Cronachesorprese

25 Aprile 2024

LFML (Liberation Fest Markup Language)

Filed under: tutto considerato — alessandro @

Vedo che quello che ho scritto l’anno scorso, e che Facebook mi ripropone nei ricordi, è ancora perfettamente attuale. Persiste la pretesa infantile di mettere il discrimine sulla fedeltà alla Costituzione nel pronunciare una sola parola magica: antifascismo. Chissà perché, dovrebbe da sola essere garanzia di “tuttappost”. I motivi per cui penso che questa richiesta sia nominalistica e pretestuosa li ho già spiegati l’anno scorso, e mi sembra inutile ripeterli, sennonché vedere minacce di morte vergate sui muri della mia città (e sui muri di palazzi storici) da sedicenti antifascisti mi conferma ulteriormente in una convinzione logica e inoppugnabile: tra il dire antifascismo e il fare antifascismo c’è di mezzo un mare di democrazia sostanziale, una traversata che in quasi ottant’anni qualcuno non ha mai messo davvero in agenda.

Ma fin qui si vince facile, è quasi come picchiare un bambino che caga. Cosa volete che sappia di vero antifascismo, di impegno politico, di educazione civica, o anche semplicemente di vita un idiota che scrive *qualsiasi cosa* con lo spray su Palazzo Ducale? È solo manifestazione di disagio politicamente connotata: certo fa anche danni, ma è come la grandine, bisogna avere pazienza e tirare avanti.
Non è tutto e non è la cosa più preoccupante che ho visto ieri, purtroppo. Sono andato per le strade e in piazza, ho seguito il corteo, e diverse cose non mi sono piaciute. Molte altre si, vorrei chiarire: mi sono sentito a casa, nonostante le cose che non mi sono piaciute. Però non c’è niente da fare (o meglio spererò sempre che qualcosa si possa fare), l’idiozia di alcuni (come gli imbrattamuri) e l’immaturità di altri fanno davvero cadere le braccia.

Alcuni colleghi giornalisti non la pensano come me: ho letto ad esempio stamattina che un noto cronista politico della mia città giudica “segno di memoria viva” portare motivi attuali di contesa politica nel corteo del 25 aprile, come la questione delle armi all’Ucraina, come le prese di posizione sul conflitto in Medio Oriente. Per me invece è il sintomo della solita malattia, il segno della solita confusione che a quasi 80 anni di distanza rende ancora impossibile celebrare il 25 aprile come andrebbe celebrato. Se io porto uno striscione nel corteo del 25 aprile in cui dico che le armi all’Ucraina non vanno date, pretendo automaticamente che chi pensa il contrario sia fascista.

Sono esagerato? No, non lo sono, perché la Liberazione è un fondamento della nostra Repubblica e non può essere strumentalizzata per qualsiasi causa. Voglio dire, è troppo comodo, no? “Porto lo striscione che sostiene la *mia* causa nella manifestazione di più alto valore simbolico di tutto l’anno, sfruttandone la visibilità, e se hai qualcosa da ridire sei un fascista”. Non è questo ciò che avviene? Si, avviene questo e no, non sono esagerato.

E sia chiaro, non vorrei mai che qualcuno impedisse materialmente, fisicamente che quello striscione ci sia. Io vorrei semplicemente, ingenuamente che chi va alla manifestazione avesse la maturità e il giudizio di non portarlo. Mettere l’attualità della contesa politica in quel corteo è segno di immaturità democratica.
Se facessi uno striscione per sostenere i volontari pro vita che finalmente possono entrare nei consultori, immagini il casino? Eppure per le mie convinzioni quella è una causa importante, che tocca i fondamenti più basilari della convivenza civile, e non mi interessa se qualcuno blatera di potere clericofascista sul corpo delle donne, sono tutte balle: quella è una cosa che attua meglio la 194 e aumenta la libertà sostanziale delle donne. Non mi sognerei mai di portare quella causa nel corteo del 25 aprile, perché non è il luogo per i ricatti, per le provocazioni, per le strumentalizzazioni: dovrebbe essere il luogo in cui provare a costruire unità su simboli condivisi. Peccato che quasi nessuno abbia voglia di farlo.

