Cronachesorprese

12 Febbraio 2018

11 cammelli per 3 fratelli

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Quando si parla di “donazione liberale” (o anche di “economia del dono”) si intende questo. Elargire qualcosa che nella somma totale incide poco, ma è quello che manca per rendere disponibili risorse che altrimenti rimarrebbero vincolate. Sembra un’azione “a perdere”, ma è molto di più.

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25 Ottobre 2015

Genova Beer Festival, buona la prima

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Volendo cominciare dalla fine, si potrebbe dire che il Genova Beer Festival è uno di quei rari luoghi dove la fila nei bagni degli uomini è più lunga di quella nei bagni delle donne. Andando indietro, la poca lucidità residua in questo momento mi fa ricordare l’organizzazione praticamente perfetta dello staff di Papille Clandestine (che è alla prima edizione e sembra già una squadra di veterani), tutti gli espositori con particolare menzione per Nadir di Sanremo e Canediguerra di Alessandria, la degustazione sugli stili di birra classici condotta dall’ottimo Simone Cantoni.
Posso dire che ieri sapevo che mi piace la birra, mentre oggi sono un po’ più consapevole del “perché” mi piace, di cosa devo andare a cercare quando l’acquisto, di cosa posso e devo evitare. Ho fatto la conoscenza di birre salate e birre acide. Le prime mi hanno entusiasmato, le seconde non credo che le andrò a cercare ma ne ho apprezzato la cultura e l’audacia. La birra è un inno alla diversità e alla non omologazione, è un giusto equilibrio di tradizione, sperimentazione e innovazione: ovvero quello di cui abbiamo un drammatico bisogno anche in altri campi. Last but not least, è davvero un piacere vedere uno spazio come Villa Bombrini usato per accogliere produttori da tutta Italia: gente che ha fatto di una passione una professione e che merita il meglio. Genova non è soltanto tristi sale congressi e non è soltanto centro, è anche ville storiche magnifiche nelle ex delegazioni. Uno spazio che nella sera di sabato è riuscito a strappare una bella fetta di “movida” dai vicoli del centro storico. Vedete, è possibile. Cento di questi festival, GBF.

13 Dicembre 2014

Dialogo nel buio

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Da piccolo avevo un po’ paura del buio. Poi mi è passata, e negli anni dell’adolescenza ho scoperto la magia del chiudere gli occhi e pensare, ascoltare musica, ballare, baciare. Ho completamente perso quel senso di smarrimento che mi dava il buio le volte che mi capitava di svegliarmi di notte e non vedere nulla.
Eppure penso che in qualche modo la magia e la suggestione senza paura di pochi anni dopo sia figlia di quello smarrimento. Perché, per quanto ne avessi paura, quello era il contatto con l’ignoto e il mistero.

Racconto queste cose stasera perché finalmente sono riuscito ad andare in Darsena per Dialogo nel buio, il percorso al buio guidato dai ciechi e ipovedenti dell’Istituto Chissone. Appena entrati e piombati in quell’abisso di oscurità la guida ha fatto passare qualche minuto e poi ha detto: se qualcuno ha sensazione negative e sente ansia sappia che all’inizio è normale, ma se dovesse continuare può avvertirmi e verrà condotto fuori in un attimo.
Io avrei voluto dire che non solo non sentivo ansia, ma sentivo un senso di pace e di immediata solidarietà con le poche persone che cominciavano a condividere quell’esperienza con me. A comninciare da Giulia che stava con me naturalmente, ma non solo. E subito ho avuto voglia di proiettarmi in avanti, con le mani all’altezza dell’addome come consigliato per prevenire lo scontro con ostacoli improvvisi. Subito sono stato invaso dalla curiosità di toccare, sentire, annusare la vita quotidiana da un altro… punto di vista. Perché siamo sempre alla ricerca di qualcosa che ci faccia prendere coscienza della straordinarietà del quotidiano, di quanto le cose più scontate non sono pezzi muti e inerti, ma parlano, accompagnano, segnano il cammino e l’orizzonte. Per questo soprattutto mi sento di consigliare questo breve percorso: sono 7 euro e 45 minuti (che volano… si perde il senso del tempo) davvero ben spesi.

