Cronachesorprese

11 Dicembre 2006

Fatti e Travagli

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Marco Travaglio“I fatti separati dalle opinioni. Era il motto del mitico Panorama di Lamberto Sechi, inventore di grandi giornali e grandi giornalisti.
Poi, col tempo, quel motto è caduto in prescrizione, soppiantato da un altro decisamente più pratico: «Niente fatti, solo opinioni». I primi non devono disturbare le seconde. Senza fatti, si può sostenere tutto e il contrario di tutto. Con i fatti, no.”

Il travaglio del parto non si sa dove porta. Si sa che è doloroso, ma non si sa a cosa (a chi) porterà quel dolore.
Molti saranno infastiditi, e con qualche ragione, dall’attuale presenzialismo di Marco Travaglio in televisione e un po’ dove capita. Molti altri, invece, saranno smodatamente e fastidiosamente soddisfatti. Il tipo è diventato segno di contraddizione, e si capisce che se la ride sotto i baffi che non ha. Discutendo con due colleghi oggi a pranzo mi sono reso conto di una cosa: non è lui che sento scomodo, è questo tifo opposto che si scatena al suo apparire che trovo pesante.

Pur dalla mia lontananza dal giacobinismo montante (e animato di spirito di vendetta) a cui il giornalista sta tirando la volata e che trovo disgustoso, riconosco che Travaglio coltiva e propone un valore che è ancora poco praticato dalle nostre parti: il valore dell’informazione costruita sui fatti. Spero che non pretenda di essere l’unico, ma insomma: è apprezzabile. L’ho appena sentito recitare insieme a Crozza parte dell’introduzione del suo ultimo libro, La scomparsa dei fatti. Non so di cosa tratta il libro, forse della solita noiosa questione che ha animato lui e la sua compagnia negli ultimi anni: coltivare la commiserazione per la censura di cui sarebbero stati vittime. Spero di no, spero che quel bel titolo introduca ad altre faccende ben più sostanziose. Ma anche se il libro trattasse di questa abusata menzogna, l’introduzione rimane davvero un bel travaglio.

Leviamo dall’introduzione le proposizioni più inficiate dal moralismo, quelle che alludono abbastanza scopertamente alle circostanze che hanno portato Travaglio e qualcun altro a girare i teatri di tutta Italia per raccontare la loro descrizione del mondo, con un’aria da carbonari perseguitati francamente poco credibile. Togliamo quella roba. Rimane qualcosa di essenziale, una provocazione che non è bene far soccombere a considerazioni di parte o peggio di antipatia. Se provo a proiettarla in un futuro che spero prossimo, vedo questo atto di fede nei fatti come una premessa a un metodo efficace e potente di informazione che potrebbe essere ritorto contro al giacobinismo alla Santoro, oggi trionfante. Quando si accetta il travaglio che porta alla luce i fatti, capita anche di essere portato dove vogliono i fatti, non dove vorrebbe chi cerca di selezionare i fatti.

Se questo metodo si affermerà, arriverà un momento in cui verrà smascherato non solo il trucco degli illusionisti che nascondono i fatti, ma anche quello dei giacobini che sono da sempre campioni nel selezionare i fatti, presentando la loro selezione come l’unica degna di nota.

E forse cominceremo a uscire da questo clima di derby permanente, che ha stufato tutte le persone di buon senso.

10 Dicembre 2006

Esame da vaticanista, step 1

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Ratzie oggi a colazione ha tuonato alla suora di versargli ancora un po’ di caffé. Poi, leggendo i giornali, ha lanciato alcuni anatemi del peso medio di 170 kg dalla finestra del suo appartamento, prontamente raccolti dai cronisti in attesa dell’Angelus.

7 Dicembre 2006

Sono aperte le scommesse

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Tempo due anni al massimo e Scaramella va all’Isola dei Famosi.

raccolta al volo dal mio amico G.

