Cronachesorprese

2 Ottobre 2007

Per l’Avvenire

Filed under: cronache — alessandro @

Dovrei leggere più spesso Avvenire. Potevo immaginare, almeno, che se l’avessi preso sabato avrei trovato sulle sue pagine una risposta adeguata al Curzione Maltese, che a questo punto inviterei a sbrigarsi con la seconda puntata dello speciale, perché se no finisce il divertimento. Ma non voglio fargli pressione più di tanto: sicuramente ha già qualche Turco alle calcagna.

Devo constatare con rammarico che l’articolo, a firma Umberto Folena, non ha avuto la stessa fortuna di quello di Repubblica, che nonostante le evidenti approssimazioni è stato copincollato pari pari in diversi blog, come se fosse il verbo, spesso accompagnato da commenti ad alto valore informativo aggiunto del tipo “senza parole”, “e ora non venitemi più a dire che…” “ahaha vi abbiamo beccato”, “anvedi sti pretonzi, mo’ ie metto pure ‘na fetta de mortazza ner settequaranta così se magneno pure quela”.

L’ attacco su questo tema si ripete ciclicamente, e a ogni ciclo aumentano le approssimazioni e le menzogne, che rimangono attaccate alle viscere di chi poi le risputa fuori a ogni occasione. Stranamente, invece, le confutazioni puntuali e motivate vengono dimenticate. Si vede che molti non aspettano altro che sentirsi dire che la Chiesa sbaglia, vivono solo per quello. O meglio, “molti”… non so. Sicuramente sono molto rumorosi.

A beneficio di chi vuole capire come stanno le cose riporto per sommi capi e con altre parole le argomentazioni dell’articolo di Avvenire. Lo faccio anche per ritrovarle comodamente, perché purtroppo serviranno ancora.

1 – Dire che soltanto un euro su cinque dell’otto per mille va alla carità è mortificante per quello che è la vita di tante persone dedite al servizio agli altri. Anche le voci “sostentamento del clero” e “esigenze di culto” sono in gran parte descrivibili come aiuti diretti a chi ha bisogno. La “vaghezza” ravvisata da Maltese in queste voci non è imputabile a reticenza o a poca trasparenza da parte della Chiesa, ma all’inadeguatezza delle descrizioni ammesse nei rendiconti amministrativi. Con un po’ di realismo e un pizzico di verifica in più questa difficoltà si supera, e si vede cosa ci sta dietro. Gli esempi di Folena sono sufficienti.

2 – Nel 2006 la Cei ha pubblicato il libro bianco “Dalle parole alle opere”, in cui si descrivono minuziosamente tutti gli interventi in Italia e nei paesi in via di sviluppo finanziati con i fondi dell’otto per mille. Sono stati 6.275 tra il 1990 e il 2004, per un totale di 719 milioni di euro. Tutte le redazioni di tutti i grandi giornali l’hanno ricevuto: mi pare di vederlo, sarà finito nel bancone degli esposti. “Chi se ne frega se la Chiesa fa del bene, che è, una notizia? Via, via!”. Eh sì, carissimi, mi pare di vedervi, mi pare di sentirvi.

3 – Sedici milioni di italiani firmano per l’otto per mille: tra 730 e Unico, il 69% dei contribuenti. Dei 13 milioni di italiani che presentano solo il Cud appena l’uno per cento firma per l’otto per mille: ciò evidentemente non è dovuto a disinteresse ma a complicazioni che molti non hanno voglia di affrontare soltanto per la firma. Sono tutti i lavoratori dipendenti che non hanno da chiedere detrazioni e se ne stanno del Cud compilato dall’azienda, ma anche moltissimi pensionati. Quindi: le firme totali in termini assoluti sono un buon numero; nella logica di un referendum, quale è il meccanismo di ripartizione dell’otto per mille, l’opzione per la Chiesa Cattolica è assai significativa e probabilmente sottodimensionata, perché se si rimuovessero alcuni ostacoli burocratici i numeri sarebbero diversi.

