Cronachesorprese

8 Aprile 2009

Save the jackal

Filed under: cronache — alessandro @

Ma gli sciacalli ce l’hanno un sindacato? Se fossi uno sciacallo, una iena, un avvoltoio o comunque un predatore che per necessità coltiva abitudini di alimentazione non proprio simpatiche mi sarei davvero scocciato di essere paragonato al Tg1 o a Travaglio
Sul primo, davvero, nessun commento, non si può fare altro che quotare Mantellini. Su quanto dice Il Pensatore vorrei fare qualche distinguo, ma sottoscrivo in pieno almeno una cosa: che Travaglio sia chiamato

il condannato in primo grado per diffamazione perché secondo i giudici propone le notizie in modo tendezioso

mi sembra il minimo. Se l’è abbondantemente cercata…

5 Aprile 2009

Luca Conti parla di Facebook

Filed under: barcamp,Weekly Facebook — alessandro @

Questo post è stato scritto il 6 aprile ed è dunque retrodatato, ma ho fatto realmente l’intervista a Luca Conti domenica 5 verso le 12.30. Eravamo al tavolo di un bar di piazza Italia in attesa dell’inizio del Mediacamp.
L’intervista è poi sfumata in una conversazione ancora più interessante, mano a mano che si aggiungeva gente al tavolo. ci sono quindi molti testimoni (compresi alcuni illustri ai tavoli vicini) che se vogliono possono aggiungere particolari :-)

Luca, il fenomeno Facebook ha caratteristiche peculiari e inedite per l’italia. Sta facendo da “buttadentro”: è l’occasione di avvicinamento alla rete per molti che non avevano mai voluto saperne di usare internet, o lo usavano ma non per attività “sociali” . Che ne pensi?

“Sono d’accordo. Anche se molti utenti della prima ora storcono il naso (e reagiscono con un po’ di fastidio al boom degli ultimi mesi) è positivo che FB stia includendo molti che di social networking non avevano mai sentito parlare. Il fenomeno dovrebbe far riflettere su quanto sia importante partire dal bisogno e non dallo strumento. FB è un acceleratore nella caduta del pregiudizio sulla difficoltà tecnica di accedere alla rete. Ma è un processo di evoluzione del web in atto da tempo. Il blog è stato il primo stadio. Ora siamo nella fase del social networking”.

Sempre meno ostacoli? Il digital divide si sta assottigliando?

“L’evoluzione del web è sempre più veloce, ma il blocco più difficile da superare per molti è ancora legato all’hardware. Per alcune fasce di utenti difficoltà che a noi sembrano banali (come l’uso del mouse per gli anziani) non lo sono”.

Insomma, più l’universo dei navigatori si allarga più arriva ad includere fasce di utenti che possono essere bloccate da difficoltà che chi è nativo della rete non ha mai dovuto affrontare… C’è un contributo del social networking all’alfabetizzazione informatica che raramente si considera quando si parla di Facebook e di altri servizi.

“Sì. Ciò che conta è sempre la motivazione. Mio padre non si era mai avvicinato al computer: ha trovato una forte motivazione negli amici di un club Ferrari che hanno creato una community per mantenere i contatti al di là dei raduni e dei momenti sociali. Bene, per utenti così non bisogna dare nulla per scontato: mio padre ha dovuto superare delle difficoltà che non immaginavo, ma l’ha fatto. Occorre partire sempre dal bisogno”.

Una delle grandi obiezioni su FB è la scarsa tutela della privacy. Un articolo dell’altro ieri del Corriere della Sera citava una ricerca che sostiene che bastano otto amici per compromettere completamente la propria privacy…

“Otto? Ne basta uno… Nella logica di condivisione tipica del social networking non ha senso affrontare così il problema della privacy: è superato dai fatti. C’è gente disposta a fare qualsiasi cosa per apparire in TV, la privacy dove sta? Chi si iscrive a Facebook e inserisce delle informazioni lo fa consapevolmente. Vuol dire che ha piacere a condividere quelle informazioni. Il corriere dovrebbe piuttosto pensare a quanti dati chiede all’atto della registrazione e per dare quali servizi”.

Vediamo quanto hai compromesso la tua privacy: quanti amici hai su Facebook?

“In questo momento mi sembra 1098, dovrei controllare. Avevo già superato i 1100, con numeri alti c’è sempre qualcuno che va e che viene”.

In media quanti aggiornamenti di stato fai ogni giorno?

“In circa due anni ho fatto oltre 4000 aggiornamenti di stato, quindi una media di cinque – sei al giorno, spesso tramite twitter. Se non sono troppo in giro, come in questi giorni, e sto molte ore al computer arrivo a circa dieci aggiornamenti”.

Cosa pensi della possibilità di usare FB per supportare attività economiche, commerciali o di altro genere?

Sto scrivendo un libro sull’argomento e ho già acquisito il dominio facebook-marketing.it. Non faccio anticipazioni, ma è evidente che Facebook sta incentivando queste dinamiche, soprattutto nell’ultimo restyling che mette allo stesso livello i gruppi e le persone, pur mantenendo la distinzione”.

