Cronachesorprese

15 Ottobre 2006

Chiamale se vuoi emozioni

Filed under: semiminime — cronachesorprese @

A quelli che fanno i servizi delle partite a Controcampo ultimo minuto, che leggono il commento usando i cambi di intonazione come se fossero in diretta: quanto volete per smettere? È una cosa davvero fastidiosa, come il gesso sulla lavagna.

12 Ottobre 2006

TFR = Trovare Fondi Rapidamente?

Filed under: market mysteria — cronachesorprese @

Come tutti sappiamo, di denaro non virtuale ne rimane poco in circolazione. Non so per gli altri con reddito paragonabile al mio, ma per me da qualche anno l’unico metodo efficace di accantonamento a lungo termine è il mutuo casa. Dal 1999 non sono riuscito a risparmiare in nessun altro modo, dal 2002 poi non ne parliamo. Le credit card sono ormai debit card e quasi tutte le spese che non riguardano la pura sopravvivenza si risolvono con finanziamenti di diversa entità e durata. Di denaro vero, almeno personalmente, ne maneggio poco.
A breve, però, dovrei ricevere una liquidazione che corrisponde a un accantonamento del mio Tfr di quasi sei anni, poiché dall’inizio di questo mese ho cambiato azienda. Non sarà molto, ma mi permetterà di tappullare, come si dice a Genova: cioé di mettere una pezza a diversi problemi la cui soluzione, negli ultimi tempi, ho dovuto rimandare.
Da pezzentissima ultima ruota del carro della popolazione cosiddetta produttiva, è per me motivo di grande stupore constatare che anche lo Stato sta ragionando più o meno allo stesso modo. Ho bisogno di liquidità per qualche tappullo ai conti, vado a prenderla in uno dei pochi posti dove si trova denaro vero, i tfr dei lavoratori. Con una piccola differenza: che è, appunto, dei lavoratori e non dello Stato. E, usando quei fondi, lo Stato non diminuisce il suo debito, lo aumenta. Con il risultato, che mi sembra disastroso in prospettiva, di degradare una riserva di denaro contante e sonante a una delle tante pietre filosofali con cui il mondo della finanza ammorba i conti e le tasche dei produttori e percettori di reddito. La riserva diventa pegno, pagherò, corrisponderò interessi, e via di seguito. Come lavoratore non mi basta la garanzia di ricevere comunque la liquidazione. Perché se passerà questa norma della finanziaria la mia azienda, quando andrò in pensione, sarà costretta ad anticipare i soldi per pagare la mia liquidazione: poi lo Stato li restituirà all’azienda.

Io capisco una semimazza di economia e non sono in grado di valutare se le spiegazioni che ha dato il ministro Padoa Schioppa a Confindustria siano sufficienti: confesso la mia ignoranza, se qualcuno è in grado di spiegarmi cosa significano le seguenti parole prese dall’intervista al ministro su Repubblica di oggi avrà la mia riconoscenza, una stretta di mano, insomma una gratificazione squisitamente morale perché ancora sto un po’ sulle spese: "La norma sul passaggio del 50% del tfr inoptato al fondo gestito dall’Inps riguarda solo il flusso, e ho sottolineato più volte la parola flusso, e non lo stock. Le imprese non subiranno aggravi di costo, ma semmai otterranno vantaggi. Per le più grandi, a fronte dei maggiori tassi pagati sui prestiti bancari rispetto alla remunerazione del tfr, lo Stato rimborserà differenziali superiori, e per le più piccole siamo pronti ad esaminare gli eventuali problemi di liquidità insieme al sistema bancario che già si è detto disponibile. Dunque, dov’è il problema?"