I ricattini dei sedicenti antifascisti, naturalmente, non si limitano agli striscioni. Durante gli interventi in Piazza Matteotti i fischi verso alcuni rappresentanti delle istituzioni sono ormai rituali. Incivili e ricattatori, ma rituali. E che dire, anche quello è un segno di scarsa maturità democratica. Ma il culmine del non senso l’abbiamo visto e sentito con l’interruzione del momento più solenne, più sacro del corteo, quando si rende onore ai caduti della Resistenza sotto il ponte monumentale. Qualcuno si è sentito in diritto di sovrascrivere con un “Bella Ciao” anche quel momento. Come dire, chi se ne frega della solennità, dell’omaggio istituzionale a chi è morto per la libertà di tutti: l’unica cosa importante è che anche quel momento sia connotato politicamente. E anche qui sta il ricatto: “ma come, è un canto della Resistenza, allora se non ti piace sei un fascista”. No genio, non mi piace come lo usi tu, non mi piace cosa hai fatto diventare quel canto nell’ultimo mezzo secolo, e non mi piace che tu sia tanto infervorato dalle tue fisime da calpestare anche la sacralità di quell’omaggio, di quella celebrazione.

Ma non importa, tornerò volentieri in piazza il 25 aprile. Perché non bisogna darla vinta ai fascisti.

18 Novembre 2023

L’innamoramento morirà?

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Due considerazioni di diverso ordine sulla morte della povera Giulia Cecchettin

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Io davvero non capisco come possa succedere. Eppure l’ho provata la gelosia accompagnata alla frustrazione del rifiuto; la mortificazione di vedere ragazze e donne di cui ero innamorato scegliere altri e prendere strade che le portavano, anche geograficamente, lontane da me; il desiderio di vederle ancora, di dichiararmi ancora, di spiegare…

Credo insomma di essermi trovato in situazioni analoghe a quella che ha scatenato in questi giorni l’ennesimo delitto orrendo, e ho dovuto uscirne, all’epoca, senza neanche il sostegno dell’esperienza e di una sufficiente maturità affettiva. E se l’assassino fosse un violento conclamato potrei tranquillizzarmi pensando: ok, non sei stato educato al contenimento della rabbia e della possessività. E invece no, il ragazzo sembra davvero distante da questo tipo. Sembrava, almeno.

Si parla di educazione all’affettività. Ma cosa è cambiato rispetto a quando ero ragazzo e adolescente io? Perché molti ragazzi di questi anni venti, ragazzi che in apparenza non hanno motivo per non sperare nelle proprie capacità e nel futuro, sembrano così inabili a gestire una frustrazione e un rifiuto? Non è “patriarcato”, come pretende una deriva ideologica ormai consolidata. Se i maschi che arrivano a questi eccessi avessero caratteristiche comuni tra di loro potrei pensare che c’è un problema di modelli. Ma sono ragazzi molto diversi tra loro.

In questo quadro, mi manca un pezzo: non capisco come si possa arrivare a tanto, non capisco come un pericolo del genere si possa prevedere e scongiurare se non tirando su barricate, e ho molta paura delle conseguenze che il ripetersi costante di questi episodi può portare all’educazione affettiva. Ho una figlia di due anni e mezzo. Tra dieci anni cosa le dirò? Come posso difenderla non solo dalle cattive compagnie (quello forse è facile) ma anche dall’interiorizzazione di un timore che potrebbe non farle vivere l’abbandono dell’innamoramento, la bellezza del potersi fidare? Oggi non lo so. Spero di trovare le risposte in tempo.

