelle pozze muschiose, osservavamo le croste di sale che si formavano per l’evaporazione dell’acqua che rimaneva sulle lastre grigionere dopo una mareggiata.
Eravamo compresenti a una guerra e non lo sapevamo. Se lo scheletrone si fosse ricoperto di tendini, muscoli, carne e pelle avrebbe vinto la sua battaglia e avrebbe poi cominciato a riprodursi come un alieno nel resto dell’isola. E tutta quella bella macchia mediterranea selvaggia, quei profumi indicibili di arbusti impastati di sale, quelle arrampicate sugli scogli alla ricerca di quello “morbido” per asciugarsi dopo il bagno ci sarebbero stati interdetti per sempre.
Venerdì, quando ho sentito la detonazione, ho pensato: finalmente. Cosa? Finalmente va giù quell’orrore? Sì, anche. Ma soprattutto: finalmente lo sento, il suono della guerra. Lo sento nel momento in cui la vinciamo (questa piccola grande battaglia, almeno). Lo sento perché la vinciamo. Se l’avessimo persa non avremmo sentito nulla.
Sono contento, anche se non conosco il luogo. Spero si possa dire lo stesso di tanti altri luoghi.
Ciao
S&P
Comment di S&P — 25 Maggio 2009 @
spero anch’io. qualche demolizione importante negli ultimi anni c’รจ stata…
ciao, grazie e a presto
Comment di alessandro — 26 Maggio 2009 @
Che bel post! Sniff! :)
Teresa
Comment di teresa — 5 Giugno 2009 @
:-)
Comment di alessandro — 5 Giugno 2009 @