Vedo che quello che ho scritto l’anno scorso, e che Facebook mi ripropone nei ricordi, è ancora perfettamente attuale. Persiste la pretesa infantile di mettere il discrimine sulla fedeltà alla Costituzione nel pronunciare una sola parola magica: antifascismo. Chissà perché, dovrebbe da sola essere garanzia di “tuttappost”. I motivi per cui penso che questa richiesta sia nominalistica e pretestuosa li ho già spiegati l’anno scorso, e mi sembra inutile ripeterli, sennonché vedere minacce di morte vergate sui muri della mia città (e sui muri di palazzi storici) da sedicenti antifascisti mi conferma ulteriormente in una convinzione logica e inoppugnabile: tra il dire antifascismo e il fare antifascismo c’è di mezzo un mare di democrazia sostanziale, una traversata che in quasi ottant’anni qualcuno non ha mai messo davvero in agenda.
Ma fin qui si vince facile, è quasi come picchiare un bambino che caga. Cosa volete che sappia di vero antifascismo, di impegno politico, di educazione civica, o anche semplicemente di vita un idiota che scrive *qualsiasi cosa* con lo spray su Palazzo Ducale? È solo manifestazione di disagio politicamente connotata: certo fa anche danni, ma è come la grandine, bisogna avere pazienza e tirare avanti.
Non è tutto e non è la cosa più preoccupante che ho visto ieri, purtroppo. Sono andato per le strade e in piazza, ho seguito il corteo, e diverse cose non mi sono piaciute. Molte altre si, vorrei chiarire: mi sono sentito a casa, nonostante le cose che non mi sono piaciute. Però non c’è niente da fare (o meglio spererò sempre che qualcosa si possa fare), l’idiozia di alcuni (come gli imbrattamuri) e l’immaturità di altri fanno davvero cadere le braccia.
Alcuni colleghi giornalisti non la pensano come me: ho letto ad esempio stamattina che un noto cronista politico della mia città giudica “segno di memoria viva” portare motivi attuali di contesa politica nel corteo del 25 aprile, come la questione delle armi all’Ucraina, come le prese di posizione sul conflitto in Medio Oriente. Per me invece è il sintomo della solita malattia, il segno della solita confusione che a quasi 80 anni di distanza rende ancora impossibile celebrare il 25 aprile come andrebbe celebrato. Se io porto uno striscione nel corteo del 25 aprile in cui dico che le armi all’Ucraina non vanno date, pretendo automaticamente che chi pensa il contrario sia fascista.
Sono esagerato? No, non lo sono, perché la Liberazione è un fondamento della nostra Repubblica e non può essere strumentalizzata per qualsiasi causa. Voglio dire, è troppo comodo, no? “Porto lo striscione che sostiene la *mia* causa nella manifestazione di più alto valore simbolico di tutto l’anno, sfruttandone la visibilità, e se hai qualcosa da ridire sei un fascista”. Non è questo ciò che avviene? Si, avviene questo e no, non sono esagerato.
E sia chiaro, non vorrei mai che qualcuno impedisse materialmente, fisicamente che quello striscione ci sia. Io vorrei semplicemente, ingenuamente che chi va alla manifestazione avesse la maturità e il giudizio di non portarlo. Mettere l’attualità della contesa politica in quel corteo è segno di immaturità democratica.
Se facessi uno striscione per sostenere i volontari pro vita che finalmente possono entrare nei consultori, immagini il casino? Eppure per le mie convinzioni quella è una causa importante, che tocca i fondamenti più basilari della convivenza civile, e non mi interessa se qualcuno blatera di potere clericofascista sul corpo delle donne, sono tutte balle: quella è una cosa che attua meglio la 194 e aumenta la libertà sostanziale delle donne. Non mi sognerei mai di portare quella causa nel corteo del 25 aprile, perché non è il luogo per i ricatti, per le provocazioni, per le strumentalizzazioni: dovrebbe essere il luogo in cui provare a costruire unità su simboli condivisi. Peccato che quasi nessuno abbia voglia di farlo.
I ricattini dei sedicenti antifascisti, naturalmente, non si limitano agli striscioni. Durante gli interventi in Piazza Matteotti i fischi verso alcuni rappresentanti delle istituzioni sono ormai rituali. Incivili e ricattatori, ma rituali. E che dire, anche quello è un segno di scarsa maturità democratica. Ma il culmine del non senso l’abbiamo visto e sentito con l’interruzione del momento più solenne, più sacro del corteo, quando si rende onore ai caduti della Resistenza sotto il ponte monumentale. Qualcuno si è sentito in diritto di sovrascrivere con un “Bella Ciao” anche quel momento. Come dire, chi se ne frega della solennità, dell’omaggio istituzionale a chi è morto per la libertà di tutti: l’unica cosa importante è che anche quel momento sia connotato politicamente. E anche qui sta il ricatto: “ma come, è un canto della Resistenza, allora se non ti piace sei un fascista”. No genio, non mi piace come lo usi tu, non mi piace cosa hai fatto diventare quel canto nell’ultimo mezzo secolo, e non mi piace che tu sia tanto infervorato dalle tue fisime da calpestare anche la sacralità di quell’omaggio, di quella celebrazione.
Ma non importa, tornerò volentieri in piazza il 25 aprile. Perché non bisogna darla vinta ai fascisti.