Cronachesorprese

15 Aprile 2005

Un post libero

Filed under: le specie musicali — cronachesorprese @

Questo post è uno spazio a completa disposizione di chi vorrà raccontare qualcosa del concerto di ieri di Paolo Conte al Carlo Felice. Io non c’ero, ma so che almeno due "avventori" di questo blog erano presenti: chi in prima linea, chi nelle retrovie. Fatevi sotto e raccontate cosa ha combinato il neogenovese. Potete commentare oppure scrivere a cronachesorprese@despammed.com: il vostro prezioso contributo sarà pubblicato qui di seguito.
Bastano anche poche parole, come ben sa chi conosce quel tipo. Bastano due cosucce, come se fosse il testo di Max o di Hemingway, poi parte la musica.

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Searcher non era al concerto ma mi fa notare che nella pagina del sito del Comune di Genova che ho collegato qui sopra c’è un imbarazzante copincolla del testo di Genova per noi, zeppo di errori. Alla faccia della cittadinanza "onoraria"… :-))

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Ludi era al concerto e mi ha scritto molte cose, ne riporto alcuni frammenti:

L’ultima volta (di Conte al Carlo Felice, ndC) avrei fatto a fettine mezza platea che all’ultima nota era già in piazza de Ferrari a organizzare il dopo concerto. Ieri no, ieri il teatro era meravigliosamente ricolmo di gente e passione e applausi e attenzione e gioia… Il chitarrista non lo saprà mai ma mentre suonava Gioco d’azzardo la sua chitarra sventagliava il riflesso di un faro direttamente sul mio viso: mi ha raggiunto lassù nell’angolo più remoto del teatro e inconsapevole si è reso complice del mio goffo tentativo di nascondere qualche lacrima di ricordo…
"Genova per noi" ieri – sai gli hanno conferito la cittadinanza onoraria mentre io firmavo NN anni di mutuo… what a coincidence! – aveva un gusto particolare e alla fine fra un pò viene giù il teatro. Certo l’età, forse la stanchezza del tour, o della giornata… insomma sbaglia qualche parola l’avvocato e qualche d’una la dimentica del tutto, anche qualche accordo forse non è venuto come l’avrebbe voluto ma nessuno "ride". Ieri ci ha regalato anche Bamboolah, una delle più belle canzoni d’amore che abbia mai sentito. Anche ieri poi come in mille segreti appuntamenti sono stata "Alle prese con una verde milonga" e l’emozione si è arricchita di nuove rivelazioni, perchè ogni volta che ascolto quella canzone si rivela a me stessa una piccola parte di me, come se ogni volta riuscissi a tuffarmi un pò più in profondo. "La domanda è rosso fuoco e la risposta è blu…": mi ha lasciato così questo concerto, con il rosso che mi brucia dentro e l’attesa del blu che esaltandolo lo venga a rinfrescare.

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Kammamuri racconta di una sensazionale scoperta fatta da una posizione privilegiata:

Un cavallo rosso polvere
Ero in prima linea. Oddio, letteralmente in settima, ma ci siamo capiti. Lo stare in prima linea ha comportato tutta una serie di conseguenze, talune alquanto prosaiche ed essenzialmente concernenti il raffronto fra la mia situazione economica precedente all’acquisto del biglietto e quella attuale, talaltre probabilmente meno.
Tra queste ultime va senz’altro annoverata una scoperta che personalmente reputo interessante: Diavolo Rosso è uno spaghetti western.
Il sospetto, a dir la verità, l’ ho avuto fin dal primo ascolto di “Concerti”, ma dalla serata del Carlo Felice sono in possesso di prove inconfutabili.
Dicevo di “Concerti”. Nella versione presente in quel grande disco, fateci caso, Conte letteralmente prende la canzone per condurla a un ritmo più lento: il risultato è quello di un puledro furibondo domato e trasformato in una bestia elegante, impolverata, vagamente indolente, in apparenza altezzosa, ma in fondo incuriosita dal paesaggio che la circonda. Tra l’altro l’andamento pigro e solenne dell’introduzione di chitarra è accompagnata da un impercettibile, brontoloso sbuffo ritmico dell’interprete che, attore, si sa, ci regala un cammeo nei panni del suo personaggio più essenziale di sempre: il cavallo di Sentenza, o del sensale di droghe di Castelnuovo Don Bosco, che, fondamentalmente, si è rotto le palle di fare avanti e indietro fra il Monferrato e il West.
Fischio, frusta, chitarre, uomini, vento e piste di carri.
Riascoltate la canzone da capo. Adesso ascoltate il Morricone di “Per un pugno di dollari”
Notevole, vero?
La tesi che ho annunciato di voler sostenere in queste righe, postula che Diavolo Rosso è in realtà uno spaghetti western.
E’ vero, ma non è esatto: Diavolo Rosso è l’altra faccia, di uno spaghetti western.
E’ il volto innocente delle puttane da saloon, ancora bambine con le trecce bionde, è il nord brinato, notturno e silenzioso di un sud marcio di sole, dove il caldo frolla terra, anima e carcasse e ci sono sempre una tromba o una rivoltella nascoste, in agguato, nel suono del niente.
Cosa c’entra, però, tutto questo col fatto che al Carlo Felice io sedessi nella fila numero sette, in prima linea se preferite? Semplice: durante l’esecuzione di Diavolo Rosso ho potuto guardare persino le pieghe delle rughe del chitarrista. Verso la fine del pezzo, all’acme di una prestazione quasi olimpionica, quell’uomo soffriva.
Non parlo di una sofferenza interiore, dettata da chissà quale turbamento emotivo o da uno stendhaliano, artistico, rapimento.
Soffriva, non stava bene, il braccio gli faceva un male porco.
L’avvocato lo sapeva benissimo, questo si vedeva dalle sue, di rughe che ridacchiavano sadiche.
Perché mai mettere fine a quell’agonia, il viatico del suo trionfo?
La conclusione del pezzo restituiva così al mondo un chitarrista più morto che vivo e un teatro ai piedi del Grande Aguzzino.

Avete presente quando Clint lascia penzolare Tuco per un po’ prima di liberargli la corda con un colpo di pistola e scappare col malloppo?

12 Aprile 2005

Photo Canal

Filed under: lo spettatore indigente — cronachesorprese @

Davanti a una veduta veneziana del canaletto puoi stare dieci, venti minuti senza stancarti. Ogni cosa era semplicemente se stessa, nel momento in cui quelle immagini si proiettavano dalla camera ottica al foglio del pittore; oggi, davanti ai miei occhi, c’è molto di più. Si possono applicare a queste vedute gli stessi criteri che Roland Barthes suggerisce nel suo libro sulla fotografia, La camera chiara. Barthes spiega come solo lui sa fare che, anche se tendiamo a dimenticarlo, la tecnica fotografica sceglie un modo di rappresentare la realtà, è interpretazione e non registrazione; e poi da semiologo gioca, riflette, allegorizza con il tempo che si è stratificato su quell’immagine. Fa riconoscere che l’immagine è viva non perché pretende di essere oggettiva, ma perché è costruita in modo tale da offrirsi sempre in maniera condiscendente alla percezione dell’osservatore, che è sempre diversa perché si allontana nel tempo il punto di osservazione.

Canaletto si rivolgeva a chi era distante nello spazio, magari immerso nelle nebbie londinesi e voleva sempre avere le immagini della laguna davanti agli occhi; anch’io sono lontano ma non più nello spazio, solo nel tempo, e senza volerlo Canaletto chiede a me lo stesso tipo di astrazione, o di distrazione. Quello che lui voleva funzionasse con i ricchi inglesi dell’epoca funziona anche con me: è come se non sapessi o non volessi sapere che quella non è una ripresa oggettiva ma una sapiente scelta di luce e di particolari, che fanno sempre diversi i pochi soggetti che il venesiàn ritrae con apparente serialità commerciale. Quel cane che gioca, quei due nobili vestiti eleganti che stanno attraccando con la gondola, quel pescivendolo con la sua mercanzia… posso perdermi a esaminare e confrontare i particolari, le figure umane, la vita che è rimasta imbrigliata per sempre in quegli eidola, testimoni inconsapevoli di una quotidianità perduta, commovente quanto e più della vita ripresa nei dagherrotipi di metà ottocento.