6 Dicembre 2006

Millenovecentootto

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Sono appena entrato, dopo due giorni dalla mia segnalazione, nella migliore classifica dei blog italiani, e il numero nel titolo è la mia attuale posizione. Molto bassa, come è logico (i blog iscritti sono oggi 2201), ma pensavo anche peggio. Stare in classifica non serve a gareggiare ma ad avere sempre sott’occhio una metrica seria e scientifica che dà l’idea di quale sia la posizione di un blog, intesa non come valore assoluto ma come quantità e qualità di rapporti con il resto della blogosfera. Io so di non aver mai fatto molto per aumentare il ranking: lascio pochi commenti e sempre, più o meno, sugli stessi blog, ho un blogroll abbastanza scarno e non costruito con l’intenzione di essere più visibile. E soprattutto i miei post sono delle pizze mostruose che giusto gli amici leggono per simpatia, e occasionalmente qualche altro disgraziato con il gusto dell’orrido ;-)
Scherzo, ma non troppo. So di non essere popolare (in senso tecnico), e non è fondamentale esserlo. Fondamentale è per me capire i meccanismi della popolarità, quindi userò lo strumento di blogbabel (non ho ancora capito, anche dopo la presentazione al barcamp, se devo chiamarlo così o no) e proverò a sperimentare qualcosa di diverso. I grafi presentati al barcamp sono entusiasmanti, come entusiasmante è il metodo che si sta mettendo a punto per avere una fotografia reale dei rapporti tra i blog italiani: Tambu ha descritto bene le ragioni di questo entusiasmo.
Una cosa, a prima vista, non capisco: perché Technorati mi dà solo due link da blog se sono sicuramente almeno il doppio (e direi qualcosa di più)? Posso ipotizzare che la mia posizione su Technorati (e di conseguenza anche su blogbabel) sia sottostimata, seppure di poco?

4 Dicembre 2006

Barcamp: uscire dove?

Filed under: barcamp,il viandante digitale — cronachesorprese @

La discussione sviluppata dalla controversa presentazione di Maurizio Goetz avrebbe meritato più tempo. Sfortunatamente si era a ridosso della pausa pranzo, e quindi non si è continuato neanche a margine, come accaduto per altre conversazioni.

Delle slide non mi ha convinto il gioco digitale – analogico. Mi sembra che si sia data una descrizione prevalentemente emozionale dell’opposizione, e che in definitiva la definizione sia stata mancata. In realtà la vera opposizione, o almeno quella a cui veniva istintivamente da pensare, era tra il fare rete e il non fare rete. E quindi l’invito a uscire non lo comprendo molto bene. Uscire dove? Sarà questa paura del’autoreferenzialità (ne parlerò ancora), ma io non vedo, e non vivo, questa grande opposizione tra online e offline.

Ma ammesso che la discontinuità ci sia (e non confonderei questa discontinuità con il digital divide), non abbiamo bisogno di uscire dalla rete e invitare a entrare chi ancora non c’è, per un semplice motivo: stanno arrivando a frotte, non per merito nostro ma per disposizioni superiori. La pressione sociale e istituzionale a usare internet (stando attenti, però, che è un covo di poco di buono…) è enorme.

Non dobbiamo uscire: dobbiamo stare dentro nella maniera più umana (analogica? no, direi di no: forse che l’essere digitali non è umano?) possibile, per predisporre pezzi di rete accoglienti, che siano opportunità per tutti. Per tutti quelli che hanno qualcosa da dire e da dare. Che sono davvero, potenzialmente, tutti, basta che siano disposti a imparare le specificità del mezzo. E la causa principale della famosa autoreferenzialità è tutta in questa condizione: più che allo snobismo e al sentimento elitario di chi sta in rete, è dovuta alla necessità di selezionare i messaggi. E quale criterio migliore, oltre a quello logico di seguire i propri interessi, del preferire chi dimostra voglia di sintonizzarsi con gli standard di comunicazione della rete e (per quanto riguarda questo piccolo sottoinsieme) della blogosfera? Quella che a volte può sembrare autoreferenzialità è forse un semplice istinto di sopravvivenza.

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