4 – La ripartizione dei fondi tra le diocesi è stabilita dalla Cei ogni anno rigorosamente e in maniera del tutto trasparente: una quota fissa uguale per tutte e un’altra variabile in base alla popolazione. Nessun bonus o malus ai vescovi buoni e cattivi. Dirigismo? Nessun controllo democratico? Ma che fesseria, le diocesi sono tenute per legge (dello Stato) a motivare le spese finanziate con l’otto per mille.

5 – A beneficiare di sconti ed esenzioni sull’Ici non sono soltanto gli enti ecclesiastici, ma tutti gli enti non commerciali, tutto il terzo settore. Ed è ormai una leggenda urbana reiterata in non so quanti blog che basti una cappellina in un albergo per non pagare l’Ici. Se fosse così, vi immaginate quali guglie gotiche spunterebbero dall’Hilton e dallo Starhotel President? Quanto alle esenzioni Irap, il Curzione se le è bellamente inventate (e quindi la sua stima di quattro miliardi è da abbassare di un bel po’).

6 – La chiesa italiana dell’era Ruini viene descritta come la Germania dell’est degli anni 50, con una Stasi spietata, in cui non c’è libertà di parola e i dissidenti sono perseguitati e ridotti all’insignificanza. Peccato che per dimostrare questa tesi davvero realistica il Curzione citi due giornalisti cattolici, Vittorio Messori e Roberto Beretta (capisci che illiberali le case editrici cattoliche, gli snobbano un capolavoro del giornalismo d’inchiesta come “Chiesa padrona”, chissà come mai), e addirittura Ratzinger. Ma un Ratzinger d’annata, direi sessantottino, che il Curzione si immagina probabilmente con l’eschimo a tirare molotov e intervenire alle assemblee. Formidabili quegli anni. Poi è arrivato Ruini e gli ha fatto il lavaggio del cervello. Tutto molto chiaro e coerente.

Repetita iuvant, in qualche modo. Verrà un bel momento in cui non ci cascherà più nessuno e dovranno inventarsene un’altra.

3 Giugno 2007

Banconi e scaffali

Filed under: reading — alessandro @

Su D – Repubblica delle donne di questa settimana c’è una bella inchiesta, a firma Chiara Dino, sulle ultime tendenze nelle librerie, che pare stiano diventando tutte, almeno le più grandi, sempre più simili a caffetterie e a centri commerciali. Molte voci, molte considerazioni interessanti. Riporto questa, che mi ha un po’ spiazzato.

La rivoluzione nei rapporti tra librerie e lettori partì nel 1957 a Pisa, alla Feltrinelli, ma fu di tutt’altro genere. Per la prima volta si esposero i libri sui banconi.

Io i banconi con i lbri li ho sempre visti, e quindi ci sono rimasto un po’ male. Vuol dire che all’epoca solo le bancarelle dei libri usati, che dovevano essere ben più interessanti delle attuali, davano la possibilità di un rapporto fisico con l’oggetto libro prima dell’acquisto. D’altra parte vuole anche dire che le case editrici non disponevano di uno spazio fondamentale per rifilare ai lettori tante sole che riempiono, appunto, i banconi più degli scaffali.

Ho fatto uno stage nella redazione cultura di un quotidiano. La caporedattrice ogni tanto faceva la cernita dei libri che arrivavano per le recensioni: perché naturalmente non aveva nessuna intenzione di passarli tutti. Quelli che riteneva di leggere o di far leggere ai collaboratori erano una piccola parte. Gli altri me li passava con questa indicazione: “Bancone degli esposti”.
Finivano in cima a un ripiano divisore, nell’open space. Un po’ come la ruota dei conventi medievali.
In pochi minuti si materializzavano le cavallette. Ne rimanevano solo poche briciole. Ma questo entusiasmo non lo qualificherei come successo delle strategie di marketing delle case editrici.
Insomma, c’è bancone e bancone.


Powered by WordPress. Theme by H P Nadig