Un difetto di facebook riconosciuto un po’da tutti, anche dagli estimatori, è che tende a risolvere al suo interno la navigazione dell’utente.

“Non è un caso che sia piaciuta così tanto a Microsoft, che l’ha stimata 15 miliardi di dollari e ha fatto un’offerta per l’acquisizione di una quota. Facebook entro la fine del 2009 raggiungerà i 300 milioni di utenti, che vuol dire un quarto dei navigatori di tutto il mondo. È naturale che tenda ad assorbire le attività degli iscritti”.

4 Aprile 2009

Nel mainstream contro il mainstream

Filed under: cronache — alessandro @

“No no, niente applausi. Non dico queste cose per chiamare gli applausi”. È solo un attimo in una lectio appassionata e torrenziale che costringe i traduttori alla staffetta e li consuma uno via l’altro, come sigarette aspirate con troppa foga. Ma l’inciso è perentorio e smorza l’applauso sul nascere. La lezione di Seymour Hersch, uno dei decani del giornalismo d’inchiesta americano, si dimostra efficace e coerente anche in momenti come questo. Al Festival del Giornalismo di Perugia si sono forse sentiti troppi applausi e l’istinto di Hersch avverte subito la distonia e il pericolo. Ha lottato per una vita contro le versioni ufficiali e ossequiose e sente qualsiasi forma di ossequio come una minaccia per l’integrità del fatto, della storia. Anche quando la storia da raccontare è quella della sua carriera: di uno che ha vinto il Pulitzer per i suoi reportage dal Vietnam e a settant’anni non ci pensa proprio a riposare sugli allori. È appena del 2004 l’altro grande colpo della sua vita, l’inchiesta shock su Abu Ghraib.
“Gli amici europei mi dicono che sono una sorta di vaccino per la stampa mainstream”. Mainstream, mainstream. Croce e delizia per Seymour, che lavora da tempo per grandi testate senza mai capire davvero i suoi colleghi. Neanche oggi, in tempi di innamoramento collettivo per Obama. “Non riesco a credere che dopo otto anni di Bush non abbiamo imparato la lezione. Siamo tutti ancora incantati da Obama e invece dovremmo saltargli addosso per la guerra che sta pianificando in Afghanistan. Una guerra che non vinceremo, che è impossibile vincere come era impossibile vincere in Iraq, dove saremo costretti a intervenire di nuovo per non far scoppiare un’altra guerra sanguinosa tra Sunniti e Sciiti. Più violenze facciamo (e ne facciamo, perché così sono i soldati, sempre) più talebani creiamo. My Lai è stata importante perché ha fatto vedere agli americani quello che non avevano mai visto nei film di guerra degli anni 50 e 60, e cioé che il loro paese non combatteva la guerra meglio degli altri, più lealmente, più umanamente”.
Moltissimi giovani, pochi, troppo pochi giornalisti a sentire Hersch al Teatro del Pavone. Segno di una sazietà professionale che appare davvero come qualcosa di molto lontano da questo settantenne entusiasta, ironico, evidentemente dentro al suo tempo come non lo sono tanti colleghi più giovani. “In internet ci sono molte cose terribili, ma cambierà e non se ne potrà fare a meno.” Sempre meglio della TV americana. “Pochissima qualità nel modo di porgere le notizie. Molto meglio i giornali europei”. Questa, ammetto, mi suona come una sopresa. Ma Hersch guarda ancora oltre: “Lavoro molto con i giovani giornalisti arabi. Vogliono mettersi in cammino, vogliono lavorare”. Hersch fa intendere l’importanza di un collegamento tra professionisti dell’informazione di mondi così diversi, e spesso in lotta tra di loro, per vincere i limiti e i danni della narrazione ideologica, quella che fa muovere guerra all’Iraq senza una ragione plausibile ma anche quella che tiene il Medio Oriente sotto lo scacco delle fazioni da troppo tempo. “Possiamo arrivare a una storia spinti dalle nostre idee. Ma quando siamo arrivati, dobbiamo fare in modo che le nostre idee non plasmino la storia”.

3 Aprile 2009

Del piacere di snobbare Travaglio

Filed under: cronache — alessandro @

Oggi a Perugia era anche il Travaglio day. Al pomeriggio ha fatto finta di dialogare con qualcun altro sul tema Grillo, ma era solo l’antipasto per l’ one man show della sera al teatro del Pavone. Bene, ho avuto di meglio da fare in entrambe le occasioni. Primo perché ho già adempiuto altre volte al precetto della messa travagliesca e presumo di aver poco di nuovo da ascoltare da lui. Secondo perché seguire anche uno solo dei due incontri significava stiparsi come sardine dopo code chilometriche. Terzo perché le alternative erano tutte abbastanza appetitose e più consone a un Festival del giornalismo: se era per stare come davanti alla televisione evitavo di venire fin qui.