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Leggo peraltro con un po’ di stupore accuse all’informazione che trovo un po’ esagerate. Perché non sono incentrate sul rispetto della deontologia (ed è pur vero che anche in questo caso gli errori ci sono stati) ma su una presunta corresponsabilità: si dice insomma che se queste cose continuano a succedere è anche perché la narrazione giornalistica è già impostata per un alleggerimento delle responsabilità dell’uomo. A me, sinceramente, non sembra che sia così. Dire che il ragazzo è un povero disgraziato non toglie nulla alla gravità di ciò che ha fatto e spero (ammesso che sia ancora vivo) che le pene siano conseguenti.

6 Novembre 2023

Pancia di guerra

Filed under: cronache — alessandro @

La guerra è drammatica, non c’è nessuno che non abbia le mani sporche di sangue. Il pensiero corre spesso alle tante atrocità e non puoi fare a meno di leggere, cerchi di orientarti nel groviglio di cause prossime e remote, di violenze e di vendette, di azioni scellerate che in un attimo distruggono anni di tessitura di un’ipotesi di convivenza.

Sai che nessuno ha ragione. Ritieni che l’unica cosa ragionevole da fare ora sarebbe provare a separare efficacemente i contendenti e cessare il fuoco, senza la pretesa di trovare una “giustizia” che, allo stato attuale, è impossibile: poi, tra decenni, quando le ferite faranno forse un po’ meno male, si potrà guardare meglio a ciò che è successo.

E però apri i giornali online e vedi che a Napoli un gruppo di “studenti” (vabbé) ha occupato un’aula universitaria “a sostegno della Palestina, fino alla vittoria”. Ah però, questo serviva proprio. Che gesto coraggioso e profetico, che rigorosa consequenzialità a chissà quale acuta analisi. E meno male che sono quelli che studiano, figuriamoci quelli che reagiscono di pancia.

Ti combatto, dunque sono

Filed under: cronache — alessandro @

Forse è prematuro, perché i due grandi conflitti che hanno funestato gli ultimi due anni sono ancora ben lontani dallo spegnersi: uno è appena cominciato (o meglio: è appena deflagrato), un altro si sta impantanato in uno stallo senza uscita.

Però l’unica speranza per il domani è che ci sia almeno un manipolo di resistenti che, anche nel dolore e nella fatica di questi giorni, comincino a immaginarsi quello che viene detto qui. Che è il metodo cristiano, ma mi fa pensare anche al “kintsugi” giapponese e antropologicamente è per tutti. Quando le offese sono così grandi e reiterate nel tempo i nemici diventano loro malgrado fratelli, perché l’uno implica l’altro nella vita, nella morte e nella memoria, e non c’è alternativa alla convivenza.

Israeliani e palestinesi, ucraini e russi vivranno per sempre insieme anche se dovessero scegliere di essere separati, e prima o poi dovranno passare dalla distopia dell’annichilimento del nemico alla creazione di un nuovo spazio, se non di convivenza, almeno di accettazione in cui l’altro sia limite e insieme orizzonte. Non so se sia un’utopia, ma a pensarci bene è l’unica strada rimasta.

25 Aprile 2023

Di spartiacque e liberazione

Filed under: cronache — alessandro @

Nella sua lettera di ieri al Corriere Giorgia Meloni “ha detto anche cose buone”. È naturalmente irricevibile la proposta di metamorfosi da “Liberazione” a “Libertà” della ricorrenza del 25 aprile, ed è anzi abbastanza sorprendente che la Presidente del Consiglio riprenda oggi un’idea che già nel 2009, quando fu avanzata da Silvio Berlusconi, venne aspramente criticata con una varietà e abbondanza di buoni argomenti che sono puntualmente ritornati ieri in molti commenti. Come è sorprendente che richiami lo strappo di Fiuggi, dato che l’esperienza di Fratelli d’Italia nacque in evidente discontinuità, sia pure a distanza di anni, con la coraggiosa presa di posizione di Gianfranco Fini. È questo anzi il vero punto debole dell’attuale destra di governo su questi temi valoriali: Meloni rivendica una purezza “generazionale” che le si concederebbe volentieri, se non fosse che la marcia indietro del suo partito rispetto ad Alleanza Nazionale, e scelte a dir poco improvvide e divisive come quella di portare La Russa alla Presidenza del Senato, la smentiscono nei fatti.