Non lo so dove sta il problema tecnico. Presumo però di sapere dove sta il problema di un’impostazione di politica economica che dalle esternazioni del ministro di questi giorni sembra fin troppo chiara. Padoa Schioppa, prima di cominciare a spiegare in un modo che solo i tecnici o almeno i ragionieri possono capire (e io sono un povero umanista, come tanti), ha sparato due o tre cannonate che invece capiscono tutti.
Prima, in parlamento: "non capisco che cos’hanno i ricchi da lamentarsi", più o meno testuale (per inciso, la settimana scorsa mi è capitato di raccontarlo a un gruppo di turisti americani di una certa età e di ottimo livello di istruzione, suscitando l’ilarità generale).
Poi ha detto che se le aziende fanno i capricci per il tfr vanno a finire a letto senza cena, più precisamente senza il taglio del cuneo fiscale.
Poi ha detto che le aziende devono ricordarsi che il tfr è soltanto prestato alle aziende e a ottime condizioni, ma che in realtà appartiene ai lavoratori.
Appunto. Questa idea che il tfr sarebbe per le aziende grasso che cola, mentre per lo stato sarebbe linfa vitale; e soprattutto questa strana equazione tra ciò che appartiene ai lavoratori e ciò che è a disposizione dello Stato, vi dirò, non è che mi fa stare tranquillo.  Allo stesso modo non mi piace che si dica alle aziende: "voi avete meno titolarità dello Stato a gestire risorse create direttamente dalla vostra attività produttiva". Senza arrivare agli eccessi berlusconiani, che non condivido, per me questa è una spia di una mentalità vagamente statalista (e posso anch’io sottolineare più volte la parola statalista). La riforma del ministro Maroni era su questo punto sostanzialmente diversa, e metteva di fatto in primo piano la scelta del lavoratore sulla destinazione del tfr.
Se posso scegliere, piuttosto che buttare i miei accantonamenti nella voragine dell’Inps preferirei farli gestire dalla mia azienda, che per quanto non sia un paradiso bene o male fa qualcosa di concreto per me, come tutte le aziende per tutti i lavoratori. Cosa potrà fare l’Inps di concreto per me e per i miei coetanei, francamente, non lo so.

11 Ottobre 2006

Google docs, porte aperte al net computer

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Dieci anni fa chi voleva guardare avanti parlava volentieri di net computer, ovvero di un computer sempre più leggero ed economico, con pochissimi applicativi, che usasse spazio disco e programmi disponibili sulla rete e li condividesse con altri utenti. Una riduzione (o se si vuole una utile banalizzazione destinata alla generalità degli utenti) dell’idea del network computing. Secondo questo modello il NC avrebbe dovuto soppiantare il PC.
Ora è arrivato google docs, tassello fondamentale della strategia di espansione del motore di ricerca più usato al mondo: strategia che sembra sempre di più ispirata all’idea del net computer. Se è cambiato il mezzo (preferire le acquisizioni agli sviluppi fatti in casa, ma solo parzialmente) non è cambiato il fine. La novità, rispetto a dieci anni fa, è che nessuno sente più il bisogno di soppiantare il PC, se non per eliminare il problema delle costose licenze dei programmi più usati, le suite di office, quelle di cui nessuno può fare a meno. Un pc sempre più potente, in realtà, va benissimo per condividere lavoro e applicativi sulla rete. La potenza di calcolo è cresciuta, i prezzi sono calati. Ma il NC è un traguardo ancora nitido e promettente, e google è il suo più deciso sostenitore.
Quindi insomma, niente male: non ho più bisogno di word per creare un documento word e di excel per creare un documento excel,  perché il lavoro su google docs lo posso salvare anche in quei formati. E non ho bisogno neanche di una suite analoga a office che salvi i documenti nei formati microsoft (quindi le suite per i Mac, oppure openoffice). Sì, è vero che per i documenti di testo potevo già farlo con writely, ma quanti lo usavano prima che l’acquisisse google? Nel momento in cui scelgo un programma o un servizio web è fondamentale, per me, sapere che lo usa un gran numero di utenti: significa che posso condividere meglio il mio lavoro, parlare un linguaggio comune con tanti, preferibilimente con tutti o quasi. Se poi, come nel caso di google docs, la condivisione dei documenti è una delle caratteristiche fondamentali, ancora meglio. Posso creare un documento e un foglio di calcolo e assegnarlo a un gruppo di lavoro, in lettura o in modifica. Tutto su internet. Con strumenti semplici e potenti.

