Due considerazioni di diverso ordine sulla morte della povera Giulia Cecchettin
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Io davvero non capisco come possa succedere. Eppure l’ho provata la gelosia accompagnata alla frustrazione del rifiuto; la mortificazione di vedere ragazze e donne di cui ero innamorato scegliere altri e prendere strade che le portavano, anche geograficamente, lontane da me; il desiderio di vederle ancora, di dichiararmi ancora, di spiegare…
Credo insomma di essermi trovato in situazioni analoghe a quella che ha scatenato in questi giorni l’ennesimo delitto orrendo, e ho dovuto uscirne, all’epoca, senza neanche il sostegno dell’esperienza e di una sufficiente maturità affettiva. E se l’assassino fosse un violento conclamato potrei tranquillizzarmi pensando: ok, non sei stato educato al contenimento della rabbia e della possessività. E invece no, il ragazzo sembra davvero distante da questo tipo. Sembrava, almeno.
Si parla di educazione all’affettività. Ma cosa è cambiato rispetto a quando ero ragazzo e adolescente io? Perché molti ragazzi di questi anni venti, ragazzi che in apparenza non hanno motivo per non sperare nelle proprie capacità e nel futuro, sembrano così inabili a gestire una frustrazione e un rifiuto? Non è “patriarcato”, come pretende una deriva ideologica ormai consolidata. Se i maschi che arrivano a questi eccessi avessero caratteristiche comuni tra di loro potrei pensare che c’è un problema di modelli. Ma sono ragazzi molto diversi tra loro.
In questo quadro, mi manca un pezzo: non capisco come si possa arrivare a tanto, non capisco come un pericolo del genere si possa prevedere e scongiurare se non tirando su barricate, e ho molta paura delle conseguenze che il ripetersi costante di questi episodi può portare all’educazione affettiva. Ho una figlia di due anni e mezzo. Tra dieci anni cosa le dirò? Come posso difenderla non solo dalle cattive compagnie (quello forse è facile) ma anche dall’interiorizzazione di un timore che potrebbe non farle vivere l’abbandono dell’innamoramento, la bellezza del potersi fidare? Oggi non lo so. Spero di trovare le risposte in tempo.
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Leggo peraltro con un po’ di stupore accuse all’informazione che trovo un po’ esagerate. Perché non sono incentrate sul rispetto della deontologia (ed è pur vero che anche in questo caso gli errori ci sono stati) ma su una presunta corresponsabilità: si dice insomma che se queste cose continuano a succedere è anche perché la narrazione giornalistica è già impostata per un alleggerimento delle responsabilità dell’uomo. A me, sinceramente, non sembra che sia così. Dire che il ragazzo è un povero disgraziato non toglie nulla alla gravità di ciò che ha fatto e spero (ammesso che sia ancora vivo) che le pene siano conseguenti.