Cronachesorprese

20 Novembre 2007

Sleuth

Filed under: lo spettatore indigente — alessandro @

sleuth Il cinema non potrà mai essere teatro, e in linea di massima non dovrebbe neanche desiderarlo, non dovrebbe viverlo come limite. Un soggetto teatrale al cinema diventa un’altra cosa: l’ha capito bene uno come Kenneth Branagh, che parte quasi sempre da un testo teatrale ma non ha la pretesa di fare teatro al cinema. Ci sono poi casi particolari, come questo Sleuth, in cui il cinema riesce a esaltare alcuni aspetti di un soggetto pensato per il teatro accettandone in parte i vincoli (in questo caso l’unità di luogo) e muovendosi dentro all’unica ambientazione con la libertà tecnica e creativa che nessun allestimento scenico, per quanto ardito e dispendioso, potrebbe permettersi.

Ho cercato il film originale del 1972 per valutare quanto la sceneggiatura di Pinter abbia influito sulla resa di questo remake. L’adattamento degli anni 70 era dello stesso autore del soggetto teatrale (Anthony Shaffer, che ha firmato anche la sceneggiatura di pellicole tratte da soggetti di Agata Christie, come Delitto sotto il sole, Assassinio sull’Orient Express, Assassinio sul Nilo) ed è quindi probabile che la sua sceneggiatura non fosse molto differente dal testo del dramma.
Pinter scrive tutt’altro, tenendo fermi l’impalcatura, gli elementi, gli snodi della storia e alcuni scambi di battute cruciali. Anche i caratteri che costruisce sono in parte diversi. L’Andrew Wyke anni 70, lo scrittore di successo interpretato da Laurence Olivier, è molto più dandy e giocherellone (e quindi se possibile ancora più perfido) di quello pensato da Pinter, che va subito al sodo e fa alzare immediatamente la tensione tra i due protagonisti.

Il privilegio concesso a Michael Caine di fare la parte del giovane nel film del 1972 e quella del vecchio nel film di oggi è qualcosa di insolito per una star del cinema; può capitare più facilmente a un attore di teatro, che si specializza in un ruolo e poi, quando è avanti nella carriera, passa a un ruolo dello stesso dramma più adatto alla sua età. Lui e Jude Law comunque sono ad altissimi livelli: c’è solo, nella regia di Branagh, un eccesso di compiacimento nell’ostentare la bellezza di Jude Law.
La casa è un terzo attore. Lo è come metafora del personaggio assente (la donna che fa incontrare e scontrare i due) e come scenografia, spettacolare, dinamica e polimorfa, che permette inquadrature sempre diverse in un continuo deformarsi della prospettiva. Imprevedibile come l’azione, che spiazza lo spettatore più di una volta costringendolo a tornare indietro, a rivalutare il peso e il significato di ciò che è stato detto e fatto, a cambiare aspettativa su sviluppo ed epilogo; fino a perdere qualsiasi aspettativa su un finale che sia un valore aggiunto rispetto all’azione.

19 Novembre 2007

Arroganze assortite

Filed under: cronache — alessandro @

I manifestanti di Genova che dicono “La storia siamo noi“. Berlusconi che dice “Il popolo è con me“.
Perché in Italia c’è sempre qualcuno che vuol parlare anche per gli altri?

16 Novembre 2007

Quali anni hai?

Filed under: chiedici le parole — alessandro @

time

Questo è il mio contributo alla stuzzicante proposta di Effe, che ho trovato attraverso Cybbolo. Non è niente di che ma spero che piaccia, io mi sono divertito :-)

“Le spiego perché l’ho fatta venire un’ora prima del colloquio, signor… – la segretaria sbirciò velocemente il nome sull’agenda – signor Spacca: il primo appuntamento è sempre più lungo perché il dottor Silesio richiede prima di tutto la lettura, la firma e l’approvazione delle regole, nonché la compilazione del questionario, fondamentale per cominciare le sedute”. Così dicendo la segretaria porse all’Ingegner Spacca un fascicolo delle dimensioni di un quadernino ma di un certo spessore, rilegato a spirale e con i bordi arrotondati. Sulla copertina, colorata di un azzurro tenue, due cerchi concentrici, uno verde e uno rosso. Nel più piccolo era incollata un’etichetta con cognome e nome del nuovo paziente: Spacca Secondo.
“Questionario? Regole? Che storia è questa?”
“Niente di che, signor Spacca, è la prassi”.
“Io devo decidere se fare un ciclo di psicoterapia, non se stipulare una polizza! Prima di firmare qualsiasi cosa voglio vedere in faccia il professore! Sono venuto qui su consiglio del mio medico ma non sono né un bambino né uno sprovveduto, se permette, ho cinquant’anni compiuti… Cinquant’anni, due mesi e sedici giorni per l’esattezza!”
Alle parole “cinquant’anni” la segretaria perse, quasi impercettibilmente, una frazione di grado dal sorriso a goniometro, senza tuttavia compromettere l’amabilità generale dell’atteggiamento.
“Naturalmente non posso costringerla, signor Spacca. Ma le regole sono queste, non sono autorizzata a far deroghe per nessun motivo. Se vuole procedere alla compilazione si può accomodare nella stanza qui a fianco”.

