Cronachesorprese

6 Novembre 2006

Saddam: un distinguo

Filed under: cronache — cronachesorprese @

Esiste la giustizia in Iraq? È possibile amministrare la giustizia a Baghdad? Penso ai giudici che stanno decidendo della sorte dell’ex dittatore e considero che, processandolo, stanno rischiando la loro stessa vita. Sono particolarmente coraggiosi? Che lo siano o meno, non hanno scelta: o celebrano il processo, o celebrano il funerale del loro neonato e malnato stato di diritto.

Non hanno scelta neanche a pronunciare la condanna a morte. Io, come la maggioranza degli italiani, sono assolutamente contrario alla pena capitale. E mi sento tanto, tanto buono a dirlo e a pensarlo. Ma quanta vigliacchieria può nascondere, a volte, una dichiarazione di principio. E quanto poco realismo. Se l’attuale sistema giudiziario iracheno prevede la pena capitale, non applicarla nel caso di Saddam sarebbe una contraddizione clamorosa che minerebbe alla base la possibilità stessa di celebrare processi equi e credibili nell’immediato futuro. Oppure (voglio sognare un momento) potrebbe essere un’occasione per abolirla del tutto: se la sentenza di appello non confermasse la condanna a morte di un uomo che per decenni ha avuto diritto di vita e di morte su tutto il popolo iracheno, un attimo dopo il governo dovrebbe abolire la pena di morte. Ma ha senso in un paese in cui ogni giorno ci sono decine, a volte centinaia di morti nei mercati, nelle sedi di polizia, nelle case e nelle strade? Un’iniziativa così clamorosa a chi parlerebbe? Soltanto all’occidente. In Iraq e nel mondo arabo non sarebbe compresa.

Poiché ci sono molte prese di posizione ufficiali di europei contro la condanna a morte di Saddam, giustificate da una posizione di principio che in astratto è del tutto condivisibile, vediamo in concreto cosa significa che uno stato occidentale ed europeo come l’Italia chieda, attraverso il suo governo, di non giustiziare l’ex dittatore. La guerra in Iraq è stata inopportuna, ingiusta, disastrosa. Questo lo so con certezza. Ma cosa fatta capo ha. Se da questa catastrofe può nascere qualcosa di buono, non lo so; se la democrazia nascente in Iraq sia davvero democrazia o sia talmente sotto scacco a ogni istante da essere al più un buon proposito abortito, non lo so. Se da occidentale provo a considerare da cosa si può ricominciare, dico: una collaborazione stretta e un aiuto militare e civile costante all’attuale governo iracheno, per non lasciarlo in balia dei fondamentalisti e delle faide incessanti tra sciiti e sunniti e ricostruire; una garanzia attraverso l’Onu di non usare il presidio in Iraq come testa di ponte per sciacallaggi dal sapore neocolonialista, in particolare sulle risorse petrolifere di prim’ordine; un programma di sviluppo serio e inevitabilmente oneroso che riguardi infrastrutture, sostegno all’imprenditoria, connessione stabile e organica con i mercati occidentali.

Sostenere l’opportunità della sospensione della pena di morte per Saddam, oggi, per un governo significa impegnarsi davvero in questo senso. Non si può dire: fate come noi, che abbiamo abolito da tempo la pena di morte e stiamo tanto bene. Una richiesta del genere non può coesistere con un retropensiero che ritenga fatale e inevitabile che il popolo iracheno stia ancora indefinitamente nella sua tragica routine. Perché allora milioni di iracheni potrebbero rispondere: venite a vivere a Baghdad per un mese, poi ne riparliamo della pena di morte. Non dico che non si deve chiedere almeno una moratoria per l’ex dittatore: anzi, si deve chiedere. Ma le ragioni umanitarie, da sole, non bastano. Non sono neanche ragioni.

5 Novembre 2006

Se ci ascolti per un momento…

Filed under: reading — cronachesorprese @

Leggendo una volta questo brano, quando eravamo all’università, il mio amico Luca T. osservava che il totalitarismo ha sempre bisogno di un ripetitore. Se nessuno si prestasse a fare da eco non potrebbe affermarsi e conservarsi, perché non ha una sua evidenza sulla quale fare leva. Il ripetere del potere totalitario non è funzionale al fare memoria di qualcosa di essenziale, come una preghiera: è invece un rumore di fondo, che ostacola la memoria e la consapevolezza (Pinocchio dimentica il suo fermo e corretto proposito iniziale). Per questo è radicalmente antireligioso.