9 Ottobre 2006

La parte visibile del vero

Filed under: reading — cronachesorprese @

Se per me c’è una casa in cielo, davanti ad essa dev’esserci un lampione tinto di verde e una cassetta postale rossa.
Dio mi ha ordinato di amare e servire un determinato luogo. E mi ha fatto fare, in suo onore, una quantità di cose anche bizzarre, perché questo luogo potesse servirmi a testimoniare, contro ogni infinito e ogni sofisma, che il paradiso è in un determinato luogo e non dappertutto, è qualcosa di preciso e non già qualsiasi cosa.

G.K.Chesterton, Manalive

Don’t you give me no Buick
Son, you must take my word
If there’s a God in heaven
He’s got a Silver Thunderbird
You can keep your Eldorado’s
And the foreign car’s absurd
Me, I wanna go down
In a Silver Thunderbird

    Marc Cohn, Silver Thunderbird                          

6 Ottobre 2006

Thank you for smoking

Filed under: lo spettatore indigente — cronachesorprese @

Se fossi un dietrologo stressato permanente, seguirei con voluttà il cattivo pensiero che mi è venuto guardando Thank you for smoking: è un film finanziato dalla Big Tobacco. Il Nick Nailor ben interpretato da Aaron Eckhart, il lobbista che dice al figlio "io di mestiere faccio il lobbista", che vola a Hollywood per convincere i produttori a riprendere nei cinema lo stereotipo del fumatore vincente dei bei tempi, potrebbe in realtà rivelare in filigrana la storia della nascita di se stesso, del personaggio Nick Nailor.
Un cattivo e divertente pensiero. Potrebbe essere divertente e potrebbe essere ben costruito, sul filo dell’ironia e con gli strumenti dello spirito critico, proprio come il film. A chi non riesce simpatico quel bastardo di Nick Nailor? Chi non ride del suo cinismo, della sua abilità a mettere nel sacco i suoi avversari nei talk show? Chi non parteggia per lui quando suo figlio, guardandolo adorante ma consapevole, lo difende contro tutti nel momento della disgrazia e lo sprona a tornare a dare battaglia? O quando la giornalista carina e rampante lo "fotte", in tutti i sensi, sputtanandolo in prima pagina?
C’è un momento in cui non si può non stare dalla sua parte, almeno io non posso evitarlo: quando dice davanti alla commissione d’inchiesta del Senato, che deve decidere se mettere un’orrida immagine con teschio e tibie sui pacchetti di sigarette, una sacrosanta verità. Perché le famiglie vogliono delegare agli altri il compito di educazione allo spirito critico, alla scelta consapevole, che solo loro possono svolgere? Che nel film sia detto con ironia o meno, è sacrosanto.
Insomma, Thank you for smoking potrebbe essere finanziato dal budget che, sempre secondo Nick Nailor, la Big Tobacco avrebbe stanziato "per convincere gli adolescenti americani a non fumare". Ehehe. Il film convince che la Big Tobacco è in mano a criminali bastardi. "Ce lo diciamo noi, con l’ironia e lo charme di un film in punta di fioretto, prima che arrivi quel grassone di Michael Moore a dipingerci in
tinte di fosco verismo, spacciando per realtà nuda e cruda un suo personalissimo punto di vista. No, noi siamo la Big Tobacco, siamo ricchi e belli ma siamo uomini come gli altri, divorziati con figli, adoriamo il nostro lavoro e ci sbattiamo da mane a sera per pagare il mutuo": che è una battuta ricorrente del film. Troppo ricorrente per non essere sospetta, agli occhi di uno stressato dietrologo. 
Che drizza le orecchie fin dalla sigla: bellissima, costruita graficamente sulle linee decise ed eleganti dei pacchetti di sigarette. Senza i teschi e le tibie, ma anche senza le scritte nere e minacciose che sui pacchetti ci sono davvero. Uhm…

Ma, dato che il film è bello, divertente, intelligente e ben interpretato, questo post non sarà scritto per convincervi che i dietrologi stressati permanenti sono un po’ paranoici?

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