“Gli strizzacervelli sono strani, si sa – borbottava l’ingegnere mentre posava il fascicolo sul tavolo al centro della stanza – Ma non mi facciano perdere tempo con futili giochini. Sono solo un po’ stressato e sono venuto qui seguendo il consiglio del mio medico. Ho lavorato troppo negli ultimi dieci… quindic… venticinque anni. Ecco, sì, sono venticinque anni, un mese e quattro giorni che non penso ad altro che al lavoro, e ho compiuto da poco cinquant’anni. Dieci lustri, mezzo secolo. Da due mesi e sedici giorni”.

Prime tre pagine: le regole. Nessun elenco puntato, nessuna numerazione, nessuna distinzione tra i punti con altri sistemi di simboli. E un font in corsivo, troppo lezioso. Lo spirito tassonomico dell’ingegnere manifestò la sua disapprovazione con una smorfia di disgusto.

“Per ogni seduta il paziente dà disponibilità di un’ora, ma le sedute possono durare pochi minuti o l’intera ora, a seconda del programma terapeutico che si sta seguendo. Solo il dottor Silesio lo sa”.
Sono vent’anni – pensa l’ingegnere – che comunico l’ora di arrivo a casa con preavviso di novanta minuti. Chi lo spiega a mia moglie?

“Si entra nello studio senza orologi, cellulari o altri strumenti atti alla misurazione del tempo, che devono essere lasciati in custodia alla segretaria”.
Io senza orologio al polso dò di matto. Lo consulto ogni trentasei secondi, in media. Lo so perché una volta ho contato quante volte guardavo l’orologio in una settimana, e ho fatto la media giornaliera e oraria.

“Durante il colloquio è vietato fare qualsiasi riferimento al passare del tempo. Un segnale sonoro predisposto dal dottor Silesio in base al programma terapeutico avvertirà il paziente della fine della seduta.”
Aiuto…

“Il paziente deve semplicemente dimenticarsi di essere in un “quando”, perché secondo la teoria del dottor Silesio la libera associazione, la compresenza nello spirito di fatti eterogenei e distanti nel tempo, insomma tutti i fenomeni e i meccanismi psichici che il dottor Silesio cerca di indagare non tengono conto, se non in maniera labile e allegorica, della variabile tempo”.
Io non riesco a pensare alla mia vita senza pensare al tempo che è passato, mettendo in fila tutti gli avvenimenti, prima uno e poi un altro. Mi ricordo il giorno, l’ora e a volte anche il minuto di tutti i fatti importanti…

“Il paziente deve raccontare fatti e circostanze della sua vita passata e presente senza fare mai riferimento alle coordinate temporali.
…Il primo bacio. La laurea. Il primo giorno di lavoro. L’incontro con la donna che sarebbe diventata mia moglie. E se adesso è diverso, con mia moglie, è solo perché è passato del tempo. Per quale altro motivo? Cosa c’è da indagare di diverso?

“Il paziente non deve pensare ai rapporto di causa e di effetto in una logica temporale. Spesso è fondamentale mettere in connessione fatti molto distanti nel tempo.”
Sì, ma che ne sa il dottor Silesio? Devo ben spiegarglielo io cosa è successo prima e cosa dopo. Come fa a capire, ad esempio, perché mi metto davanti allo specchio e sincronizzo i movimenti pelvici con il rintocco del pendolo di casa, se non sa da quando lo faccio? Caspita, a pensarci bene questo non lo ricordo neanch’io. Stranissimo, mi ricordo sempre tutto. Quando ho cominciato?

“Il paziente deve dimenticarsi del significato simbolico, dell’importanza sociale eccessiva che diamo a scadenze che sono determinate soltanto dall’uso della numerazione in base dieci. Le espressioni: “Ormai ho trent’anni”, “Vado per i quaranta”, “Ho cinquant’anni suonati” sono da evitare accuratamente. Il dottor Silesio ritiene un inutile spreco di energia dedicare sedute e sedute ad analizzare la crisi dei trenta, dei quaranta o dei cinquant’anni. I problemi veri sono sempre altri, e parlare delle scadenze decennali come se avessero una qualche sostanza è una strategia di autoinganno”.
Ma questo sta scherzando. Ogni decennio ha un colore, un sapore diverso. Uno stile. Un modo di vestire. Quando compro un vestito voglio che il vestito dica, in qualche modo: signori, ho cinquant’anni, non uno di più e non uno di meno. Crisi? Sarebbe come se fossi in crisi perché ho il piede sinistro. Gli anni che ho sono parte di me. Sono parti del corpo. Un decennio è come due mani. Dieci dita. Anzi, gli anni sono organi con una loro funzione. Ogni anno che acquisto ho un organo in più per vedere, per sentire, per contare, per amare.