Da piccolo avevo paura perché il buio e la notte mi isolavano da ogni forma di relazionalità, e pensavo che alla luce c’erano gli amici e le cose buone, al buio i nemici. Però insomma, era chiaro che “qualcosa, qualcuno” nel buio (e quindi oltre) dovesse esserci. Ma il buio era un monologo e non osavo pensare che potesse diventare qualcosa d’altro. Oggi è un dialogo, e l’ignoto è compagno e amico.

4 Gennaio 2014

L’albero del pane

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lievito madre
Non ho più raccontato nulla qui sulla mia pasta madre, ma questo non significa che abbia lasciato perdere. Temo anzi di averne parlato fin troppo, temo di aver ammorbato parenti e amici. Vabbé, passo dei periodi di entusiasmo. Ma con il tempo ho imparato a contenermi. In ogni caso da aprile 2012, da quando è nata la mia pasta madre, in casa mia il pane fatto in casa non è mai mancato. Lo faccio almeno una volta alla settimana, a volte di più. Ho risolto i problemi dei primi tentativi, come la crosta troppo spessa, anche perché il lievito ha migliorato molto le sue performance. Quando manco da casa per periodi più lunghi se ne sta buono in frigo, senza deteriorarsi. Magari il primo pane dopo la sosta forzata ha una punta di acido in più, ma quello successivo è già perfetto. Il mio lievito è forte, vitale. Si sente curato e ripaga con buona moneta.

pagnotta

Non si tratta per me di “cucinare”. Mi dedico volentieri alla cucina quando posso, faccio un lavoro di testa e prepararmi almeno la cena mi garantisce quella quota di manualità quotidiana che serve per meditare e per tenere il contatto con le cose (altra buona abitudine che mi aiuta in questo è la chitarra, ma ha un valore diverso). Se cucino per altri generalmente i miei ospiti apprezzano. Cucino istintivamente, senza sapere molto dei procedimenti “giusti”, qualche volta sbaglio ma il più delle volte ciò che esce ha un suo perché.

pane

Il pane però non lo lascio al caso. Seguo il procedimento base che ho imparato su pastamadre.net. So che ci sono altri metodi ma quello mi dà soddisfazione e non vedo motivi per cambiarlo. Il “tuning”, le variazioni dipendono dalla stagione, dalle condizioni di temperatura e umidità che suggeriscono di allungare o accorciare i tempi di lievitazione, di aggiungere un po’ di zuccheri (malto di riso di solito), di inumidire la superficie dell’impasto o coprirlo meglio. Per l’inverno gli ho regalato un vecchio maglione che non uso più.
Faccio pane e pizza. Il pane dura tanto, una settimana e anche più, e non ne butto via mai niente, neanche una briciola. La pizza… è buonissima, e non si “piazza” sullo stomaco come a volte quella delle pizzerie al taglio.

pizza

Ho imparato a riciclare bene il pane raffermo nelle zuppe come la Sopa de ajo spagnola, che ho gustato per la prima volta sul Cammino. Ma poi con la stessa tecnica di base ne faccio altre variando le verdure, le spezie, i condimenti.

sopa de ajo

Con le pizze nel 2013 mi sono tolto una grande soddisfazione: ho provato il mio lievitato in un vero forno a legna, con risultati molto incoraggianti.

pizza nel forno a legna

Non è questione di cucina, dicevo. Nel lievito che vive e cresce a casa mia confluiscono meditazioni, affetti, radici. Si chiama lievito madre e mia madre, figlia di un “mugnaio” (in realtà mio nonno era solo dipendente di una società di mulini, ma si sentiva a pieno titolo “dentro” la produzione), naturalmente c’entra. Poi c’è la soddisfazione, quasi la necessità di condividere. Porto sempre un pezzo della mia pagnotta settimanale a qualcuno. Un po’ per non “lievitare” troppo io, un po’ perché il pane va sempre “spezzato”.

