Cronachesorprese

4 Marzo 2009

La privacy e altri bisogni

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C’è una cosa che sopporto sempre di meno e che sarò sempre meno disposto a sopportare in futuro: dover sempre dimostrare la mia identità e dettare i miei dati a chi li conosce benissimo e avrebbe modo di controllarli meglio di quanto possa fare io in molti casi.

Sono un cliente Vodafone e se entro in un negozio Vodafone voglio essere riconosciuto. Voglio che qualsiasi commesso tiri giù da un terminale tutto quello che sanno di me e che è utile a concludere il più presto possibile il nuovo acquisto. E invece no. Mi hanno spiegato che non è possibile. Ogni mese verso con la mia carta di credito il corrispettivo di un abbonamento a Vodafone, ma se entro in un negozio Vodafone per acquistare un cellulare devo dare nuovamente carta di identità, codice fiscale e… numeri di telefono.
“Ce li avete già questi dati”, ho detto alla commessa.
“Non posso vederli per la privacy: è come se facessimo un contratto con un nuovo cliente”.
“Ma se avete il permesso del cliente?”
“Non possiamo ugualmente”.

Ora, questo è assurdo e ipocrita. So benissimo che le aziende interessate si scambiano più o meno sottobanco le informazioni su di me che ritengono utile scambiarsi. Ma se queste stesse informazioni servono a rendermi la vita un po’ più facile, non contano. E provo davvero un senso di estraneità e di frustrazione a dover sempre dimostrare a un’entità impersonale, sia lo Stato o un’azienda qualsiasi, che io sono proprio io.

Ma la questione non è soltanto la comodità. Penso a tutte le cose utili che vengono bloccate da questa logica. Penso che le pubbliche amministrazioni non si scambiano i dati che mi riguardano per la stessa ragione, e questo spesso comporta disagi, perdite di tempo e di denaro non solo per me, ma per la collettività. Penso che se dimentico una scadenza per l’Ici o per un tributo non c’è nessuno che si premura di avvertirmi in tempo per non farmi pagare penali, quando sarebbe così semplice: ho un numero di cellulare e un indirizzo mail che può ricevere tutte le notifiche che sono necessarie.

Tutti questi disagi e soprattutto tutta questa mancata evoluzione perché devo essere difeso da qualcosa da cui non voglio essere difeso. Non mi importa dei miei dati, prendeteli, vendeteli a terzi, fateci la cresta, condividete con chiunque le informazioni che riguardano le mie abitudini di consumatore, il mio far parte di una comunità come cittadino, e se volete anche le mie idee, le mie opinionii. Ma non mi negate più i servizi che potreste darmi con il minimo sforzo e con vantaggio anche per voi. E soprattutto non fate gli gnorri: non fate finta di non conoscermi. Con quell’aria di “risposta esatta!” quando declino le mie generalità. Come se fossi bravo io a ricordarmele.

24 Febbraio 2009

È in arrivo lo spot sul binario sbagliato

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Sono veramente orgoglioso della mia Reggione che si ribella ai pannelli assordanti nelle stazioni. Chiunque abbia preso negli ultimi mesi un treno in una stazione abbastanza grande, oggi infestata dagli schermi che ciclano continuamente due o tre pubblicità e qualche trailer a volume infernale, può testimoniare quanto il risultato sia fastidioso. Dopo natale avevo già in mente di scrivere qualcosa in proposito. Non sugli aspetti legali, che ritengo ovvi: è giusto che pendolari, comuni e aziende regionali per l’ambiente controllino quali normative siano state violate. E se non ci sono violazioni riscriviamo le norme, perché un abuso così clamoroso non deve sussistere.