E’ quasi una meditazione: a poco a poco il mio occhio diventa quello del Canaletto. Che ha fatto una vita un po’ grama, soprattutto verso la fine. E pensando a tutte le difficoltà che ha avuto, mentre passavo in rassegna le opere raccolte nella bella mostra romana a palazzo Giustiniani, trovavo comunque singolare che la sua matita e il suo pennello siano rimasti sempre così, se non proprio fedeli, almeno innamorati della realtà, senza mai un’ombra di malinconia non dico nel colore e nella luce, ma neanche nella scelta dei particolari. Tutto questo studio paziente e amorevole su centinaia di punti di vista dello stesso soggetto, mentre quel dritto di John Smith lo sfruttava facendo creste invereconde sui dipinti che vendeva per suo conto a Londra, è notevole. Che poi, quando lui stesso andò a Londra per cercare di vendere di persona, gli inglesi, che quando vogliono sanno essere parecchio fetenti, arrivarono addirittura a mettere in dubbio la sua identità. Soltanto un inglese riesce a convincere un altro inglese che qualcosa di buono venga fuori da qualcuno che non è inglese… Magari il venesiàn in trasferta non pronunciava correttamente il th, sarà stato bene per cose del genere che non lo consideravano, ai nou mai cichens. – Chi è esso, Edward? – Canaletto, James, il solito italiano di talento ma un po’ pirla.

Roma, palazzo Giustiniani, 27 marzo 2005

9 Aprile 2005

Perplessità etero-logiche

Filed under: Il postulante de-genere — cronachesorprese @

adobati -padre e figlioGrazie infinite al caro amico Searcher per avermi segnalato questo articolo molto interessante con cui Claudio Risé, psicanalista e autore di diversi libri sulla paternità, argomenta contro la fecondazione eterologa.
Su questo punto, dopo aver letto anche altre cose, comincio in effetti ad avere qualche perplessità. A gennaio avevo scritto che dei quattro quesiti referendari avrei accolto favorevolmente soltanto quello sulla fecondazione eterologa: la ragione principale è che lo vedevo, e lo vedo tuttora, logicamente distinto dagli altri tre, che non riguardano il ruolo del padre ma la possibilità dell’embrione umano di essere soggetto di diritti. Entrambi i problemi hanno rilevanza etica, ma diversa e in diverso grado. Si vorrebbe quindi far passare sotto lo stesso giudizio (un sì o un no, e la quasi totalità dei votanti si esprimerebbe con quattro sì o quattro no, come sempre avvenuto in queste occasioni) due questioni diverse e con diversi risvolti, oltre che già estremamente complesse se prese singolarmente: e questo a pensarci bene è un ulteriore limite di un’iniziativa referendaria che fa acqua da tutte le parti e merita forse di essere bocciata integralmente.

La fecondazione eterologa, tuttavia, se ben normata, a cominciare dalla non anonimità del donatore (la commissione bioetica britannica si è recentemente pronunciata a favore della rimozione dell’assurdo vincolo, e chiede al parlamento di permettere al figlio, quando raggiunge la maggiore età, di conoscere il padre biologico) non porta necessariamente all’ulteriore marginalizzazione del ruolo della paternità, come teme Risé: messo in cantiere, in qualsiasi modo, un figlio, per un padre del duemila il problema del significato della paternità  è ancora da affrontare tutto intero. E’ un problema sociale e culturale molto vasto, è vero, l’analisi di Risé su questo punto è convincente; ma può essere affrontato solo con una maggiore consapevolezza a livello sociale e culturale. Un padre biologico può essere assente in tanti modi, anche occupando il suo posto tutti i giorni nella sua casa e tutte le notti nel suo letto; un padre non biologico può essere padre in tutto e per tutto. Questa è la considerazione di fondo che mi porta a guardare diversamente il problema della fecondazione eterologa. Si potrebbe pensare di mettere vincoli simili a quelli che si hanno per l’adozione: permetterla solo alle coppie che hanno determinati requisiti, per tutelare i diritti del nascituro. Non permettere, insomma, che la fecondazione eterologa diventi carta bianca per soddisfare qualsiasi capriccio riproduttivo contrabbandandolo per libertà inalienabile, e aprendo di fatto la strada all’eugenetica. Ma neanche vietarla del tutto, perché sono convinto che non si possa negare a una coppia in età riproduttiva, ma con problemi insormontabili di fertilità, di fare ricorso a un aiuto di questo genere, se lo vuole.
  
Ad ogni modo è certo che di questo problema, e degli altri enormi sollevati dagli altri tre quesiti, avremmo bisogno di discutere ancora, senza scorciatoie. Prima di buttare alle ortiche una legge forse troppo restrittiva, ma che non sta danneggiando nessuno (non c’è un calo drammatico nell’efficacia della fecondazione in vitro dopo l’introduzione della legge 40, dice la Sidr in base ai dati di una sua ricerca) e colma un vuoto normativo che ormai era inaccettabile, vorrei pensarci ancora un po’.

immagine:  Giulio Adobati, Padre e figlio

6 Aprile 2005

Perfect Post Award

Filed under: chiedici le parole — cronachesorprese @

Istigato dal mio analista, aderisco anch’io all’invito di Hardla e provo a scrivere il post perfetto.