pane sezione

E da qui, dallo spezzare il pane, naturalmente si comincia a salire ed è difficile fermarsi. Se si parte con le analogie e i significati spirituali non si finisce più. Ma è così, è vero. Fare il pane cambia. Le relazioni, il rapporto con il tempo e le cose. Toglie la fame (sazia più a lungo del pane comprato, non ci sono dubbi) e fa venir sete di gratuità, di fette sempre più grandi di vita sottratte al calcolo, al dare per avere, al far tornare sempre i conti di tutto. Mette alla frusta i batteri facendoli lavorare sodo e per una buona causa, e nello stesso tempo disinnesca molti parassiti di energia e di vita.

pagnotta integrale a fette

Certo, nell’universo parallelo della panificazione casalinga si incontra di tutto. Ci sono i maniaci. Quelli che solo loro conoscono il vero procedimento (ma davvero? Ce ne sono centinaia e sono tutti validi). Quelli che sono ossessionati dalla forza della farina e ti guardano con aria di commiserazione se non sai dire quante W ha la farina che usi (l’impasto lievita bene: di cos’altro ho bisogno?). Quelli che se non usi farina biologica sei un mezzo delinquente (una delle cose che mi ha sorpreso di più è la validità di alcune farine commerciali che costano un terzo di feticci come la farina di Kamut, e mi piace scovarle, anche nei discount). Quelli che se non macini il grano in casa ma che cosa panifichi a fare? (non ho tempo per andarmi a cercare i grani, magari un giorno mi viene la scimmia e lo faccio; per il resto la macinatura a pietra è importante, lo so, soprattutto per ragioni nutrizionali; ma da grande ingenuo tendo a fidarmi delle etichette delle confezioni, se c’è scritto “macinato a pietra” penso addirittura che sia davvero macinata a pietra. Comunque un bel mulino casalingo prima o poi lo compro. Quando avrò voglia, quando avrò più spazio in cucina… vedremo).

Però ci sono anche persone che vale la pena incontrare e conoscere. Persone che capiscono che il pane non è solo questione tecnica, né di tempo, né di strane filosofie autarchiche che lasciano il tempo che trovano. Il pane serve per seminare umanità. Il mio lievito vive già in altre case, prolifera e si differenzia come è giusto che sia. A volte lo invidio. Vorrei essere adattabile, essenziale e produttivo come lui.

28 Aprile 2012

Spacciatore di pasta madre

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Se volete provare la pasta madre o condividere informazioni ed esperienze su come produrla, da oggi potete venire anche a casa mia.

pasta madre 20 aprile

Per ora è proprio un bel gioco, ma dà già molte soddisfazioni. La mia pasta madre è nata l’11 aprile. Ho usato all’inizio farina normale, solo ieri ho cominciato a rinfrescare con farina biologica un po’ più costosa: credo di aver fatto bene perché nei primi giorni l’impasto che avanza tra un rinfresco e l’altro è inutilizzabile e se ne butta via la maggior parte. Come starter ho usato miele di castagno che ha dato da subito un profumo caratteristico all’impasto: pur nella normale “evoluzione della specie” (lo spettacolo della pasta madre è vedere quanto cambia e come cambia ogni giorno, almeno fino a quando non si stabilizza) quel carattere originale si sente ancora. Ieri ha cominciato a produrre pane serio dopo qualche tentativo andato male. La lievitazione è abbastanza veloce per la media della lievitazione naturale e in forno l’impasto prende subito volume.

pane 27 aprile

Il pane è buono, soprattutto la mollica, mentre la crosta è ancora troppo spessa per i miei gusti (anche se una crosta compatta aiuta il pane a conservarsi più a lungo).

Se la voglia di sperimentare rimane posterò qui i prossimi risultati.

io spaccio pasta madre


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