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Le tour des bureaux


di Mocambo

In questi giorni mi trovo in giro per uffici pubblici. Quanto segue è a metà fra una guida alla giungla degli sportelli, un grido di denuncia e un pezzo di cabaret.

Per correttezza

Il tour inizia all'Avtomobile Clvb, con un warm up leggero: allo sportello della mia pratica non c'è nessuno, e me la sbrigo in scioltezza.
Ma in quello a fianco si stanno accalcando i poveri sfigati che devono rinnovare la patente, attesi, di lì a pochi minuti, dalla visita oculistica. Ecco l'avvertenza con cui vengono accolti: "Tenga il numerino. Consideri però che non si sa se il dottore riesce a visitarla. Lo diciamo per correttezza". "Come per correttezza? Ma scusi, non comincia alle 15.30?" "Dovrebbe" "E fino a che ora visita?" "Non si sa".
Il fatto che i questuanti siano all'87% pensionati, che ufficialmente mugugnano ma sotto sotto sono contenti di tornare a farselo menare, impedisce ad isolati focolai di violenza di propagarsi per tutta la sala.

The road to Furbolandia

La seconda cronotappa ha luogo alla sede delle poste in piazza Dante. Se all'Aci abbiamo conosciuto il più classico dei classici da sportello, ovvero la disorganizzazione elevata a forma di teatro sperimentale, qui ci imbattiamo in un altro evergreen italiota: il dritto di Chicago (o di Lurago. O di Colnago. O di Colle Val d'Elsa, Lagonegro, San Bartolomeo al Mare, Biella, Forlì).
Il babbucchione che un giorno postulò "Da oggi grazie ai numerini non sarà più possibile saltare le file!", era probabilmente nato a Stoccolma, o tutt'al più lussemburghese.
Entro e ritiro baldanzoso il numero 121. Guardo il tabellone: 64. Barcollo, ma approfitto per parcheggiare meglio la Vespa e nonmollononmollononmollo. Rientro e comincio con tutta calma a compilare i moduli di versamento su un tavolino, appoggiandovi tutte le varie carte in mio possesso, numerino compreso. Il tempo di alzarmi, fare due passi, rigirarmi per recuperare gli incartamenti e, simsalabim, non c'è trucco non c'è inganno, il numero si è trasformato. Da 121 a 193.
Ovviamente quando scatta il turno, mi presento allo sportello spiegando la situazione all'impiegata, mentre in contemporanea arriva una tizia che sventola proprio il 121. La guardo e le chiedo dove l'ha trovato, convinto che, se mai dovessi tentare una simile furbata e venissi sputtanato così, scapperei piangendo. Lei sfodera un metro e mezzo quadrato di faccia da culo e fa "Non so, me l'ha preso il mio ragazzo a cui ho dato il cambio". Stavo per chiederle scusa io.
Insomma, la signora dello sportello mi guarda e deve pensare che un fesso simile meriti un po' di pietà, perché mi permette di fare il versamento senza attendere un'altra mezz'ora. Ovviamente dopo Miss 121, savasandìr. Grazie al versamento, travagliato, ma condotto a buon fine, posso cominciare a fare fiato e gambe per la tappa di montagna, la cima Coppi del Bureaux Tour.