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Er muoz gelichesame die leiter abwerfen
So er an ir ufgestigen ist…

Lo scroc delle patatine fritte sotto i denti. O il gracchiare del tergicristallo appena azionato sul vetro sporco. (Troppo sporco). Cioé a dire brividi, sia pure in diversi registri, nei soggetti predisposti. E SAPERLO PRIMA, un attimo prima minKia. E invece no, le maledette predisposizioni fottono sempre ogni previsione. Fankulo.

Per quanto lurida possa essere questa pretesa, l’avevo in *cassaforte*. Non so se mi spiego.
E poi.
E poi???
Rapina con scasso? Eh, magari. "Ojalà, ojalà!" In realtà, piuttosto, un’inquadratura nel telelaser. Un’inquietudine di Munch o di Escher. Un chewing-gum in una fioriera. Una mossa carica di troppe aspettative al Dungeons& Dragons. Una maestrina nuova di zecca a cui obbedire. Una lenta, lenta escursione su e giù per le strade dell’ottimismo, a cercare invano il vigile che ti ha fatto la contravvenzione.
Una birra tiepida, in definitiva. Dovevi pensarci, alla cassaforte-frigorifero, coglione. Una volta che fai la spesa…

… Each step he takes, the perfumes change
from familiar fragrance to flavours strange…

…che poi il bello by the way rimane scoprire, guardandosi solo un attimo (e non un attimo di più), quanto c’è ancora di frutta vera in questa marmellata che sei diventato. Sembra incredibile ma è tanta, è tanta polpa trasfigurata ma operante. A ogni stato la sua papilla.
E ti rialzi, o ti spalmi. Ed è quasi la stessa cosa.

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Consiglio a tutti i blogger di provare: fa capire tante cose. Penso di essere ancora molto lontano dalle vette del maestro e del suo primo discepolo, ma con l’esercizio e l’abnegazione I will find my way to the blogstar’s sky ;-)

5 Aprile 2005

Arrivano i buoni

Filed under: dichiarazioni di voto — cronachesorprese @

i buoni e i cattivi

Arrivano i buoni, arrivano, arrivano,
finalmente hanno capito che qualcosa
qui non va. Ah-ah-ah, ah, ah-ah-ah…

Meno male che ci sono i buoni che si accorgono della gente inconsapevole che si illude. Poverina la gente. Poverina la gente che non sa quanto sono buoni, i buoni. Poverina e un po’ cattivella. Ma per fortuna ora i buoni, nonostante tutta questa illusione dilagante, sono maggioranza nel paese. Ci penseranno loro. Sistemeranno tutto. Dormiamo sonni tranquilli. Illudiamoc… no, volevo dire: stiamo sereni.

Arrivano i buoni e dicono basta
a tutte le ingiustizie che finora hanno afflitto
l’umanita`. Ah-ah-ah, ah, ah-ah-ah…

I buoni sono il popolo. Sono i partigiani, solo loro, gli altri sono morti di freddo perché sono andati sulle montagne senza maglione di lana. Sono quelli che c’hanno la cultura, nel senso che c’hanno le case editrici, anche quelle dei cattivi, perché gli editori cattivi senza i direttori editoriali buoni non venderebbero. Sono quelli delle cooperative, quelle che danno lavoro. Le altre cooperative, quelle dei cattivi, danno lavoro uguale uguale a quelle dei buoni ma si deve dire che "fanno affari": e lo si deve dire per correttezza naturalmente, vorresti intendere che i buoni non sono obiettivi? I buoni sono i lavoratori, i soli buoni, quelli che l’operaio mensura mundi, non i cattivi delle partite iva. Sono quelli che le regioni buone ora devono essere deprecarizzate, de-ppve-cca-viz-za-tte, è cchiavo?… Cioé disoccupate. Ma questo non ditelo, via. Siate buoni.

