Dell’ottimo articolo di Carlini sui blog, condivisibile per un buon sessanta per cento, non capisco bene la parte finale sui problemi di format. Uno dei limiti che i critici dei blog mettono in evidenza, afferma Carlini, è la piattezza della presentazione imposta da un software che, se da un lato dà accesso alla pubblicazione sul web di contenuti assai eterogenei a un universo di autori fino a pochi anni fa impensabile, da un altro lato impone dei limiti eccessivi alla selezione e alla presentazione, per chi è capace di gestirle professionalmente:
…l’autore, singolo o collettivo, non impone una sua gerarchia attraverso la struttura grafica, ma è semmai il lettore a scegliere, muovendosi tra oggetti informativi che appaiono tutti uguali. La qual cosa va molto bene per un forum di discussione, ma non altrettanto per i blog d’autore. In questi casi infatti il lettore esercita un atto di fiducia verso la reputazione di chi scrive (così come fa anche acquistandone un libro) e cerca proprio quella firma lì, alla cui opinione è interessato, apprezzandone anche le scelte drastiche e differenziate. Il giornalismo è anche questo: proposte e ordine del discorso, ed è un servizio che chi «legge per contro terzi» offre ai suoi lettori-interlocutori.
Appiattire tutto in sequenza cronologica ne è la negazione, perché allora tanto vale che chi legge faccia a meno di noi, si abboni gratuitamente a un po’ di testate online e se le legga attraverso gli Rss feed, come fossero lanci d’agenzia.
È un modo per ribadire il rifiuto a usare il mezzo blog secondo le sue specificità: un rifiuto già documentato in altri articoli e nel blog dello stesso autore, che è una mera repository di articoli pensati e scritti per altri mezzi. Niente di male, intendiamoci: è una scelta come un’altra, che ha i suoi pregi e i suoi limiti.
Che il blog non sia né un giornale né un libro online siamo tutti d’accordo. Il lettore non si aspetterà lo stesso tipo di selezione. Ma presentare uno, due o più post al giorno è una selezione: il lettore va sul blog dell’autore che conosce e di cui si fida perché vuole vedere cosa ha scelto di presentare oggi nel suo blog. Quale altro criterio di presentazione, dunque, se non un ordine cronologico inverso?
Come ricorda lo stesso Carlini, il significato originario della parola blog è lasciare traccia sul web. Da un blog di uno scrittore, di un giornalista, di un politico io non mi aspetto la stessa selezione e la stessa presentazione che mi aspetterei in un libro, in un giornale o in un discorso pubblico: mi aspetto di trovare qualcosa di altro, qualcosa di più immediato e interstiziale che non passa attraverso i filtri editoriali di altri mezzi: il che non vuol dire che sia indiscriminato, che non passi attraverso filtri specifici. Naturalmente la selezione sarà diversa da quella che potrebbe operare, che so, una mamma che ha deciso di aprire un blog perché vuole raccontare come crescono i suoi figli. Ma l’immediatezza di uno scrittore o di un giornalista può fornirmi contesti preziosi e interessanti a un’attività che conosco, apprezzo e fruisco su altri mezzi. Non pretendo che mi faccia entrare nel tabernacolo del suo genio, o nell’officina dove potrei carpirne i segreti artigianali. Ma il giorno per giorno, anche senza scendere nel diaristico, nel personale, nel segreto professionale può fornire ugualmente informazioni e contesti non ambigui né svalutanti.
Perché Carlini e altri critici hanno deciso di ignorare completamente questa specificità, quando parlano di blog gestiti da giornalisti o da altri professionisti? Perchè l’immediatezza che va bene per i blogger amatoriali e personali non dovrebbe andare bene anche per loro? Ancora non riesco a spiegarmelo.
ho letto scannerizzando al volo l’articolo di carlini che oltre ad essere opinabile fa abbastanza acqua da tutte le parti. i blog sono solo diari o di personaggi pubblici o di narcisi?
e come ci si può appellare alla piattezza delle piattaforme? con che coraggio?
inoltre: come si può definire “niente di nuovo”? nel web 1.0 c’erano una dozzina di voci narranti, ora ce ne sono 100 milioni.
nel web 1.0 quanto sarebbe campato il video sulla pedofilia e la Chiesa?
ma oltre questo, ed oltre ai tuoi ottimi spunti, c’è una cosa che inizia seriamente a darmi addosso: la necessità di chi non ha “la faccia per avere un blog” di minimizzare il fenomeno.
mi sembra sempre di sentire la loro vocina che dice “chi ha il blog è perché non ha altro e non potrebbe avere altro”
quindi si tratta di un giornale, una mostra fotografica, un libro, un azienda informatica o quant’altro.
c’è la coda di paglia dei professionisti di etichettare il fenomeno blog come “qualcosa di non paragonabile alle cose ‘serie'”.
