Questo post è uno spazio a completa disposizione di chi vorrà raccontare qualcosa del concerto di ieri di Paolo Conte al Carlo Felice. Io non c’ero, ma so che almeno due "avventori" di questo blog erano presenti: chi in prima linea, chi nelle retrovie. Fatevi sotto e raccontate cosa ha combinato il neogenovese. Potete commentare oppure scrivere a cronachesorprese@despammed.com: il vostro prezioso contributo sarà pubblicato qui di seguito.
Bastano anche poche parole, come ben sa chi conosce quel tipo. Bastano due cosucce, come se fosse il testo di Max o di Hemingway, poi parte la musica.
– — — —
Searcher non era al concerto ma mi fa notare che nella pagina del sito del Comune di Genova che ho collegato qui sopra c’è un imbarazzante copincolla del testo di Genova per noi, zeppo di errori. Alla faccia della cittadinanza "onoraria"… :-))
– — — —
Ludi era al concerto e mi ha scritto molte cose, ne riporto alcuni frammenti:
L’ultima volta (di Conte al Carlo Felice, ndC) avrei fatto a fettine mezza platea che all’ultima nota era già in piazza de Ferrari a organizzare il dopo concerto. Ieri no, ieri il teatro era meravigliosamente ricolmo di gente e passione e applausi e attenzione e gioia… Il chitarrista non lo saprà mai ma mentre suonava Gioco d’azzardo la sua chitarra sventagliava il riflesso di un faro direttamente sul mio viso: mi ha raggiunto lassù nell’angolo più remoto del teatro e inconsapevole si è reso complice del mio goffo tentativo di nascondere qualche lacrima di ricordo…
"Genova per noi" ieri – sai gli hanno conferito la cittadinanza onoraria mentre io firmavo NN anni di mutuo… what a coincidence! – aveva un gusto particolare e alla fine fra un pò viene giù il teatro. Certo l’età, forse la stanchezza del tour, o della giornata… insomma sbaglia qualche parola l’avvocato e qualche d’una la dimentica del tutto, anche qualche accordo forse non è venuto come l’avrebbe voluto ma nessuno "ride". Ieri ci ha regalato anche Bamboolah, una delle più belle canzoni d’amore che abbia mai sentito. Anche ieri poi come in mille segreti appuntamenti sono stata "Alle prese con una verde milonga" e l’emozione si è arricchita di nuove rivelazioni, perchè ogni volta che ascolto quella canzone si rivela a me stessa una piccola parte di me, come se ogni volta riuscissi a tuffarmi un pò più in profondo. "La domanda è rosso fuoco e la risposta è blu…": mi ha lasciato così questo concerto, con il rosso che mi brucia dentro e l’attesa del blu che esaltandolo lo venga a rinfrescare.
– — — —
Kammamuri racconta di una sensazionale scoperta fatta da una posizione privilegiata:
Un cavallo rosso polvere
Ero in prima linea. Oddio, letteralmente in settima, ma ci siamo capiti. Lo stare in prima linea ha comportato tutta una serie di conseguenze, talune alquanto prosaiche ed essenzialmente concernenti il raffronto fra la mia situazione economica precedente all’acquisto del biglietto e quella attuale, talaltre probabilmente meno.
Tra queste ultime va senz’altro annoverata una scoperta che personalmente reputo interessante: Diavolo Rosso è uno spaghetti western.
Il sospetto, a dir la verità, l’ ho avuto fin dal primo ascolto di “Concerti”, ma dalla serata del Carlo Felice sono in possesso di prove inconfutabili.
Dicevo di “Concerti”. Nella versione presente in quel grande disco, fateci caso, Conte letteralmente prende la canzone per condurla a un ritmo più lento: il risultato è quello di un puledro furibondo domato e trasformato in una bestia elegante, impolverata, vagamente indolente, in apparenza altezzosa, ma in fondo incuriosita dal paesaggio che la circonda. Tra l’altro l’andamento pigro e solenne dell’introduzione di chitarra è accompagnata da un impercettibile, brontoloso sbuffo ritmico dell’interprete che, attore, si sa, ci regala un cammeo nei panni del suo personaggio più essenziale di sempre: il cavallo di Sentenza, o del sensale di droghe di Castelnuovo Don Bosco, che, fondamentalmente, si è rotto le palle di fare avanti e indietro fra il Monferrato e il West.
Fischio, frusta, chitarre, uomini, vento e piste di carri.
Riascoltate la canzone da capo. Adesso ascoltate il Morricone di “Per un pugno di dollari”
Notevole, vero?
La tesi che ho annunciato di voler sostenere in queste righe, postula che Diavolo Rosso è in realtà uno spaghetti western.
E’ vero, ma non è esatto: Diavolo Rosso è l’altra faccia, di uno spaghetti western.
E’ il volto innocente delle puttane da saloon, ancora bambine con le trecce bionde, è il nord brinato, notturno e silenzioso di un sud marcio di sole, dove il caldo frolla terra, anima e carcasse e ci sono sempre una tromba o una rivoltella nascoste, in agguato, nel suono del niente.
Cosa c’entra, però, tutto questo col fatto che al Carlo Felice io sedessi nella fila numero sette, in prima linea se preferite? Semplice: durante l’esecuzione di Diavolo Rosso ho potuto guardare persino le pieghe delle rughe del chitarrista. Verso la fine del pezzo, all’acme di una prestazione quasi olimpionica, quell’uomo soffriva.
Non parlo di una sofferenza interiore, dettata da chissà quale turbamento emotivo o da uno stendhaliano, artistico, rapimento.
Soffriva, non stava bene, il braccio gli faceva un male porco.
L’avvocato lo sapeva benissimo, questo si vedeva dalle sue, di rughe che ridacchiavano sadiche.
Perché mai mettere fine a quell’agonia, il viatico del suo trionfo?
La conclusione del pezzo restituiva così al mondo un chitarrista più morto che vivo e un teatro ai piedi del Grande Aguzzino.
Avete presente quando Clint lascia penzolare Tuco per un po’ prima di liberargli la corda con un colpo di pistola e scappare col malloppo?