Voglio invece fare altre osservazioni sia a Trenitalia sia ai concessionari di pubblicità. Uno spot generalmente fa parte di una campagna pubblicitaria che prevede l’uso di diversi mezzi, dalla televisione alla radio, dai quotidiani alle affissioni. Da quando esiste la pubblicità in televisione gli altri mezzi si adeguano: cartelloni per strada e spazi sui giornali possono limitarsi a richiami puntuali delle “storie” illustrate compiutamente negli spot televisivi. Dal punto di vista del linguaggio pubblicitario non è un impoverimento, ma un gioco di rimandi e di rafforzamenti che aiuta la penetrazione del messaggio: chi conosce lo spot quando lo vede richiamato su un manifesto se lo ricorda, chi non lo conosce si incuriosisce e alla prima occasione in cui lo vedrà sul piccolo schermo avrà un motivo di attenzione in più. Perché questo gioco sia efficace è necessario che ogni mezzo giochi il suo ruolo e stia nel suo spazio (la pubblicità è sempre una questione di spazi) nel rispetto della natura di quello spazio.

Uno spot televisivo è pensato per essere diffuso in un’abitazione privata, o in un cinema. Non posso spararlo al massimo volume al pubblico di una stazione ferroviaria: non soltanto perché interferisco pesantemente con le azioni che la gente è abituata a fare in quella situazione, ma anche perché il messaggio non può essere recepito. I creativi che hanno lavorato a quello spot studiano i modi migliori per catturare l’attenzione di un telespettatore con in mano il telecomando. Se lo stesso spot viene imposto a una massa di viaggiatori di passaggio, che in quel momento ha necessità di porre attenzione ad altro, è matematico che risulterà troppo invasivo. Significa condannare quello spot (e il prodotto che pubblicizza) a una quota di odio che forse nei soli passaggi in televisione avrebbe potuto evitare.

Sì, mi metto dalla parte dei pubblicitari. Non perché non abbia a cuore le esigenze del consumatore, naturalmente. Ma sono convinto che in questo caso l’accordo per la vendita di quegli spazi pubblicitari, fatto senza alcun riguardo per i diritti dei viaggiatori, non abbia rispetto neanche per il lavoro dei pubblicitari. Esiste una possibilità in più di diffusione del messaggio? Allora va inserita nel piano dei mezzi nel momento in cui si crea la pubblicità: occorrerà declinare il messaggio tenendo conto di tutte le variabili in gioco con quel mezzo, con quel pubblico, con quella situazione.

13 Novembre 2008

L’arca sharing di Noé

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petcar genova car sharingChi ricorda i quattro pilastri di cui avevo parlato quasi un anno fa, all’inizio della mia esperienza con il car sharing genovese? Una di queste regole aveva fatto particolarmente discutere, ed era il divieto di portare animali nelle vetture del servizio.
Ora non so se i responsabili di Genova Car Sharing sono capitati per caso su questo blog. Penso di no. Però mi fa ugualmente piacere sapere che hanno adottato una delle soluzioni venute fuori da quella discussione. Da ieri nel parcheggio di piazza Bandiera è in servizio la Pet Car, una grande punto sulla quale si possono trasportare animali domestici. Come avevamo immaginato, con l’aumento progressivo del parco macchine e degli abbonati una parte delle vetture comincia ad essere messa a disposizione anche per questa esigenza.