è così ridicolo perché non oltre due settimane fa un blog “del cazzo” ha fatto perdere un paio di milioni di dollari alla apple in dieci minuti.
ed io nel mio lavoro sono bravo, ma ci sono bloggher che senza la loro tutina spaziale di wordpress sono cassieri di un supermercato o spazzini o avvocati e che ne sanno il triplo di me.
ma di certo non vado a dire “ah si, ma quelli sono solo fancazzisti amatoriali.”
il blog spinge al confronto “serio” e alla socializzazione.
non alle battutine e agli sfottò da forum o newsgroup.
che minuscola piccola e trascurabile differenza eh, rispetto al web 1.0…
Comment di caino — 13 Giugno 2007 @
penso che tutto quanto riguardi blog e blogosfera sia ancora, nonostante le cifre d’espansione esponenziali, a livello pionieristico, anche se il tecnicismo e la sua relativa padronanza promettono individuabili vie di impensabile creatività espressiva e contenutistica.
ciò premesso, sono convinto che il buon vecchio sempre attuale e vituperato Darwin, sia pure solo metaforicamente, farà ancora una volta la sua parte.
nel frattempo il blog sarà diventato mezzo d’espressione desueto a vantaggio di una qualche forma di olografia spaziolobotemporale con nuovi dubbi di un pronipote del Carlini circa la validità dei nuovissimi messaggi e circa lo sdoganamento di simili scenari nell’ambito della creatività e della comunicazione…;-)))
cyberVico
Comment di cybbolo — 13 Giugno 2007 @
caino: il pregio dell’articolo di carlini è dare conto di una posizione critica sui blog che non è solo sua. il limite è che non distingue tra la critica fondata e l’ipercritica snobistica. rispetto alla provocazione di due mesi fa, che ha fatto infuriare molti blogger, gli va riconosciuto un passo in avanti nel dialogo. ma resta il fatto che lui non crede che il mezzo blog abbia una sua dignità specifica paragonabile a quella di altri mezzi, e per questo pensa, insieme ad altri, che il fattore “moda” sia preponderante nell’attuale successo delle piattaforme più usate. gli argomenti contrari non mancano, come tu giustamente fai notare. io penso che la realtà del fenomeno è imponente, ed è facile presentare solo aspetti positivi (accesso facile e democratico alla pubblicazione di contenuti, socializzazione, spinta “dal basso” di contenuti di valore ignorati dai grandi media) o solo aspetti negativi (autoreferenzialità, narcisismo, rischio di “annacquamento” della selezione editoriale e giornalistica) come se fossero ognuno un punto di vista esauriente sul fenomeno. per una visione d’insieme credo che l’articolo di carlini sia prezioso, anche se non ne condivido la tesi di fondo.
cyb: sicuramente la “moda” blog passerà. forse è già passata: i giovanissimi o non usano i blog per niente o li usano forzandoli. ma sai che ti dico: io non vedo l’ora che passi completamente, così sarà chiaro a tutti che c’è molto di più, oltre alla moda.
Comment di alessandro — 14 Giugno 2007 @
ale: io lo trovo solo un articolo pieno di miopia. è vero che ha fatto un passo in avanti verso la lavagna, ma ancora non ci vede.
roba che scambia le R con V, le A con le Z.
Ma a questo punto, io sono abbastanza sicuro che forse lui tenga, con anima e corpo e professione, a stare sul suo tappeto rosso da “comunicatore informatico riconosciuto e affermato” e guardare le cose da lontano.
Dovrebbe scendere, fare questi altri 100 metri, perché a contare i passi perdo il conto, e leggere bene la lavagna, riga per riga.
E vedere che la A a volte si scrive anche “a”.
Comment di caino — 15 Giugno 2007 @
no, secondo me l’articolo dice anche cose condivisibili. e ripeto, lo scendere nell’analisi è un segnale di dialogo che a mio parere è apprezzabile. vedremo come continua, e se continua: la riflessione sui blog è importante comunque, e carlini sta dando il suo contributo.
Comment di alessandro — 15 Giugno 2007 @
ciao ale, un salutino dalla scozia!!!!
:)))))
Comment di silvia — 15 Giugno 2007 @
ciao silvia, buona vacanza :-)
Comment di alessandro — 16 Giugno 2007 @
Il commento di Caino mi dà l’occasione per fare la domanda che non ho mai osato fare: siamo di fronte ad una scelta stilistica postmoderna, ad un messaggio in codice massonico, o semplicemente hai fuso il tasto delle maiuscole? Nel caso, guarda che ce ne sono due! (Per non parlare del caps lock)
Comment di searcher — 18 Giugno 2007 @
no searcher, semplicemente nei commenti uso la convenzione di chat e newsgroup, zero maiuscole, per marcare la differenza tra scritto e *quasi* parlato.
cosa che mi viene facile fare perché personalmente odio le maiuscole fin dai tempi delle elementari. quando dovevo scrivere la h in corsivo maiuscolo scalciavo nel banco :-D
Comment di alessandro — 19 Giugno 2007 @