Arrivano i buoni, arrivano, arrivano,
finalmente una nuova era comincera`. Ah-ah-ah, ah, ah-ah-ah…

I buoni dicono che l’Italia vuole voltare pagina. I buoni hanno avanzato in campagna elettorale uno degli slogan più arroganti della storia repubblicana, tipo "finisce l’illusione comincia qualcos’altro". Quando si tratta dei buoni, il fine giustifica i mezzi, dovremmo sempre tenerlo a mente, e non fare quelle facce. Ma noi siamo per lo più cattivi e lo dimentichiamo facilmente. E ci illudiamo. Che brutta malattia, l’illusione.

Quanti sbagli, quanti errori, quante guerre e distruzioni,
ma finalmente una nuova era
comincera`. Ah-ah-ah, ah, ah-ah-ah…

Dovete sapere che ci sono riforme costituzionali a colpi di maggioranza che sono buone, e riforme costituzionali a colpi di maggioranza che sono cattive. La costituzione invece, evidentemente, è un po’ cattiva, dato che i buoni già l’hanno un po’ cambiata e continueranno a cambiarla, quando la bontà sarà di nuovo uniformemente sparsa sul paese come i grani di zucchero sulla colomba. Ma quando vogliono cambiarla i cattivi, la costituzione è di nuovo tutta magicamente buona e non si può toccare. I buoni sono pieni di umorismo.

Senza servi ne` padroni, senza guardie ed assassini,
d’ora in poi tutti uguali, una nuova era
per l’umanita`. Ah-ah-ah, ah, ah-ah-ah…

I buoni li riconosci subito perché sono presidenti, loro. I cattivi sono governatori. I buoni dicono che i presidenti sono quelli "che usano i poteri con equilibrio". Già il fatto di sentire parlare dei cari vecchi presidenti, che siedono paciosi davanti agli altri con l’aria paterna e la palpebra semiabbassata, toglie ogni dubbio ai buoni tifosi dei buoni: inutile che i cattivi si affannino ad andare a controllare, per cinque anni si sta tutti tranquilli. I governatori invece sono delle specie di "uomini forti": e già li vedi, gli orchi nerboruti e con la bava alla bocca. Ma non era da altre parti che si paventavano i mangiatori di bambini? Boh, comunque sia ai buoni non sfiora neanche il sospetto che per qualcuno possa essere il contrario. Anzi sicuramente chi pensa il contrario è cattivo: è una parola così brutta, "governatore". Uno che governa, ma scherziamo? Di governo ce n’è uno solo, nelle regioni si fa un po’ così, per ridere. Meglio presiedere, senza mai perdere l’umorismo. Sedere, innanzitutto, poi si vedrà.

Arrivano i buoni ed hanno le idee chiare
ed hanno gia` fatto un elenco di tutti i cattivi
da eliminar. Ah-ah-ah, ah, ah-ah-ah…

Ma voi lo sapevate che Enrico Ruggeri ha qualche simpatia per i cattivi, ohibò, però è una "brava persona"? Lo ha detto Vecchioni, che è uno buono, e quindi c’è da fidarsi. Così Ruggeri qualche data alle feste estive dei buoni riuscirà ancora a rimediarla, forse. Se farà il buono. Per quanto riguarda invece tutti quei presunti buoni autoconvocati in piazza san Pietro in questi giorni, bisognerà stare attenti, bisognerà valutare caso per caso. Eh, questi sono compiti difficili. Ma i buoni non si scoraggeranno. Sapranno distinguere il grano dal loglio, perché sono gli Unti. Questa in realtà non si potrebbe dire perché un cattivo glie l’ha fregata, ma fidatevi che è così: i cattivi lo dicono, ed è irrilevante che lo pensino o no, visto che sono così stupidi da dirlo; i buoni non lo dicono ma lo pensano.

Ma chi l’avrebbe mai detto che erano cosi` tanti i cattivi
da eliminar. Ah-ah-ah, ah, ah-ah-ah…

Ah, un’ultima cosa importante: non so se ci avete mai fatto caso, ma i buoni ogni tanto hanno qualche attimo di ripensamento, sicuramente perché pensano a tante cose belle e buone insieme e ogni tanto scappa anche a loro di dire una cosa buona di più ma di farne una di meno. Per questo, anche quando possono, si guardano bene dal togliere ai cattivi le occasioni per essere cattivi. Come farebbero i buoni, altrimenti, ad essere buoni? Come dite? Facendo cose buone? Dai ragazzi, ci state forse… burlando?

Cosi` adesso i buoni hanno fatto una guerra contro i cattivi,
pero` hanno assicurato
che e` l’ultima guerra…


che si fara`.
Ah-ah-ah, ah, ah-ah-ah…

[segue strumentale appropriato]

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