– Dunque, – disse la Volpe, – vuoi proprio andare a casa tua? Allora vai pure, e tanto peggio per te!
– Tanto peggio per te! – ripetè il Gatto.
– Pensaci bene, Pinocchio, perché tu dai un calcio alla fortuna.
– Alla fortuna! – ripetè il Gatto.
– I tuoi cinque zecchini, dall’oggi al domani sarebbero diventati duemila.
– Duemila! – ripetè il Gatto.
[…]
– Oh che bella cosa! – gridò Pinocchio, ballando dall’allegrezza. – Appena che questi zecchini gli avrò raccolti, ne prenderò per me duemila e gli altri cinquecento di più li darò in regalo a voi altri due.
– Un regalo a noi? – gridò la Volpe sdegnandosi e chiamandosi offesa. – Dio te ne liberi!
– Te ne liberi! – ripetè il Gatto.
– Noi, – riprese la Volpe, – non lavoriamo per il vile interesse: noi lavoriamo unicamente per arricchire gli altri.
– Gli altri! – ripetè il Gatto.

Carlo Collodi, Pinocchio, capitolo XII

2 Novembre 2006

Novecento il giovane

Filed under: le specie musicali — cronachesorprese @

Gli standard jazz sono sempre nuovi. Non evergreen, che è un concetto contaminato di sterile nostalgia. Sono sempre nuovi e sempre loro, e sono dentro ognuno di noi, anche se non tutti saprebbero associarli a un titolo, a un periodo, a un compositore o a un esecutore. Sono temi, o semplici riff e moduli che fanno vibrare qualcosa di essenziale, per chi ha vissuto un po’ di novecento. Stupisce, e di uno stupore buono ed edificante, sentirli enunciare con limpida autorevolezza da un ragazzino siciliano, Francesco Cafiso, faccia buona da periferia, che del Novecento ha visto appena uno scorcio, e da bambino. Classe 1989, gira il mondo da solista già da quasi tre anni, entusiasmando jazzisti, critici e appassionati di ogni latitudine.

Stupisce non tanto la confidenza tecnica con lo strumento (un sax alto suonato con grande gusto e disinvoltura, fatto soffiare e barrire come solo un grande sa fare), quanto la smaliziata reinterpretazione dei brani, l’audacia degli arrangiamenti pur nei canoni di una classicità senza travisamenti sperimentali. Ci metto tre strofe a individuare (credo…) My one and only love, e mi rimane l’ultima per gustare la sapienza del fraseggio che gira intorno al tema, con l’aria scanzonata di un figliolo un po’ birbone che rispetta il nonno ma intanto scherza con lui e si diverte.
I tre del suo quartetto, con il molto opportuno inserimento di Fabrizio Bosso alla tromba (altro ex enfant prodige), sono tutt’altro che comprimari. Riccardo Arrighini è un pianista delizioso e vulcanico, Stefano Bagnoli un batterista raffinatissimo, sempre discreto e con un repertorio di effetti e variazioni infinito: sembra quasi che cambi soluzione ritmica ad ogni battuta. Aldo Zunino è una vecchia volpe del contrabbasso. Tutti insieme fanno festa, alla fine, con un interminabile Mack the Knife, mentre nell’unico ma preziosissimo bis Cafiso e Bosso prendono tutti in contropiede e fanno arrivare le note inconfondibili di Caravan dal fondo del teatro, che all’inizio proprio non si capisce dove sono. Una donna davanti a me, quando realizza, si gira e sghignazzando soddisfatta grida: "Maledetti!", mentre la carovana un po’ alla Bregovic del duo si snoda tra le poltrone stupefatte.

La musica, quando scaturisce con questa naturalezza, è il fenomeno più vicino alla grazia e al miracolo. Mi viene in mente il pianista chiamato Novecento dell’omonimo libretto di Baricco. Guardando i tanti coetanei di Cafiso in sala, penso e per un attimo oso sperare che potrebbe essere un miracolo così a  salvarci dal divismo narciso e stupido di certi modelli televisivi, o dal nuovismo disincarnato senza memoria. Non sarà ancora la salvezza definitiva, ma potrebbe aiutare.
  

La Spezia, Teatro Civico, 31 ottobre 2006
« Pagina precedente

Powered by WordPress. Theme by H P Nadig