Altre critiche mosse alla lettera tra ieri e oggi, tuttavia, mi sembrano più deboli e strumentali. Nel testo non c’è la parola “antifascista”? È una pretesa un po’ fondamentalista, se è lecito applicare a questo campo categorie esegetiche nate in altri ambiti. Il motivo per cui non c’è quell’affermazione letterale è spiegato nel testo, ed è la perdurante difficoltà causata da chi usa la parola “fascista” per marcare un’agenda di una parte politica. Aveva ragione Violante, c’è stato un “uso proprietario” della parola “antifascista”, è un fatto innegabile: un vero e proprio abuso che ha prodotto ferite almeno fino agli anni di piombo (ma anche oltre) che faticano a rimarginarsi. Se quella parola fosse stata usata solo contro chi non riusciva a liberarsi di nostalgie e ambiguità avrebbe avuto un senso, invece è stata usata indiscriminatamente come una clava contro qualunque avversario dei sedicenti antifascisti e contro qualsiasi idea osasse (e osi tuttora) contraddire i dogmi dell’agenda progressista.

Si può comprendere dunque se oggi Giorgia Meloni, nel ruolo di primo piano che libere elezioni le hanno assegnato, usa altre parole per indicare lo stesso concetto in riferimento ai principi costituzionali, e si possono apprezzare i passi in avanti che le sue dichiarazioni comportano. Curioso peraltro che la critica venga dagli stessi che hanno ribattuto giustamente a La Russa che è la Costituzione stessa a essere antifascista, anche se non ha al suo interno la parola antifascista: e perché dunque la presidente del Consiglio dovrebbe essere obbligata all’enunciazione esplicita?

Mi sembra, ad esempio, che Meloni parlando del 25 aprile come di uno “spartiacque” distingua correttamente la lotta di Liberazione dalla “spirale di odio” che continuò ancora per qualche anno e che rappresenta il cavallo di battaglia del revisionismo che vorrebbe imputare quelle violenze a tutto il movimento partigiano. Se di spartiacque si tratta, allora si possono finalmente distinguere le due questioni, dare alla lotta per la Liberazione il valore fondativo e condiviso che merita, e mettere gli strascichi di vendette e violenze, così come il dramma di Istria, Fiume e Dalmazia, sotto la lente del giudizio storico senza rimozioni di alcun genere. Percorrere rigorosamente la strada indicata da questa distinzione è l’unico modo per dare alla parola “antifascista” quella singolarità che rivendica a buon diritto rispetto ad altri “antiqualcosa”.

La nostra Repubblica è nata dal ripudio del fascismo: restituiamo quindi la parola a questo unico significato e anche la destra di governo arriverà prima o poi a usarla senza alcuna reticenza. Una speranza più che una convinzione razionale, lo ammetto, ma la strada è quella, è chiara davanti agli occhi di tutti e si può intraprendere tranquilli per amore di patria e di verità.

Non è ancora compiuta la ricomposizione che permetterà di celebrare il 25 aprile come festa unitaria, senza sottintesi, rancori, riserve di alcun genere. Ma forse un piccolo passo in avanti ieri è stato fatto. Dovranno passare anche questo governo, anche questa legislatura, dovranno spegnersi le vampate polemiche generate da questa stagione, ma stiamo vivendo forse un passaggio di chiarimenti ancora necessari, di mal di pancia finora nascosti e non detti, somatizzati per troppo tempo, che finalmente trovano uno sfogo terapeutico. La patologia, sia chiaro, non è di una parte sola ma affligge tutto il corpo sociale e politico. Spero di non peccare di utopia, ma mi auguro di vedere la risoluzione del conflitto “con i miei occhi carnali”, “nella terra dei viventi”.

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