Cronachesorprese

3 Settembre 2021

Qualcosa è singolare, tutto è segno

Filed under: Il cristiano informale,tutto considerato — alessandro @

La miseria e la volgarità dei commenti a questo articolo mostrano quanto la nostra società si sia involuta nella riflessione sul destino, sul senso degli avvenimenti che segnano le vite individuali e le vicende collettive.
Anche l’articolo però lascia a desiderare nell’impostazione. Sorvolando su quel “sono laico” esibito subito nel titolo come se fosse una patente minima di credibilità, una sorta di green pass per accedere al confronto razionale (ma, ancora più a monte, è proprio questo uso distorto della parola “laico” che non riesco mai ad apprezzare, lo so, sono un po’ difficile su queste cose), mi chiedo perché scomodare l’idea di “miracolo”. Il fatto narrato è indubbiamente singolare e non è facile capire come il piccolo crocefisso abbia potuto evitare la distruzione. Data per scontata la buona fede del chirurgo (che non sembra avere alcun motivo di raccontare il falso) ci sarà una spiegazione, sicuramente: l’unica difficoltà nel capire è per noi non poter ricostruire la catena degli eventi, delle cause e delle concause.
Ma il punto vero non è questo. Anche se potessimo ricostruire l’evento, la sua singolarità rimarrebbe. E con essa la sua natura di “segno”, che è quella categoria essenziale e dirimente con la quale non abbiamo più familiarità e che è più importante del “miracolo” che se, come in questo caso e in mille altri, viene richiamato a vanvera rischia di diventare una semplificazione, una schematizzazione sterile che non serve a nulla. Le parole del chirurgo, fortunatamente, dimostrano che il segno ha “colpito nel segno”: ciò che è avvenuto (tutto insieme, non solo il ritrovamento del crocefisso ma l’esperienza che la sua famiglia sta attraversando, la salvezza fortuita, il portare quella vertigine nello sguardo sui suoi pazienti, l’essenzialità della sistemazione provvisoria accolta come un’occasione di riflessione su ciò che ha davvero valore) ha fatto vibrare fino alla radice dell’essere la coscienza di quest’uomo: si vede, si capisce dalle sue parole, dallo stupore che non può nascondere nel parlare di ciò che è successo. S’è posta nei fatti perentoriamente la domanda di senso, che è quella che non possiamo eludere, qualsiasi idea abbiamo sulla divinità e sull’universo.
Un segno così si impone nella vita di un uomo come qualcosa di sacro, e come tale avrà rispetto e memoria: rimarrà traccia di quella vertigine, che non avrà mai spiegazione compiuta ma che potrà essere richiamata in qualsiasi momento e costruirà nel tempo una coscienza diversa di sé, degli altri, del mondo e forse di ciò che sta più in là, perché quella vertigine chiede alla ragione, ragionevolmente, di non escludere a priori un oltre. E questa è in tutto e per tutto esperienza religiosa

7 Marzo 2021

Sanremo e la musica satura

Filed under: le specie musicali — alessandro @

Spero che la vittoria dei Maneskin a Sanremo contribuisca a far capire ciò che è già evidente da molto tempo a chi ama la musica: viviamo in un momento di saturazione delle forme musicali e le novità radicali che facciano anche presa sul pubblico non sono impossibili (non sono mai impossibili) ma molto, molto difficili da trovare. La creatività si esercita prevalentemente nel mixare in modo originale forme già praticate. E non c’è nulla di male né di veramente nuovo neanche in questo: i momenti di vera rottura e di immissione di forme innovative sono meno frequenti di quanto siamo portati a pensare. Il mercato impone il cliché del rinnovamento musicale a ogni generazione, ma il rinnovamento effettivo non è per nulla scontato: è solo da poco più di mezzo secolo che l’espressione musicale si è legata a un soggetto della storia che prima era molto più compresso o assente, il “giovane”, e quindi c’è un’aspettativa di rinnovamento delle forme a ogni generazione (anzi praticamente a ogni stagione, perché il mercato ha le sue esigenze). In periodi di saturazione come quello che stiamo vivendo l’aspettativa diventa facilmente pretesa e produce una maggiore quantità di “freaks” rispetto alla media (e anche i mostri dimenticabili sono una costante, ma appunto perché sono dimenticabili dopo un po’ non li ricordiamo più, li rimuoviamo). Bene, i Maneskin non sono innovatori coatti, sono freschi interpreti di una solida tradizione musicale. Come hanno notato tutti, il brano dei Maneskin non ha nulla di nuovo, ma è bello, suonato e cantato bene da ragazzi che a dispetto della giovane età dimostrano già una sicurezza e una professionalità invidiabili. Non ha nulla di mai ascoltato ma non è certo “vecchio”, con interpreti così non potrebbe esserlo. Inoltre i Maneskin non sono sfuggenti come altri loro coetanei che sembra facciano molta fatica a decidere se essere musicisti o performer, e questa è la novità che mi piace di più. Sono contento perché con loro è chiaro finalmente anche ai ventenni di questa generazione che non è necessario andare a caccia di forme astruse e antimusicali per lanciare attraverso la musica una sfida generazionale.

