C’è chi ruba alberi. Ulivi, in particolare. Ma che tristezzza però tagliare degli ulivi centenari per farne legna. Sempre ammesso che sia andata proprio così: il fatto è un po’ strano e meriterebbe qualche verifica. Sono le tipiche notiziole prese dai resoconti della polizia o dei carabinieri o di chi ha raccolto la denuncia.
Il furto è sempre una cosa odiosa, qualcosa che ferisce al di là del valore di quanto viene sottratto. Chi ha provato l’esperienza di entrare nella propria casa e scoprire un’effrazione sa di cosa parlo. È l’aspetto distruttivo del furto che è difficile da razionalizzare. Quella devastazione che va oltre ogni possibile utilità per chi la commette. Se poi la distruzione riguarda anche lo stesso valore del bene sottratto è anche difficile da sopportare.
Ulteriore aggravante: se si distrugge un valore che è solo della collettività e che non può essere fruito in altro modo che lasciando le cose come stanno, come nel caso degli alberi, l’atto del furto diventa totalmente incomprensibile. Quel bene non può essere, per sua natura, un bene privato e individuale, se non in misura molto ridotta. Tagliare quegli alberi significa distruggere in un colpo solo il valore produttivo, il valore affettivo, il valore storico, il valore di cultura materiale e di memoria. Significa, simbolicamente e materialmente, tagliare le radici.