27 Ottobre 2008

Azienda Meticolosi Taglieggi

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Ho un abbonamento annuale all’Amt. Venerdì non avevo con me la tessera ed è passato un controllore. Ha preso gli estremi del mio documento di identità e mi ha fatto una multa “virtuale”: presentando l’abbonamento allo sportello di via D’annunzio entro due giorni lavorativi avrei evitato la multa.
Oggi in pausa pranzo sono andato. Mostro il verbale a un impiegato con un fare un po’ sornione che mi chiede:
– Mi fa vedere l’abbonamento?
– Ecco l’abbonamento.
– Mi fa vedere un documento di identità?
– Ecco il documento di identità.
[silenzio]
– Mi dà un euro e venti?
– Prego?
– Sì, per la corsa per la quale era sprovvisto di abbonamento.
Non ero sprovvisto di abbonamento. Ho un abbonamento che vale un anno, sono venuto qui su vostra richiesta per dimostrarlo.
– Se vuole fare ricorso compili questo foglio. Vuole fare ricorso?
– Certo che voglio fare ricorso.
– L’azienda risponderà entro due mesi. In caso di soccombenza l’ammenda sarà di 58 [e rotti] euro.
– E come vanno questi ricorsi di solito?
– Io non so niente.
– Non ho tempo da perdere a verificare e non voglio correre il rischio di pagare la sanzione.
– Cosa vuole, io la penso… [si morde vistosamente la lingua]… non ha importanza quello che penso.
– Io penso che sia ingiusto. Se mi chiedete di dimostrare che sono abbonato non potete poi chiedermi il prezzo del biglietto. Cos’è, mi fate pagare il disturbo dei vostri controllori? Siete voi che dovreste pagarmi il disturbo per essere venuto qui, quando basterebbe l’accertamento della mia identità per controllare se sono abbonato o no.
[silenzio. pago, mi volto e faccio per andarmene]
– Aspetti. Dove va?
– E dove vado? Vado via, devo rientrare al lavoro.
– Devo darle la ricevuta.
– Già, sarà meglio. Non vorrei poi trovarmi a dover pagare una supermulta tra dieci anni.
– Non posso farci niente. È il regolamento regionale. Lo vede? Queste sono tutte sanzioni come la sua. Tutti hanno pagato un euro e venti.
– Lo vedo. E qualcuno ha fatto ricorso?
– Quasi nessuno.
– E lei proprio non lo sa come vanno a finire, eh?
– No… capisce…
– Certo, non ce l’ho con lei. Si figuri. Buon lavoro.

3 Ottobre 2008

Segnali preoccupanti dai call center

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call centerSe fossi un casalingo mi beccherei molti più pacchi dai call center o semplicemente li taglierei più facilmente per esasperazione?
Oggi sono a casa per malattia e ho ricevuto due offerte, una da Fastweb e una da Vodafone. Sono cliente di entrambi: ho Fastweb per l’adsl di casa e Vodafone per il cellulare (ad agosto dopo dieci anni di ricaricabili ho fatto il grande passo al contratto).
A parte le offerte, mi colpiscono due coincidenze:
1 – mi telefonano lo stesso giorno
2 – le operatrici hanno entrambe un marcato accento straniero

1 – Sarà perché oggi mi trovano, magari mi cercano tutti i giorni… Però questo è anche uno dei periodi in cui le diverse compagnie cercano di scipparsi un po’ di clienti. E questo già mi dispone male.
2 – La tipa di Fastweb mi sembrava rumena; quella di Vodafone non so, forse africana, ma stentava molto di più della rumena e leggeva quasi tutto quello che diceva. Alle mie domande andava chiaramente in panico. Massimo rispetto per i lavoratori, ma se Fastweb, Vodafone e gli altri pensano di comprimere le spese assumendo mano d’opera con meno pretese, come fino a ieri assumevano ragazzi molto giovani alla prima esperienza lavorativa che oggi, evidentemente, dopo certe brutte esperienze ormai di pubblico dominio ci pensano due volte, dimostrano ancora una volta di non saper imparare dai propri errori. Si facciano i loro call center nell’Europa dell’Est o chissà dove per evitare sentenze come quella di aprile, ma non credo che sia una scelta idonea a sostenere strategie commerciali molto aggressive. Già il call center è caratterizzato da una marcata spersonalizzazione del rapporto fornitore cliente: trovare dall’altra parte soltanto dei poveri cristi in difficoltà che stanno facendo il loro compitino per guadagnare la (misera) pagnotta e non hanno neanche la padronanza linguistica sufficiente per rispondere a tono alle domande significa allontanarsi ancora di più dal cliente. Significa che i loro datori di lavoro vogliono ascoltare sempre meno i loro clienti.

Per la cronaca Fastweb mi ha proposto dei pacchetti Sky con fantomatici sconti sulla tariffa base dell’Adsl che mi sanno tanto di pacchi veri e propri. Vodafone offre solo a me e a pochi altri fortunati scelti tra i migliori clienti (ma se odio parlare a lungo al telefono… mah) una delle ultime pennette usb per la connessione wireless che “sono andate a ruba” e se non dico subito di sì rischio di perderla. Che dite, corro il rischio (di perderla)? :-)

l’immagine è tratta da e3doing.it

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