Su Sanremo bell’articolo di Rockol.

17 Febbraio 2021

Nel cognome del padre

Filed under: cronache,Il postulante de-genere — alessandro @

Nella genitorialità l’eredita morale viene “dopo”. Prima c’è un’eredità carnale, che certo può anche non esserci (nel caso ad esempio di adozione) ma che anche nelle eccezioni è un modello per qualsiasi applicazione della genitorialità e che è sbagliato negare o contrastare a livello simbolico. Penso che abbia ragione Fabrice Hadjadj quando parla di “famiglia selvaggia”: un genitore può essere anche un criminale, ma non si “merita” di essere padre o madre, lo è in virtù di un fatto carnale, e questo è oggettivamente un valore, anche quando il figlio maledice il padre. C’è una realtà da cui veniamo e che noi non possiamo modellare a nostro piacimento. Questo, che ci piaccia o no, è un fondamento oggettivo della morale e anche della conoscenza, in assoluto: noi riconosciamo la realtà, non la creiamo. Penso che l’eredità morale di un genitore si innesti necessariamente in questa carnalità, reale (se il genitore è davvero tale) o simbolica (se il genitore non ha effettivamente generato il figlio).
Per quanto riguarda l’automatismo del cognome paterno, chi ha l’ossessione del cosiddetto “patriarcato” non può da una parte giocare a marginalizzare il padre e da un’altra parte chiedere la responsabilità paterna. Perché è questo in primo luogo il significato e il valore del cognome paterno: responsabilità verso i figli. Dovrebbe essere automatico proprio come garanzia verso di loro e verso la donna. Poi certo, su questo primo significato si possono innestare pretese di “possesso” che vanno contrastate culturalmente. Ma se rimuovi l’automatismo indebolisci la garanzia.

29 Agosto 2020

Intelletti agenti e intelligenze disagianti

Filed under: tutto considerato — alessandro @

Sono convinto che la fede ben intesa, senza eccessi di devozionalismo o intellettualismo, forma nel tempo la ragione e la aiuta a esprimersi al massimo del suo potenziale. Tuttavia l’esperienza mi ha insegnato a non sopravvalutare e a non sottovalutare l’intelligenza di qualcuno in base alla fede. La scelta religiosa di fondo non dà alcuna garanzia in proposito. Anche la ragione illuminata dalla fede richiede disciplina ed esercizio come qualsiasi altro campo di impegno umano, che sia la pratica di uno strumento musicale, un’iniziativa politica, una ricerca scientifica.

Oggi quando incontro una persona con la quale condivido la fede mi accorgo che ricerco istintivamente i segni e i risultati di questo impegno, che richiedono grande umiltà e amore incondizionato e che si vedono sempre nel giudizio sulle circostanze e nel modo di porsi. In modo analogo, quando incontro una persona lontana dalla mia scelta di fede mi chiedo come vive concretamente le domande di senso, che non possono essere eluse se non a parole, perché nel modo concreto di viverle si trova il lavoro di Cristo su di loro e si vede se e quanto hanno fatto resistenza. Non mi illudo che una scelta di fede renda immuni da questa resistenza, avendola spesso trovata, dolorosamente, anche in me.

Questo non significa naturalmente che “non importa ciò in cui credi”, perché la verità è una sola e se posso riconoscere i segni dell’amore di Dio in tutti è solo perché Cristo è venuto e si è messo al centro della storia come era già alla radice della realtà. Però i peccati di presunzione e orgoglio sono simili nel credente e nel non credente, non hanno sfumature apprezzabili che mi facciano pensare che in un caso siano meglio e in un altro peggio. Per capirci, chi dovrei scegliere tra chi dice (o insomma fa intendere in molti modi): “Non credo in Dio perché non esiste uno più intelligente di me” e chi dice “Credo in Dio perché solo un’intelligenza superiore poteva creare uno intelligente come me”? E se vi sembrano paradossi pensate, pensate bene a tutte le volte in cui vi siete sentiti offesi da un presuntuoso.

6 Giugno 2020

Di quanto tempo ha bisogno una certezza

Filed under: tutto considerato — alessandro @

“Una volta che tutte le domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi non sono ancora stati neppure toccati”, diceva Wittgenstein nel suo Tractatus intuendo il limite del suo famoso “si deve tacere”. Mi viene in mente in questi giorni a vedere gli sbilanciamenti uguali e opposti tra la fiducia totale concessa agli esperti e la loro demonizzazione da parte di chi si accorge, solo ora, che la scienza non può regolare tutta la vita, non dà mai risposte definitive e in genere ha bisogno di molto tempo per le sue acquisizioni più stabili.

« Pagina precedentePagina successiva »

Powered by WordPress. Theme by H P Nadig