Manfaxrigentesponsabile

Sono abbastanza carico. Mi convinco di essere uscito a testa alta e con dignità da una situazione in cui in realtà ho subìto come Pistolesi contro Lendl, ma è un training autogeno fondamentale per non farsela sotto entrando nell'ufficio passaporti della Questura.
Il documento è scaduto da poco, dunque la mia ultima esperienza in merito risale a più di cinque anni fa. Di quella circostanza conservo tutt'ora un ricordo che non esito a definire meraviglioso: convinto di entrare in un ufficio pubblico di Tegucigalpa degli anni '70, in cui impiegati animaloidi maneggiassero grugnendo documenti impataccati di focaccia, in un'ora scarsa avevo avuto il mio passaporto, dopo una coda moderata gestita con efficienza da un personale sveglio e cortese.
Nel frattempo - penso - avranno affinato ancora meglio quei meccanismi.
Nel frattempo - penso - siamo entrati in Europa.
In venti minuti - continuo a pensare - me la cavo, e magari danno anche i cioccolatini.
Cinque anni dopo, un ufficio pubblico honduregno è la sede centrale del Credit Suisse, al confronto.
Tralasciando il fatto che è più complicato arrivare fin lì che all'ultimo livello di Super Mario Bros, solo la solidarietà fra sventurati (qui il dritto non c'è, l'han mandato a Chicago) consente una certa circolarizzazione delle informazioni chiave, senza le quali presentarsi allo sportello equivale a un suicidio cinese. Tra sportellista e sportellato si crea infatti quel bel clima di complicità che avevo notato in vita mia solo all'esame di diritto privato tra il titolare del corso e uno studente che obiettò (a Economia) "Ma veramente io sapevo che la parte sull'imprenditore non era da preparare". In effetti "customer care", da queste parti, deve essere il nome di un dentifricio.
Tocca a me. Ho volato su un diciotto posti sui getti d'aria calda del Grand Canyon, ho passato una serata al centro sociale "Terra di Nessuno" in cappotto blu e scarpe di legno, ho visto giocare dal vivo Omam Biyik. Ce la posso fare.
Capire le domande non è una passeggiata, ma in effetti fornire le risposte ("ha figli minori?") è facile.
Ok, ci siamo, ha dimenticato di scrivere lo stato civile, ecco, mi dia un documento, una firmetta, è tuuuuuuuutto a posto, ripassi fra un mese.

"Hfgcbh...Eh? Fra quanto?"
"Un mese"
"Un mese?"
"Un mese"
"Ma...ne ho bisogno prima!"
"Un mese"
"Senta, io fra quindici giorni devo partire"
Sbuffa. Scarabocchia su un foglio.
"Manfaxrigentesponsabile"

Guardo il foglio: una sequenza di numeri. Ripenso mentalmente a quello che ha appena detto.
Ma cos'è, belin, il Codice Da Vinci?

"Eh?"
"Manfaxrigentesponsabile"
"Eh?"
"Mandi un fax al dirigente responsabile"

Fra un mese, oppure martedì

Per trovare qualcuno contro cui inveire attingo a piene mani da diverse religioni, comprese un paio animiste della parte interna del Mato Grosso. Dopo di che contatto qualche amico che so per certo aver risolto la pratica in pochi giorni, per sapere se, potendo documentare un'urgenza come nel mio caso, c'è modo di sveltire l'iter.
"Sì, guarda, il marito di una mia paziente lavora..." "Ma certo, c'è il padre di un mio amico che conosce..:" "Ma come no, mia cugina si fa sifonare da un viceappuntato che..."
Fermi tutti.
Io voglio capire se c'è un modo trasparente, regolare, alla portata di tutti quelli che ne abbiano vera necessità, di avere un passaporto in tempi civili.
Raccolgo i documenti che attestano la mia urgenza e penso che sicuramente qualcuno mi darà retta. Sono un cittadino probo e ottimista, carico di buonissime ragioni, che si reca bel bello ad esporle a chi di dovere. Ribenvenuti a Tegucigalpa.
C'è un po' di gente che aspetta, e io mi avvicino al questurino in portineria esibendo gentilezza e un sorriso in cinemascope.
"Buongiorno, ho depositato i documenti per il passaporto, ma, in considerazione di un'urgenza che peraltro sono in grado di dimostrare, mi chiedevo se sia contemplata la possibilità di conferire con un dirig..."
"Sono tutti qui per questo. Adesso arriva." La cordialità di una mangusta in bolletta.
Arriva il dirigente che pare conoscere tutti (tranne il solito fesso) e invita a salire tutti (tranne il solito fesso).
"Mi scusi"
Da piccolo vidi un'altoborghese di Colchester attorniata da una torma di pezzenti, a Jakarta, e aveva una faccia parecchio meno schifata.
"Che c'è?"
"Bla bla, passaporto, bla bla, un mese, bla bla, certa urgenza".
"Urgenza? Ma lei sa quant'è alto il faldone delle urgenze che ho sulla scrivania? Quando deve partire?"
"Il 25"
"Venga il 23. Se non è pronto chieda di me, ispettore..."
Si chiudono le porte dell'ascensore mentre pronuncia un nome che potrebbe essere Rossi, Von Clausevitz, o Nahasapeemapetilon.

Torno in ufficio (ore di permesso che volano via come colombe) e il capo mi chiede lumi. Gli racconto tutto e quando sente "Il 23" scoppia a ridere. Credo che siano passati meno di tre minuti tra quando ha preso in mano il telefono e quando mi ha comunicato "Vallo a ritirare martedì".

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