E quindi via a seguire: Zambardino e compagnia che discutevano di citizen journalism e nuovi modelli di consumo dell’informazione; i mondiali del giornalismo sportivo, eccezionale incontro con direttori o firme di punta di cinque tra i giornali sportivi più prestigiosi del mondo; la discussione sul caso di Mohammed Al-Dura che ha dato origine a un dibattito tra i più tesi e interessanti del Festival e di cui spero di scrivere domani, dopo il seguito fissato fuori programma con proiezione del filmato controverso e un’altra discussione che si preannuncia non meno vivace.
Stamattina invece prima di Johnny Riot ho seguito la rassegna stampa con Michele Serra e Giovanna Zucconi e la discussione su post giornalismo e nuovi linguaggi.

Michele Serra, abbondante selezione.
“Come costruirei oggi un giornale? Partendo dai giornali che già ci sono chiamerei venti ragazzi e direi loro: non così
“La qualità del web è la quantità. Se sul web una cosa è scritta così così non ci speculo più di tanto. A un giornale di carta chiedo una selezione efficace e come parla ad esempio del libro che mi interessa. Ci sarebbe uno spazio di mercato clamorosamernte vasto anche per giornali di carta affrancati dal linguaggio di pancia, dall’enfasi, dalla corrività”.
“Un esempio di vecchio clichet giornalistico che non si usa più da tempo: la bianca visitatrice è tornata (la neve)”.
“Lo svarione enorme non c’è più nella scrittura giornalistica di oggi, è molto meno frequente; ma venti o trent’anni fa si notava di più perché il controllo sul linguaggio era più forte. Gioielli come le pecore, trasformate in torce umane o Lumumba scuro in volto non si vedono più, ma forse è peggio perché c’è l’assuefazione all’uso enfatico della parola”.
“L’unica salvezza per i giornali è ripartire dalle parole, da una lotta quotidiana e disperata contro i clichet. Il Foglio di Ferrara all’inizio colpiva perché il linguaggio usciva nettamente dai clichet e rivelava un indirizzo di pensiero, una disciplina intellettuale”.

Vittorio Zambardino: “La censura purtroppo funziona per il 90% delle persone, non tutti sono geek che possono aggirarla. La censura è anche un clima politico che comunica sulla rete esclusivamente secondo la chiave del terrore, della criminalità. Gianni Mura mi ha detto una volta: tu ti occupi ancora di quella cosa di pedofili?. Per mura è una battuta, per la maggior parte dell’establishment italiano non lo è”.
“Io sono contro la mistica del giornale e contro la mistica del web. Gli italiani in larga maggioranza non hanno fiducia nei giornalisti. Il dato è molto chiaro a quei leader politici che saltano le istituzioni della democrazia, compresa quella vecchia puttana che è la stampa e si rivolgono direttamente al popolo. Un brivido più nazionalsocialista di così è difficile darlo, ma è pur sempre una forma di disintermediazione. Il potere e la politica hanno interesse a disintermediare”.

Gianni “Riot” Riotta

Filed under: cronache — alessandro @

La notizia à che Gianni Riotta a Perugia non ha brillato per fair play. Ha mischiato buoni consigli e qualche cattivo esempio.
“Perché il Tg1 non ha parlato della condanna di Mills?” Domanda semplice da parte di un giovane del pubblico, risposta in teoria semplicissima perché non è vero, il Tg1 ha coperto la notizia, anche in più di una occasione. E questo l’ex direttore del Tg1 l’ha spiegato con dovizia di particolari sull’audience, sui picchi di ascolto, sul suo rifiuto programmatico dei panini e sulla totale indipendenza dei suoi due anni di direzione. Affermazione su cui è legittimo discutere ma di cui bisogna prendere atto: Riotta non svicola, difende il suo lavoro.

Ma nel contesto del Festival del giornalismo di Perugia era anche legittimo aspettarsi dei toni diversi. Meno acrimonia nel rispondere a una domanda critica ma posta con molto rispetto. Invece il Gianni risponde a questa e ad altre domande con uscite tipo” E che ti devo dire?”, e poi “Ma li leggi giornali?” e ancora “Scusate ma io a 55 anni non vengo a farmi dare lezioni al Festival del Giornalismo”.

Insomma una eccessiva acidità che si spiega soltanto come una reazione non agli studenti e ai giornalisti di Perugia, ma ad altri contesti. Tutti sono in grado di comprendere che non deve essere stato un periodo facile per Riotta. Però passare da considerazioni nobili e forse fin troppo accademiche sulla professione giornalistica, esortazioni da schienadritta tipo “lisciate sempre il pelo all’incontrario” a queste reazioni piccate in cui si usa tutto il proprio potere (non sono solo i politici a farlo, evidentemente) per mettere in difficoltà chi si prende la responsabilità di fare domande scomode, non è una buona lezione.

Peccato, la prima parte della conversazione di Riotta con John Lloyd del Financial Times mi era anche piaciuta, ho twitterato alcune frasi. Ritengo comunque che tutto sommato la reazione alla domanda sia stato un momento di verità non inutile per chi ha assistito. Aspetto di rivedere il video dell’incontro per qualche aggiornamento e qualche considerazione aggiuntiva

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