“Per impostare da subito correttamente i colloqui, il dottor Silesio invita il paziente a compilare le schede nelle pagine seguenti. Ogni foglio corrisponde a un anno di vita. Si prega di compilare la scheda indicando uno o più fatti salienti dell’anno in questione, e poi di nominare la scheda non con il numero dell’anno, ma con un nome qualsiasi. Un nome di persona, un colore, un luogo. Le schede vanno staccate seguendo la linea tratteggiata e radunate come in un mazzo di carte. Il dottor Silesio le mescolerà, il paziente taglierà come fanno i giocatori di poker. Si comincerà la seduta pescando una carta a caso dal mazzo, e poi un’altra, e un’altra ancora…”
Ah… vabbé, questo è facile, dai.

“Allora signor Spacca, mi dica: che nomi ha dato ai suoi anni?”
“Ho scelto nomi di persona, dottor Silesio”.
“Benissimo, vediamo… Tredicesimo? E che nome è?”
“Beh, io mi chiamo Secondo, perché sono il secondogenito. Se avessi quarantanove fratelli…”
“Signor Spacca, ho la sensazione che con lei il lavoro sarà lungo e faticoso”.
“Se si deve fare… Che dice, stabiliamo fin da subito un piano pluriennale? Come lo chiamiamo l’anno in cui concluderemo: Ultimo? Non è che porta sfiga?”

14 Novembre 2007

Stanze familiari

Filed under: spider report — alessandro @

Vi dò l’indirizzo della stanza di mia sorella, ma dovete portarle il massimo rispetto. Anzi, il massimo sgispèetto. Spiegato mi sono?
E non usate quel fetuso brauser da mezzi uomini e ominicchi che è esschplorer. Taliatevelo con fairefoccse e non scassate la minchia!

13 Novembre 2007

Meglio indifesi che male accompagnati

Filed under: cronache — alessandro @

Ci sono state, forse, copertine più violente di questa nella storia di Panorama. E si potrebbe pensare che è nulla rispetto ad alcune uscite di Oliviero Toscani. Ma un conto è una provocazione pubblicitaria, un altro un’immagine violenta che prende spunto dalla cronaca e non si capisce quanto sia reale o costruita. E a dirla tutta anche la cronaca dell’ emergenza sicurezza non si capisce quanto sia reale.

Vivo in quartiere genovese che non è proprio il massimo della pulizia e dell’ordine. Ma da qualche mese viene presentato come se fosse al centro di un’emergenza criminalità che io, francamente, non vedo. Le cose brutte succedono. Ma quando leggo le interviste di quelli che dichiarano di aver paura a uscire la sera e delle mamme che danno alle figlie lo spray antiaggressione da mettere in borsetta mi chiedo se per caso sono io ad essere completamente incosciente o se siamo tutti immersi in una descrizione della realtà che è tutto tranne cronaca.
C’è un gruppetto che ora va in giro per il mio quartiere con berretti verdi e un dobermann (che mi sembra che abbia tanta voglia di giocare, più che di fare il duro). Belli che sono. Se davvero succedesse qualcosa in loro presenza li vorrei vedere. Il problema è il presidio del territorio nelle ore serali? Allora potreste uscire con una chitarra, qualcuno potrebbe fare il clown e un altro il mangiafuoco, e al cane potreste far fare quello che ha voglia di fare davvero, correre e giocare con voi. Oltre a presidiare lancereste anche un messaggio positivo che stempererebbe la paura e quindi diminuirebbe il pericolo. Perché ciò che non capite è che la “guardia” ha senso solo in mezzo al nulla. Facendo le “guardie” voi confermate e rafforzate quel vuoto di vita e di normalità che è la causa vera delle cose brutte che in effetti, ogni tanto, succedono.

Non sono in sintonia con quella copertina, non capisco cosa cerca da me. Non mi interessa la speculazione politica che ci sta dietro, quello è l’aspetto più ovvio e più facilmente decodificabile. Mi devo preoccupare? Devo stare attento perché un evento improvviso potrebbe portar via tutta la mia “ricchezza”? Il mio amico L. mi ha fatto notare, giustamente, che quella scarpa dorata ed elegante in mezzo al sangue è più di una scarpa, è il segno di un’aspirazione negata al benessere materiale, di un sogno spezzato; ma di un tipo di sogno a causa del quale sei soggetto al potere di altri. Quindi non so quanto mi debba preoccupare, ho ben poco da perdere in questo senso, e tutto sommato anche tanti altri che si sentono, immotivatamente, in continuo pericolo.

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